LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16566-2019 proposto da:
MEDIOCREDITO ITALIANO SPA, INTESA SAN PAOLO PROVIS SPA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38, presso lo studio dell’avvocato FABIO ALBERICI, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEONARDO BOTTAZZI;
– ricorrenti –
contro
AMMINISTRAZIONE FALLIMENTARE ***** SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del Curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CESARE FRACASSINI 4, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA D’ORSI, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO TARDELLA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2608/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 22/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
RITENUTO
Che:
1. – Inizialmente, nel 2005, Intesa leasing stipula con la società ***** srl un contratto di sale and lease back, ossia: compra da ***** un immobile e, contestualmente, lo concede a quest’ultima in leasing, in modo da consentire alla società di avere liquidità (il prezzo della compravendita) ma di poter riscattare il bene a fine rapporto.
La società *****, dopo un inziale concordato, finisce in fallimento, mentre alla società Intesa Leasing subentra prima il Mediocredito e poi Intesa San Paolo Provis.
2. – Il fallimento agisce in giudizio contro il Mediocredito per ottenere la revocatoria sia fallimentare (art. 66 L. Fall.) che ordinaria (2901 c.c.) di tale atto di disposizione, ossia della vendita con leasing di ritorno, ed ottiene accoglimento della domanda sia in primo che in secondo grado. I giudici di merito osservano che, da un lato, l’acquirente- cedente era consapevole, o avrebbe dovuto esserlo, dati i bilanci e la situazione contabile della *****, delle difficoltà economiche di quest’ultima; per altro verso, che l’atto di disposizione non è inquadrabile tra quelli rivolti a estinguere un debito, e dunque tra quelli non soggetti a revocatoria.
3. – Il ricorso avverso questa decisione è basato su due motivi, ed oggetto di controricorso da parte del Fallimento ***** srl, che deposita memorie.
CONSIDERATO
che:
3.1. – Va fatta una premessa necessaria, sulle rationes decidendi della sentenza impugnata: la citazione inziale ha introdotto una domanda di revocatoria della vendita (con leasing di ritorno) basata su due titoli alternativi: la revocatoria ordinaria e quella fallimentare ex art. 66. I giudici di merito l’hanno accolta senza dare prevalenza all’una sull’altra, ossia ritenendo l’atto revocabile sia per l’una che l’altra fattispecie. Il giudice di primo grado, con decisione integralmente confermata in appello, ha dichiarato l’inefficacia della vendita sia ai sensi dell’art. 2901 c.c. che dell’art. 66 L.F..
Il che rende duplice il titolo della revocatoria, ed ha conseguenza sulla rilevanza e fondatezza dei motivi di ricorso.
4. – Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 2901 c.c., dell’art. 115c.p.c. e dell’art. 66L. Fall..
Verte sulla finalità della vendita, che si assume non elusiva, in quanto rivolta ad estinguere un debito scaduto: intanto la società ricorrente si duole del fatto che non è stata ritenuta come dimostrata la suddetta circostanza, ossia che quella vendita avesse, per l’appunto, quelle finalità, e ritiene che la prova della destinazione del ricavato alla estinzione di un debito scaduto fosse nella stessa ammissione dell’attore in revocazione, cosi che non averlo rilevato costituisce violazione dell’art. 115 c.p.c..
In secondo luogo, la ricorrente assume una erronea interpretazione delle norme (art. 2901 c.c. e art. 66 L. Fall.) in quanto la corte di merito, pur avendo in realtà ammesso che la vendita fatta per pagare un debito scaduto è irrevocabile, ha però ritenuto non applicabile tale regola alla revocatoria fallimentare dimenticando che invece si verteva in ambito di revocatoria ordinaria.
Il motivo è inammissibile, poiché la corte di merito non nega che l’alienazione potesse essere rivolta ad estinzione di un debito scaduto: dice, da un lato, quanto alla revocatoria ordinaria, che non era una alienazione obbligata a quel fine, essendovi altri beni nel patrimonio, ratio questa, si, discutibile; ma soprattutto osserva come, essendo stata proposta anche la revocatoria fallimentare ex art. 66, la circostanza diventa irrilevante, in quanto nella revocatoria fallimentare anche la vendita fatta per pagare un debito scaduto, violando la par condicio dei creditori, è revocabile. Dunque: la ratio non viene colta: non c’e’ revocatoria solo ordinaria bensì anche fallimentare.
5. – Il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 2901 c.c..
La società ricorrente ritiene che sia errata la regola di giudizio sulla conoscenza, da parte sua, della difficoltà economica dell’alienante, in quanto dai bilanci e della relazione dei revisori risultava l’attivo; non v’erano protesti a carico né segnalazioni di inadempienze al sistema creditizio.
Secondo la ricorrente dagli elementi in atti, e segnatamente da quelli ricordati, non poteva ragionevolmente ricavarsi che si dovesse conoscere la situazione economica della società poi fallita.
Il motivo è anche esso inammissibile.
La corte di merito, intanto, correttamente ritiene che la conoscenza dello stato economico della controparte è ricavabile anche per presunzioni; indica in modo diffuso una serie di indici (pp. 14-24) da cui era evincibile che la situazione patrimoniale e finanziaria non era favorevole, e tra questi sia la situazione di bilancio, che dal 2003 al 2004 presentava un risultato dimezzato, sia la riduzione degli affidamenti operata dalla stessa concedente, indice della consapevolezza di una minore capacità di far fronte ai debiti.
In sostanza, il ragionamento presuntivo è fatto correttamente, in quanto basato su elementi dal valore indiziario, considerati complessivamente.
Per contro, la ricorrente non contesta un cattivo uso del ragionamento presuntivo, ossia una violazione delle regole che vi presiedono, ma propone una diversa valutazione degli elementi, già valutati nel loro valore indiziario, dalla corte di merito, limitandosi a proporli secondo una diversa valutazione in fatto, e dunque chiedendo un accertamento qui inammissibile.
6.- Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 7800,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2021