Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21662 del 29/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16253-2014 proposto da:

R.G., R.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FRANCESCO PACELLI 14, presso lo studio dell’avvocato GIAN MARIA FRATTINI, rappresentati e difesi dall’avvocato LUIGI MAIELLO;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 425/2013 della COMM. TRIB. REG. della Campania depositata il 13/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/07/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate, a seguito di verifica fiscale effettuata dalla G.F. conclusosi con PVC, emetteva avviso di accertamento nei confronti di D.C. (a cui sono succeduti in corso di lite gli eredi R.A. e R.G.) avendo individuato maggiori ricavi ai fini Irpef, irap, Iva per l’anno di imposta 2004.

Avverso il predetto atto proponeva impugnazione la contribuente sostenendo la illegittimità dell’atto impositivo in quanto emesso prima della scadenza del termine di 60 giorni dalla chiusura del PVC. La CTP adita rigettava il ricorso, in quanto la mancata osservanza del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non era sanzionata con la nullità, ed inoltre vi erano motivi di urgenza atti a giustificare il mancato rispetto del termine onde evitare la decadenza prossima a maturare.

La Ctr della Campania, a seguito di appello della contribuente, confermava la decisione impugnata.

Propongono ricorso in Cassazione gli eredi di D.C., affidandosi ad un unico motivo.

Non si costituiva la Agenzia delle Entrate mentre i ricorrenti depositavano ulteriore memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, dell’art. 2697 c.c., nonché del principio di legalità di cui all’art. 13 e ss. Cost., e degli artt. 24 e 97 Cost., in relazione all’art. 360 e c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto i giudici regionali non hanno affermato l’invalidità dell’avviso opposto benché notificato prima dello scadere del termine di sessanta giorni posto dallo Statuto del contribuente, comma 7, avendo illegittimamente ravvisato ragioni di urgenza tali da giustificare l’inosservanza di tale termine.

Il motivo è fondato pur essendo infondata (Ndr: testo originale non comprensibile) che si riferisce ad altro pvc.

Non è in contestazione (come del resto enunciato nella sentenza impugnata) che in data 31 dicembre 2009 sia stato notificato l’avviso di accertamento oggetto di impugnazione, ossia dopo appena 15 giorni dal rilascio del processo verbale di constatazione.

Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva.

Chiaramente il requisito dell’urgenza, in grado di esonerare l’Ufficio dall’osservanza del termine, deve essere provato dall’ufficio, trattandosi di eccezione (vedi Cass. Sez. U, n. 18184 del 20/7/2013; Cass., sez. 5, ordinanza n. 27623 del 30/10/2018; Cass. n. 10388 del 12/4/2019).

Non vale a giustificare il comportamento della P.A., nel caso in cui non sia stato rispettato tale termine la circostanza dedotta che fosse imminente la scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa. Sul punto la giurisprudenza costante della Suprema Corte ha affermato che “in materia di garanzie del, contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non rappresenta una ragione di urgenza tutelabile ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7 (Cass. n. 8749 del 10/4/2018).

Invero, l’amministrazione avrebbe dovuto dedurre come giustificazione dell’urgenza non tanto la scadenza del termine per l’accertamento della pretesa fiscale, ma che l’esercizio della potestà accertativa, nell’imminenza della scadenza del termine, dipendesse da fattori ad essa non imputabili, fino al punto da rendere comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento, a pena di vedere dissolta la finalità di recupero delle imposte non versate dal contribuente.

In definitiva non è l’imminenza della scadenza del termine ad integrare l’urgenza, ma eventualmente l’insorgenza di fatti concreti e precisi che possono rendere giustificata l’attivazione dell’ufficio quando non può più essere rispettato il termine dilatorio a pena di vedere decaduta l’amministrazione, nel caso come si legge nella sentenza l’Agenzia delle Entrate si è limitata ad indicare nell’avviso “la particolare urgenza era costituita dal termine ultimo del 31-12-2009 per notificare accertamenti relativi all’anno 2004”. Nel caso in esame l’Agenzia delle entrate, quindi, non ha assolto tale onere, poiché non ha indicato fatti concreti e precisi che le hanno impedito di procedere con l’accertamento tempestivamente per evitare la decadenza.

Poiché nella sentenza impugnata non è stato applicato un principio di diritto, con efficacia dirimente, può trovare applicazione l’art. 384 c.p.c., comma 2, e quindi la Corte di Cassazione, previo annullamento della decisione di merito, deve accogliere il ricorso originario proposto dalla parte contribuente, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

In ordine alle spese processuali, appare equo compensare quelle dei gradi di merito in quanto i principi oggi applicati si sono consolidati di recente, mentre per il giudizio di legittimità si deve applicare il principio della soccombenza, non avendo l’Agenzia posto in essere alcun atto, nell’ambito della autotutela, in grado di uniformarsi al principio sopra richiamato.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente. Compensa le spese dei gradi di merito, condannando l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali del solo giudizio di legittimità liquidandole in Euro 4000 oltre oneri di legge e spese forfettarie.

Così deciso in Roma, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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