Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.21679 del 29/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Cirese – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29434-2014 proposto da:

IMMOBILIARE CORTINOVIS SPA IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante e liquidatore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 32, presso lo studio dell’avvocato FISCHIONI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERRAJOLI LUIGI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2735/2014 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, depositata il 22/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2021 dal Consigliere Dott. FASANO ANNA MARIA;

lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. CELESTE ALBERTO che ha chiesto il rigetto del primo motivo, inammissibilità del secondo e accoglimento dei restanti.

FATTI DI CAUSA

Cortinovis s.r.l., incorporata da Immobiliare Cortinovis S.p.A., impugnava l’avviso di rettifica e liquidazione n. 20072V000109000 concernente l’imposta di registro relativa all’atto di cessione del ramo di azienda del 31.1.2007, con il quale veniva richiesto alla società contribuente il pagamento della somma di Euro 311.788,69 a titolo di maggiore imposta, sanzioni ed interessi. Con l’atto impositivo l’Ufficio, sul presupposto che in realtà era stato ceduto l’intero complesso aziendale e non solo il ramo d’azienda, formulava tre distinti rilievi concernenti la rettifica in aumento del valore del compendio aziendale ceduto ed, in particolare: a) ripresa a tassazione dell’importo di Euro 273.586,00 quale svalutazione forfettaria dei crediti verso clienti per commissioni, ritenendo l’abbattimento forfettario del 15% di tali crediti ingiustificato; b)accertamento di un maggior importo di Euro 3.591.342,00 imputabile al valore dell’attivo ceduto, a seguito della rideterminazione di specifiche componenti attive dello Stato patrimoniale della società cedente; c) rideterminazione del valore di avviamento con il metodo c.d. dell’investimento sostitutivo aumentato dai 2.000,000,00 di Euro dichiarati ad Euro 3.226,543,00. La società contribuente impugnava l’atto impositivo eccependo, inter glia, l’errata applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, nella parte in cui l’Agenzia aveva presunto che oggetto della cessione fosse l’intera azienda anziché solo un ramo della stessa, e l’errata applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2-bis, non avendo l’Ufficio motivato in ordine all’adozione del metodo del c.d.”investimento sostitutivo” per il ricalcolo del valore dell’avviamento del ramo d’azienda ceduto.

La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 44/25/11, accoglieva parzialmente il ricorso, rideterminando la svalutazione operata alla posta “crediti verso clienti per commissioning” nella misura del 10% anziché del 15%, ed accertando la congruità del valore di avviamento come dichiarato in sede di cessione. L’Agenzia delle entrate appellava la pronuncia, mentre la società contribuente proponeva appello incidentale per la parte in cui era rimasta soccombente in primo grado. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 2735/15/14, accoglieva l’appello con conferma della legittimità dell’avviso di rettifica e liquidazione impugnato. Immobiliare Cortinovis S.p.A. in liquidazione ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo cinque motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

La Procura Generale presso la Corte di Cassazione ha depositato memorie scritte concludendo per il rigetto del primo motivo, l’inammissibilità del secondo ed accoglimento dei restanti. Il ricorso, fissato all’udienza pubblica del 4 giugno 2021, è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 43,49 e 51 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sotto il profilo del criterio di valutazione dei crediti facenti parte della cessione del ramo d’azienda. Il ricorrente deduce che il giudice di appello riterrebbe erroneamente applicabile al caso in esame la norma dettata per gli atti di cessione di crediti di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 49, mentre, essendo stato stipulato un contratto di cessione di ramo di azienda, la base imponibile dei beni e dei diritti ceduti deve essere determinata sulla base dei criteri fissati dal combinato disposto del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43 e dell’art. 51. I beni e i diritti costituendi l’azienda ceduta non potrebbero essere scorporati dalla stessa per essere valutati singolarmente sulla base di criteri dettati per la determinazione della base imponibile di fattispecie diverse da quella concretamente posta in essere.

2.Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43, comma 1, lett. a), art. 51 comma 4 e art. 52, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sotto il profilo dell’illegittima adozione di un criterio differente da quello del “valore venale” nella rideterminazione delle poste dell’attivo patrimoniale e dell’illegittima riqualificazione del negozio giuridico come cessione di azienda, in luogo di cessione di ramo d’azienda. La ricorrente lamenta che, ritenendo erroneamente ceduta l’intera azienda anziché un solo ramo, il giudice di appello avrebbe condiviso la rideterminazione operata dall’Ufficio. Inoltre, essendo l’imposta di registro un’imposta d’atto l’Ufficio non avrebbe potuto rideterminare il valore dei beni e dei diritti prescindendo dagli elementi contenuti nell’atto da registrare e integrandoli con altri esterni e successivi, in violazione della disposizione contenuta nel citato art. 43.

3.Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, commi 2 e 2-bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui i giudici di appello hanno ritenuto sufficiente la motivazione dell’atto impositivo circa l’adozione del criterio dell’investimento sostitutivo ai fini della rideterminazione dell’avviamento. La ricorrente lamenta che, come già evidenziato nei gradi di merito, l’Ufficio non avrebbe indicato i motivi sulla base dei quali ha adottato il metodo del cosiddetto “investimento sostitutivo” contravvenendo allo specifico obbligo di motivazione previsto dalla predetta norma.

4. Con il quarto motivo si denuncia nullità della sentenza per carenza di motivazione, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 111 Cost., comma 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa esposizione delle ragioni che giustificano la rideterminazione dell’avviamento. I giudici di appello, usando una serie di frasi stereotipate e prive di aderenza alla fattispecie in concreto esaminata, avrebbero erroneamente ritenuto l’avviso di accertamento legittimo perché “l’Ufficio ha analizzato tutti i dati forniti dalla società in sede di questionario e li ha elaborati al fine di determinare il maggior avviamento rispetto a quello dichiarato in atti. Da parte sua la società si è limitatata a sostenere l’inesistenza di una redditività annual in Euro 582.782, 32, atteso che l’azienda ha subito la procedura concorsuale di fallimento nel 2013, ben sei anni dopo la cessione”. Con riferimento a tale affermazione, la ricorrente deduce che non sarebbe dato sapere quali siano i dati elaborati dall’Ufficio e ritenuti dal giudicante idonei a sostenere la pretesa impositiva. Il vizio della sentenza sarebbe inoltre ancora più evidente atteso che, a differenza di quanto affermato dai giudici di appello, la società contribuente non si sarebbe limitata a sostenere l’inesistenza della redditività annua, ma avrebbe puntualmente dimostrato la congruità del valore attribuito all’avviamento in sede di cessione.

5. Con il quinto motivo si denuncia nullità della sentenza e del procedimento per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omesso esame della rideterminazione dei valori di trasferimento delle residue componenti attive del ramo di azienda ceduto. La Commissione Tributaria Regionale avrebbe omesso di dirimere una questione controversa tra le parti attinente alla diversa valorizzazione operata dall’Agenzia delle residue componenti attive del ramo di azienda ceduto (i.e.: immobilizzazioni immateriali, finanziarie e rimanenze delle merci di magazzino).

6. Per ragioni di priorità logica va esaminato il secondo motivo di ricorso, con cui si censura l’operato dell’Ufficio, il quale avrebbe fondato la ripresa a tassazione sul presupposto che nella fattispecie sia stato ceduto l’intero complesso aziendale e non il singolo ramo della stessa. Nel controricorso, l’Agenzia delle entrate non ha contestato tale circostanza di fatto, precisando che tale valutazione è stata desunta dal raffronto tra la situazione patrimoniale al 31 dicembre 2006 e quella al 31 dicembre 2007, nonché dalla stessa nota integrativa a quest’ultima e dalla Relazione dell’Amministratore Unico dela società cedente da cui si rileverebbe che, a seguito della cessione, l’attività aziendale si sarebbe interrotta.

Il cedente, secondo l’Ufficio, avrebbe di fatto interrotto la propria attività produttiva ponendo in essere sostanzialmente la cessione dell’intera azienda e non del singolo ramo.

6.1. Le critiche sono fondate. Secondo l’indirizzo espresso da questa Corte, a cui si intende dare continuità: “In tema di imposta di registro, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, nella formulazione successiva alla L. n. 205 del 2017 che, secondo la L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, ne ha fornito l’interpretazione autentica e alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 158 del 2020 e n. 39 del 2021, è legittima l’attività di riqualificazione dell’atto da registrare da parte dell’Amministrazione soltanto se operata “ab intrinseco”, cioè senta alcun riferimento agli atti ad esso collegati e agli elementi extra-testuali, non potendosi essa fondare sull’individuazione di contenuti diversi da quelli ricavabili dalle clausole negoiali e dagli elementi comunque desumibili dall’atto” (Cass. n. 10688 del 2021).

Il del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 dispone infatti che: ” l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla re-gistra.zione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Il testo attuale della disposizione è la conseguenza di modifiche legislative introdotte dalla L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 87, lett. a), nn. 1 e 2) (di “interpretazione autentica” L. n. 145 del 2018, ex art. 1, comma 1084), che recano l’espressa previsione della irrilevanza degli elementi extra testuali e del collegamento negoziale: il legislatore ha voluto imporre una interpretazione isolata dell’atto da sottoporre a registrazione, fondata unicamente sugli elementi da esso desumibili, ribadendo così la natura d’imposta d’atto dell’imposta di registro, la quale colpisce l’atto sottoposto a registrazione quale risulta dallo scritto.

Ne consegue che, nella fattispecie, l’Ufficio non poteva riqualificare, ai fini dell’imposta di registro, l’atto portato a registrazione in cessione dell’intero complesso aziendale, e non del singolo ramo dell’azienda come invece espressamente indicato dalle parti nell’atto negoziale, utilizzando elementi extratestuali, quali nella specie: lo situazione patrimoniale dell’azienda al 31 dicembre 2006 e quello al 31 dicembre 2007, la nota integrativa alla situazione patrimoniale e la Relazione dell’amministratore unico della società cedente (come specificato dall’Agenzia delle entrate in controricorso).

6.2. L’errato presupposto su cui si è fondato l’avviso di rettifica e liquidazione, ossia la cessione dell’intero complesso aziendale e non del singolo ramo, ha determinato, di conseguenza, una diversa base imponibile ai fini della liquidazione dell’imposta di registro, ai sensi degli artt. 51 e 52 TUR. I giudici del merito hanno condiviso la prospetta-zione difensiva dell’Ufficio, ritenendo, sulla base di elementi extrate-stuali che “dai dati di bilancio al 31.12.2007, dalle note integrative e dalla relazione dell’amministratore unico, come ben evidenziato dall’Ufficio, l’attività produttiva, una volta ceduto il ramo, è stata interrotta in quanto impossibilità per mancanza di beni materiali e immateriali e per la forza lavoro a proseguire”, così riqualificando l’operazione negoziale da cessione di ramo d’azienda in cessione dell’intera azienda.

Dall’accoglimento di tale censura consegue l’assorbimento delle restanti, sostanzialmente fondate su contestazioni riguardanti i criteri utilizzati per l’accertamento del maggior valore del bene ceduto, tenuto conto che l’Ufficio, in ragione dei principi chiaramente espressi dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale, avrebbe dovuto determinare l’imposta di registro esclusivamente con riferimento alla operazione negoziale come qualificata dalle parti nel contratto portato a registrazione (cessione del ramo di azienda), ossia come indicato dalle parti nell’atto negoziale, e non in ragione di inammissibili elementi ex-tratestuali.

7. In definitiva, va accolto il secondo motivo di ricorso e dichiarati assorbiti i restanti, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, va accolto il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente. Le spese di lite di ogni fase e grado vanno interamente compensate tra le parti, in ragione della novità legislativa e del recente consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate rispetto all’epoca della introduzione della lite.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente.

Compensa le spese di lite di ogni fase e grado.

Così deciso in Roma, nell’udienza pubblica trattata in camera di consiglio e da remoto, il 4 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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