Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21685 del 29/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27171/2015 R.G. proposto da:

C.A., rappresentata e difesa dall’avv.to Fabio Benincasa, elett. dom. presso lo studio dell’avv.to Alessandro Voglino, in Roma, via F. Slacci 4;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 3203/03/15, depositata il 7 aprile 2015, non notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 25/02/2021 dal Consigliere Adet Toni Novik.

RILEVATO

che:

– C.A. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 3203/03/15, depositata il 7 aprile 2015, di accoglimento dell’appello dell’agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado che aveva parzialmente accolto il ricorso da essa proposto per l’annullamento dell’avviso di accertamento di maggior reddito per Irpef, Iva e altro, relativo all’anno di imposta 2007;

– dall’esame della sentenza di appello si evince che l’Ufficio aveva rettificato il reddito di lavoro autonomo dichiarato dalla contribuente, esercente la professione di avvocato, in relazione a versamenti e prelevamenti ritenuti non giustificati, effettuati su tre conti correnti (di cui due intestati alla contribuente – ***** e ***** – ed uno alla suocera – *****) e recuperato a tassazione le imposte non versate;

– nel disattendere i rilievi della contribuente, secondo cui erano stati presi in esame conti correnti bancari intestati ad altri soggetti e aveva giustificato i movimenti bancari e le operazioni contestate, la CTR rilevava che: – le affermazioni di aver effettuato versamenti e prelevamenti di somme ricevute come risarcimento danni per clienti non erano dimostrate; – in sede di contraddittorio preventivo non erano state esibite le relative fatture né i versamenti risultavano in contabilità; – lo stesso era a dirsi per i versamenti ascritti al padre avvocato, trattandosi di affermazione generica ed espressa in forma dubitativa, stante il termine utilizzato “potessero”; – per il conto intestato alla suocera, la circostanza che la contribuente fosse fornita di delega non superava la presunzione che fosse stato da essa utilizzato per uso personale;

– la CTR determinava quindi in Euro 110.384,58 l’importo dei versamenti non giustificati; quanto ai prelevamenti, rilevava come già l’ufficio li avesse riconosciuti come costi, in base alla presunzione che costituissero la retrocessione in favore dei clienti delle somme percepite in forza della sua attività a titolo di risarcimento danni;

– il ricorso è affidato a quattro motivi;

– l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso, la contribuente denuncia la “Nullità della sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”); contesta che la sentenza impugnata non abbia considerato che nel corso del giudizio aveva fornito analitiche spiegazioni, con relativa documentazione, sulla gran parte delle movimentazioni bancarie (eccependo, tra l’altro, che, in ordine al proprio conto corrente, si trattava di assegni ricevuti a seguito di liquidazioni per cause di risarcimento danni da parte delle compagnie di assicurazione; e, quanto al conto intestato alla suocera, esso in realtà era stato utilizzato dal marito, anch’egli avvocato): la CTR aveva omesso di motivare in ordine alla idoneità della documentazione allegata;

– il motivo è inammissibile;

– deve infatti ribadirsi che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo, applicabile ratione temporis, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv. in L. n. 134 del 2012), ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia): ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., S.U., n. 8053 del 2014);

– con il secondo motivo, la contribuente denuncia la “Nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”, norma che impone al giudice di pronunciare su tutta la domanda;

– la censura, che riproduce in sostanza quella precedente, è manifestamente infondata avendo la CTR preso in esame le domande e spiegato le ragioni per cui non condivideva le giustificazioni fornite dalla contribuente;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la “Nullità della sentenza impugnata per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”: si censura che la CTR abbia ad essa attribuito le operazioni di versamento sul conto corrente della suocera, non considerando che la contribuente non aveva effettuato alcuna operazione su tale conto, e che la maggior parte di esse erano state eseguite dal marito, avvocato R.G.;

– la censura è inammissibile perché tende a contrastare un accertamento di fatto compiuto dalla CTR che, riformando sul punto la sentenza di primo grado, ha affermato che “l’ufficio ha attribuito alla C. tutte le operazioni effettuate dalla stessa sul conto in questione”: si è dinanzi ad una censura in fatto “mascherata” da censura in diritto. La decisione si muove nel solco della giurisprudenza di questa Corte secondo cui: “la contribuente non può fondatamente dolersi del fatto che le indagini bancarie abbiano riguardato conti e depositi intestati a terzi, dovendo ritenersi consentita simile operazione, ai sensi delle norme richiamate, quando l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, ritenuti congrui dal giudice tributario di merito, che tali conti e depositi fossero stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extracontabile, a scopo di evasione fiscale” (Cass. n. 27032/2007, n. 17243/2003, n. 13819/2003, n. 13391/2003, n. 4987/2003, n. 2980/2002, in parte riferibili all’analoga questione in tema d’imposte sui redditi).

– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia la “Nullità della sentenza impugnata per ulteriore violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”, per aver la CTR omesso di pronunciarsi sulla idoneità delle giustificazioni fornite dalla contribuente a ribaltare la presunzione legale posta dalla norma citata in premessa;

– la censura è inammissibile per le ragioni già indicate nell’esame dei primi due motivi di gravame;

– in conclusione, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

– sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater, dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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