Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21689 del 29/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 3558/2015 R.G. proposto da:

San&So Ambiente S.r.l., in persona del suo legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Donatello n. 71, presso lo studio dell’avvocato Pierpaolo Bagnasco, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Ciaramella;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del suo Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ope legis domicilia;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7054/52/14 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 17 luglio 2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 3 marzo 2021, dal Consigliere Dott. Paolitto Liberato.

RILEVATO

che:

1. – con sentenza n. 7054/52/14, depositata il 17 luglio 2014, la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello proposto da San&So Ambiente S.r.l., così integralmente confermando la pronuncia di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione dell’imposta di registro dovuta in relazione alla cessione di ramo di azienda di cui al contratto registrato in data 7 dicembre 2010;

– il giudice del gravame ha ritenuto che:

– secondo dicta giurisprudenziali, il valore di avviamento, tra le parti controverso, si doveva presumere non inferiore a quello derivante dall’applicazione dei criteri posti dal D.P.R. n. 460 del 1996;

– dalla prodotta visura camerale poteva, quindi, desumersi che “la società cedente avesse un duplice oggetto”, – così come dedotto dall’appellante, – ma non anche che “fosse prevalente (quello) del commercio all’ingrosso ed al dettaglio, rispetto a (quello) di autotrasporto per conto terzi, che anzi viene (indicato) per prima.”;

– ad ogni modo, nella determinazione del valore di avviamento, l’amministrazione non si era limitata “a calcolare la media dei ricavi dei tre anni precedenti relativi alla totalità dell’azienda ceduta, ma vi ha sottratto la media dei ricavi dei due anni successivi alla vendita, che rappresentano la redditività dell’attività residuata in capo alla cedente, e quindi presumibilmente quella del commercio all’ingrosso ed al dettaglio, ottenendo così il valore del solo ramo ceduto.”;

2. – San&So Ambiente S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi;

– l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. – il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, espone la denuncia di violazione di legge con riferimento al D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52, ed al D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 4, deducendo, in sintesi, la ricorrente che, – identificandosi l’oggetto della cessione col ramo di azienda destinato all’attività di trasporto merci per conto terzi, cessione comprensiva del titolo autorizzativo ma non anche dei beni strumentali (essendo stati separatamente ceduti i veicoli di proprietà della cedente), – la determinazione del valore di avviamento era conseguita dalla illegittima considerazione dei ricavi, e della percentuale di redditività, riferiti, l’uno e l’altra, al complesso dell’azienda gestita dalla cedente, inclusiva, in quanto tale, (anche) dell’attività di commercio all’ingrosso, ed al dettaglio, di prodotti alimentari, – piuttosto che al (solo) ramo di azienda ceduto; criteri di computo, questi, pertanto difformi da quelli previsti dalla norma dispositiva (art. 2, comma 4, cit.) che, peraltro, nemmeno autorizzava, in chiave di mitigazione del risultato economico, il riferimento alla redditività media dell’azienda gestita da essa esponente nel biennio successivo alla cessione;

– col secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., deducendo, in sintesi, omesso esame di dati contabili e documentali (partitari del conto trasporti e visura camerale storica della società cedente) che, per un verso, davano conto dei ricavi effettivamente conseguiti dall’esercizio dell’attività di trasporto merci per conto terzi e, così, della relativa percentuale di redditività, e che, per il restante, pur esplicitavano il carattere prevalente dell’attività di commercio svolta dalla cedente;

2. – il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento;

2.1 – come rilevato dalla Corte, l’avviamento costituisce una componente del valore dell’azienda, una qualità dell’azienda data dal maggior valore di scambio che il complesso aziendale unitariamente considerato presenta rispetto alla somma dei valori di scambio dei singoli beni che lo compongono; esso, pertanto, va definito, nei suoi termini generali, come capacità di profitto di un’attività produttiva, ossia come quell’attitudine che consente ad un complesso aziendale di conseguire risultati economici diversi (ed, in ipotesi, maggiori) di quelli raggiungibili attraverso l’utilizzazione isolata dei singoli elementi che lo compongono (Cass., 23 giugno 2020, n. 12305; Cass., 6 giugno 2012, n. 9115; Cass., 23 dicembre 2005, n. 28751);

2.2 – come, poi, correttamente rilevato dal giudice del gravame, i criteri di stima di cui al D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, determinano valori minimali dell’avviamento, in funzione dell’accertamento con adesione, così che la loro applicazione, per un verso, integra un indizio a favore dell’Amministrazione, che potrà impiegare un criterio diverso dando conto della sua maggiore affidabilità specifica e, per il restante, pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare, ove lo ritenga, un valore di avviamento inferiore a quello indicato dietro applicazione di parametri diversi da quelli previsti dallo stesso D.P.R. n. 460 cit. (v., ex plurimis, Cass., 23 giugno 2020, n. 12305; Cass., 20 marzo 2019, n. 7750; Cass., 7 aprile 2017, n. 9089; Cass., 27 marzo 2012, n. 4931; Cass., 27 luglio 2007, n. 16705; Cass., 17 febbraio 2006, n. 3505);

– e si e’, in particolare, precisato che se, è possibile che tale accertamento si realizzi per valori superiori a quelli indicati dall’art. 2 cit., è comunque ovvio che il contribuente vi aderisca quando esso si attesti su un importo inferiore a quello che potrebbe legittimamente emergere con autonomo accertamento ordinario e nel successivo contenzioso; così che, se ai detti criteri può attribuirsi un qualche rilievo indiziario, esso è nel senso che il valore effettivo non è inferiore a quello cui si perviene mediante la loro applicazione, con la conseguenza che l’Amministrazione non è tenuta a spiegare i motivi per cui ritiene incongrui nella specie i criteri in questione, ma deve solo fornire gli elementi indiziari sufficienti a giustificare il proprio assunto (Cass., 23 giugno 2020, n. 12305, cit.);

2.3 – nel detrarre, quindi, i redditi medi riferibili alla cedente nel biennio successivo al contratto di compravendita, l’Agenzia ha ben considerato che, nella fattispecie, veniva in rilievo la cessione, piuttosto che dell’azienda della cedente, – del solo ramo aziendale riferibile al trasporto merci conto terzi, così che non risulta violato il criterio di stima dell’avviamento di cui al D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, posto che la detrazione dei redditi medi successivi alla vendita trovava giustificazione proprio nella necessità di scorporare il ramo aziendale di commercio alimentari rimasto in capo alla società cedente;

3. – il secondo motivo di ricorso è inammissibile;

3.1 – il motivo, difatti, seppur formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, tende, in realtà, ad eludere gli stessi limiti di ammissibilità di censure sul vizio di motivazione della gravata sentenza (art. 348 ter c.p.c., comma 4; v. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053) e, così, finisce per devolvere all’esame della Corte i contenuti dell’accertamento che, secondo il regime della cd. doppia conforme, ha formato oggetto delle decisioni di merito, esame questo che in questa sede risulta, per tale profilo, inammissibile;

4. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).

P.Q.M.

La Corte_

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio tenuta da remoto, il 3 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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