LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo M. – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15974/2017 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
La Piazzetta S.r.l., in persona del legale rapp.te p.t.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2212/17/16 della Commissione Tributaria Regionale della Toscana, depositata il 15/12/2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 aprile 2021 dalla Dott.ssa Milena d’Orfano.
RITENUTO
che:
1. con sentenza n. 2216/17/16, depositata il 15 dicembre 2016, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 19/03/15 della CTP di Arezzo, con compensazione delle spese di lite;
2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di liquidazione dell’imposta di registro, relativa ad una sentenza di condanna della contribuente, società controllante, alla restituzione di una somma di denaro dovuta ad altra società controllata in fallimento, pretesa dall’Ufficio in misura proporzionale in luogo di quella fissa corrisposta, in quanto l’operazione di finanziamento infragruppo era stata ritenuta estranea all’ambito IVA;
3. la CTP aveva accolto il ricorso, sul presupposto che il finanziamento fosse riconducibile ad un mutuo e che, in quanto soggetto ad IVA, sebbene esente D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 10, scontasse l’imposta di registro in misura fissa;
4. la CTR, a conferma della decisione di primo grado, aveva ritenuto inconferente il richiamo alla giurisprudenza unionale effettuato dall’Agenzia appellante e che, contrariamente a quanto ritenuto dall’Ufficio nella nota di rigetto dell’istanza di autotutela avanzata dalla società, dall’atto esibito, che disciplinava i rapporti economici tra le società, si potesse evincere che l’operazione avesse avuto carattere oneroso dalla previsione di un tasso di interesse e dalla contabilizzazione degli interessi con cadenza trimestrale;
5. avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione, notificato a mezzo PEC il 15-62017, affidato a due motivi; la società contribuente rimaneva intimata.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 37 e 40, dello stesso decreto, allegata Tariffa, parte prima, art. 8, nonché del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurando l’impugnata sentenza per aver ritenuto assoggettabile ad IVA l’operazione oggetto di causa senza valutarne in concreto il carattere finanziario, che andava escluso in quanto i versamenti in denaro erano stati gestiti mediante un “conto corrente di corrispondenza”, sicché non era configurabile un finanziamento bensì un mero deposito di denaro presso un istituto di credito;
2. con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 37 e 40, dello stesso decreto, allegata Tariffa, parte prima, art. 8, nonché del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 3 e 10, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, in ogni caso, l’assoggettamento ad IVA dell’operazione andava esclusa per l’assenza dei requisiti richiesti dalla giurisprudenza comunitaria in caso di concessione di prestiti infragruppo, da individuarsi nel fatto che l’attività di finanziamento sia svolta dalla società mutuante in modo non occasionale o costituisca prolungamento diretto, permanente e necessario di una sua attività imponibile propria.
Osserva che:
1. Il ricorso va ritenuto inammissibile in quanto entrambi i motivi, che denunciano sotto diversi profili la violazione delle medesime disposizioni di legge, non censurano la chiara ratio decidendi posta dalla CTR a fondamento del rigetto dell’appello.
1.1 L’avviso di liquidazione impugnato ha ad oggetto una richiesta di pagamento dell’imposta di registro, determinata in misura proporzionale ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, allegata tariffa, parte prima, art. 8, comma 1, lett. b), rispetto ad una sentenza di condanna alla restituzione di un finanziamento reso nell’ambito di un rapporto tra due società appartenenti allo stesso gruppo, di cui l’Agenzia contesta l’assoggettabilità ad IVA, seppure in regime di esenzione ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10.
1.2 Il citato art. 8, assoggetta ad imposta di registro gli atti dell’Autorità Giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, un giudizio, prevedendo, in una articolata casistica, fattispecie in cui l’imposta è dovuta in misura fissa ed altre in cui è dovuta in misura proporzionale.
Ai sensi della lett. b) sono soggetti ad un imposta proporzionale del 3% quelli ” recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”; recita poi lo stesso art., nota II:” Gli atti di cui al comma 1, lett. b), e al comma 1-bis, non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi del testo unico, art. 40.”
Secondo il richiamato art. 40, comma 1, “Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa.”.
Dal quadro normativo innanzi delineato deriva l’operatività nel nostro sistema tributario del principio della cd. alternatività tra l’IVA e l’imposta di registro, che esclude l’applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale per la registrazione di atti relativi ad operazioni che risultano già assoggettate ad IVA.
La corretta applicazione di tale principio presuppone che in presenza della registrazione di una sentenza di condanna al pagamento di somme venga verificato, preliminarmente, se quelle stesse somme si riferiscano o meno a prestazioni di beni o servizi soggette all’imposta sul valore aggiunto.
2. Nel caso in esame, la CTR ha ritenuto che la sentenza avesse ad oggetto un’operazione di finanziamento soggetta ad IVA, quale “prestazione di servizi” D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 3, comma 2, n. 3, ancorché poi esentata dall’imposta stessa dal successivo art. 10, n. 1, esenzione che in conformità ad una consolidata giurisprudenza, non esclude l’applicazione del principio dell’alternatività imposta di registro-IVA (sulla soggezione a IVA delle operazioni esenti vedi il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 5, comma 2, nonché Corte Cost. 14 dicembre 2014, n. 279 e 13 luglio 2017, n. 177 e, in particolare, Cass. n. 29385 del 2019; n. 24268 del 2015; n. 9403 del 2007).
2.1 Contrariamente a quanto lamentato dall’Agenzia, la CTR ha fondato la sua decisione proprio sull’accertamento, in concreto, della natura finanziaria ed onerosa dell’operazione, desunta dall’esame dell’atto che regolava i rapporti economici tra le due società; osserva, infatti, la Commissione che nello stesso era prevista l’applicazione di un tasso di interesse, con contabilizzazione degli interessi a cadenza trimestrale.
3. L’accertata onerosità della prestazione assume rilevanza anche in ordine al secondo motivo, rispetto alla giurisprudenza comunitaria citata dall’Ufficio, in quanto la sentenza della Corte di Giustizia del 14 novembre 2000, in causa Euro 142/99 Floridienne SA, Berginvest, oltre ad essere effettivamente relativa a fattispecie diversa, come rilevato dalla CTR, in quanto esamina la diversa questione del meccanismo del calcolo del pro rata di deduzione dell’IVA, subordina comunque l’assoggettamento all’IVA di operazioni di prestito tra società dello stesso gruppo al fatto che esse costituiscano un’attività economica dell’operatore prevista dalla sesta Dir., art. 4, n. 2, oppure il prolungamento diretto, permanente e necessario di un’attività imponibile.
3.1 Osserva la Corte Europea, al punto 28 della citata sentenza, che “Affinché l’attività di una società capogruppo consistente nel mettere un capitale a disposizione delle sue controllate possa essere considerata di per sé un’attività economica, consistente nello sfruttamento di detto capitale per ricavarne introiti aventi carattere permanente sotto forma di interessi, occorre che tale attività non sia esercitata soltanto a titolo occasionale e che non si limiti alla gestione di un portafoglio di investimenti alla guisa di un investitore privato (v., in tal senso, sentenze 20 giugno 1996, causa C-155/94, Wellcome Trust, Racc. pag. 1-3013, punto 36; 26 settembre 1996, causa C-230/94, Enkler, Racc. pag. 1-4517, punto 20), ma che sia effettuata nell’ambito di un obiettivo imprenditoriale o ad un fine commerciale, contraddistinto in particolare dall’intento di garantire la redditività dei capitali investiti”.
4. Ebbene, il punto decisivo della ritenuta onerosità e redditività del finanziamento, accertata in concreto dalla CTR, e da cui la Commissione ha fatto conseguire l’assoggettabilità dell’operazione ad IVA, e quindi l’applicazione del principio dell’alternatività Iva-Registro, non è stato oggetto di alcuna censura in entrambi i motivi di ricorso.
Rileva altresì che, a giudizio della CTR, la stessa Agenzia, nella nota denegativa dell’istanza di autotutela della società, non avrebbe escluso la riconducibilità della fattispecie ad un finanziamento fruttifero tra società infragruppo.
4.1 Sul punto, costituisce orientamento consolidato che il motivo che non si correla alla ratio decidendi effettiva della sentenza è inammissibile alla stregua del principio di diritto (già affermato da Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi, fatto proprio dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 7074 del 2017 e già anteriormente da Sez. U n. 16598 e n. 22226 del 2016), secondo cui: “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4".
5. In assenza di censure in ordine all’unica ratio decidendi, il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
5.1 Nulla sulle spese, stante la mancata costituzione della parte intimata.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 7 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021