Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21699 del 29/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo M. – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12439/2018 R.G. proposto da:

C.F. ed Investimenti Immobiliare s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t., elett.te domiciliati in Macerata alla via Marche n. 80, presso lo studio dall’avv. Bruno Mandrelli da cui sono rapp.ti e difesi come da mandato in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

nonché

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 18/5/18 della Commissione Tributaria Regionale delle Marche, depositata il 19/1/2018, notificata il 20-22018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 aprile 2021 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano.

RITENUTO

che:

1. con sentenza n. 18/5/18, depositata il 19 gennaio 2018, notificata il 20 febbraio 2018, la Commissione Tributaria Regionale delle Marche accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 20/1/13 della CTP di Ascoli Piceno, con condanna al pagamento delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di due identici avvisi di liquidazione, con cui era stata recuperata a tassazione l’imposta di registro, nella misura proporzionale del 3%, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, rispetto ad un verbale di assemblea straordinaria della società Immobiliare Finanziaria s.r.l., in cui era stata enunciata la rinuncia da parte dei soci C.F. ed Investimenti Immobiliare s.r.l., alla restituzione di un finanziamento infruttifero;

3. la CTP aveva accolto il ricorso ritenendo l’atto non adeguatamente motivato, anche alla luce della mancata allegazione dell’atto presupposto richiamato solo per relationem;

4. la CTR aveva accolto l’appello sul rilievo che gli avvisi impugnati contenessero le necessarie indicazioni circa l’atto da cui derivava il recupero di imposta nonché la relativa motivazione, e legittima la pretesa impositiva fondata sull’enunciazione nel verbale assembleare della rinuncia dei soci alla restituzione del finanziamento;

5. avverso la sentenza di appello i contribuenti proponevano ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 9-4-2018, affidato a due motivi; l’Agenzia e il Ministero costituivano con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso i contribuenti deducono la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, della L. n. 241 del 1990, art. 3, e dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, insistendo sul difetto di motivazione degli avvisi, ai quali non era stato allegato l’atto presupposto, né vi era stato riportato il suo contenuto essenziale, a nulla rilevando che i contribuenti ne potessero avere conoscenza aliunde;

2. con il secondo motivo eccepiscono la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, rilevando che la delibera assembleare trattava di un diverso oggetto, riferendosi la vicenda del finanziamento infruttifero alle condizioni della cessione stabilite nell’atto.

Osserva che:

1. Preliminarmente va dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia e della Finanze che non risulta parte dei precedenti giudizi di merito, né altrimenti legittimato alla partecipazione al presente giudizio.

2. Il primo motivo di ricorso risulta infondato.

2.1 A sostegno dell’obbligo gravante sull’amministrazione finanziaria di allegare all’avviso di liquidazione dell’imposta di registro l’atto contenente l’enunciazione ripesa a tassazione i contribuenti invocano la L. 27 luglio 2000 n. 212, art. 7, comma 1 (c.d. “Statuto del contribuente”), a tenore del quale: “Gli atti dell’amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama”.

Secondo il costante insegnamento di questa Corte (Cass., Sez. 5, 25 luglio 2012, n. 13110; Cass., Sez. 5", 20 febbraio 2019, n. 4176; Cass., Sez. 5, 19 novembre 2019, n. 29968), l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento, o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notifica.

In particolare si ritiene che la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisca esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza, al fine di consentirgli il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive, laddove in mancanza egli sarebbe costretto ad un’attività di ricerca che comprimerebbe illegittimamente il suo diritto di difesa (Cass., Sez. 5", 4 luglio 2014, n. 15327; Cass., Sez. 5", 11 maggio 2017, n. 11623; Cass., Sez. 5", 19 novembre 2019, n. 29968) in coerenza con il disposto della stessa L., art. 10, comma 1, secondo cui i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al “principio della collaborazione e della buona fede”.

2.2 Come già rilevato da questa Corte (Vedi Cass. n. 21713 del 2020), l’obbligo per l’amministrazione finanziaria di comunicare, in allegato all’avviso di liquidazione, un atto già noto al contribuente integrerebbe un adempimento superfluo ed ultroneo, che, da un lato, determinerebbe un eccessivo aggravamento degli oneri connessi all’esercizio della potestà impositiva e, dall’altro, non varrebbe a fornire elementi utili e significativi per la tutela del diritto di difesa nei confronti della pretesa tributaria, dovendo ritenersi l’amministrazione finanziaria esonerata dall’obbligo di allegazione ex art. 7 cit., con riguardo agli atti presupposti (negoziali, amministrativi o giudiziali) di cui il contribuente abbia avuto conoscenza, sia stato destinatario ovvero sia stato parte (anche a mezzo di rappresentante legale o volontario), trattandosi di incombenza ridondante rispetto alla finalità di garantire un’informazione adeguata ed un efficace esercizio del diritto di difesa in ordine all’incidenza degli atti impositivi.

Analoghi principi sono stati da ultimo affermati, sempre in tema di imposta di registro, con riferimento agli obblighi di allegazione di atti giudiziari quali conciliazioni (vedi Cass. n. 13402 del 2020), o sentenze (vedi Cass. n. 239 del 2021).

3. Nella specie, è pacifico che i ricorrenti abbiano partecipato nella qualità di soci, ed il C. anche nella sua qualità di legale rappresentante, sia della società partecipata che di quella partecipante, all’assemblea straordinaria il cui verbale costituisce atto presupposto degli avvisi impugnati, per cui si deve fondatamente e ragionevolmente presumere che essi abbiano avuto piena ed integrale conoscenza della portata e del tenore delle determinazioni ivi adottate.

3.1 Ne consegue che l’omissione o l’assolvimento dell’allegazione di quel verbale nulla avrebbe tolto o aggiunto alle cognizioni dei contribuenti sui presupposti fattuali e sulle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione finanziaria, tra l’altro chiaramente indicate nell’atto, grazie al riferimento all’enunciazione, di cui al punto 4 del verbale, dei versamenti in conto finanziamento infruttifero da parte dei soci.

4. Anche il secondo motivo non merita accoglimento.

4.1 In tema di imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 22, comma 1, stabilisce che se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene l’enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate; ne consegue che va assoggettato ad imposta di registro il finanziamento soci, già inserito tra le poste passive del bilancio, enunciato in un atto di ripianamento delle perdite del capitale sociale e la sua ricostituzione mediante rinuncia dei soci ai predetti finanziamenti in precedenza effettuati nei confronti della società, e ciò a prescindere dall’effettivo uso del finanziamento medesimo (Cass. 30 giugno 2010, n. 15585; analogamente Cass. 30 ottobre 2015, n. 22243 e Cass. 12 dicembre 2019 n. 32516).

La CTR si è correttamente attenuta a tale principio laddove ha ritenuto che dovesse essere assoggettato all’imposta di registro un finanziamento sulla base della sua sola enunciazione nel verbale di assemblea, atto che è comunque soggetto a registrazione (Cass. 24 luglio 2013, n. 17957), ed al quale parteciparono gli stessi soggetti dell’atto enunciato.

5. Il ricorso va pertanto rigettato.

5.1 Segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità nei confronti dell’Agenzia, che si liquidano come da dispositivo; nulla sulle spese nei confronti del Ministero rimasto intimato.

5.2. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, in quanto notificato dopo tale data, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione rigettata.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso siccome proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

rigetta il ricorso proposto nei confronto dell’Agenzia delle Entrate;

condanna i ricorrenti a pagare all’Agenzia delle Entrate le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 2.300,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata da remoto, il 7 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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