LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giusep – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Mar – Consigliere –
Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12674/2015 R.G. proposto da:
Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
G.E., L.G. e L.F. quali eredi di B.D., rappresentati e difesi dall’Avv. Antonella Venuti, con domicilio eletto presso l’Avv. Francesco Cristiani in Roma via Po n. 43, giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 2155/1/14, depositata in data 10 novembre 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 aprile 2021 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.
RILEVATO
che:
L’Agenzia delle entrate impugna per cassazione, con un motivo, la sentenza della CTR in epigrafe che, confermando la decisione della CTP di Massa Carrara, aveva ritenuto l’Amministrazione finanziaria decaduta dall’azione accertativa in relazione all’avviso notificato a B.D. in data ***** per la ripresa di Iva indebitamente detratta per l’anno d’imposta 2002, non trovando applicazione, in aggiunta al termine raddoppiato D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 57, comma 3, la proroga di cui al D.L. n. 138 del 2011, art. 2, comma 5-ter.
G.E., L.G. e L.F. quali eredi di B.D. resistono con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. L’unico motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57. e del D.L. n. 138 del 2011, art. 2, comma 5 ter, per aver la CTR ritenuto non applicabile la proroga introdotta dalla norma da ultimo citata al termine previsto dal citato D.P.R. n. 633, art. 57, comma 3, avente natura di termine ordinario in presenza di condotte di rilievo penale ed essendosi il contribuente già avvalso della sanatoria di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 7.
2. Va disattesa, preliminarmente, l’eccezione di inammissibilità formulata dai controricorrenti: l’Ufficio difatti ha individuato la ratio della sentenza impugnata e censurato l’interpretazione della norma, argomentando in relazione alla sentenza della Corte Cost. n. 247 del 2011, su cui pure la CTR ha fondato la soluzione accolta.
3. Nel merito, il ricorso è fondato.
3.1. Appare opportuno, in primo luogo, definire l’ambito normativo qui rilevante. In particolare:
a) il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, che, nel testo ratione temporis vigente, prevede: “In caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, i termini di cui ai commi precedenti sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione.”
b) il D.L. n. 138 del 2011, art. 2, comma 5 bis, prevede: “l’Agenzia delle entrate e le società del gruppo Equitalia e di Riscossione Sicilia, al fine di recuperare all’entrata del bilancio dello Stato le somme dichiarate e non versate dai contribuenti che si sono avvalsi dei condoni e delle sanatorie di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, anche dopo l’iscrizione a ruolo e la notifica delle relative cartelle di pagamento, provvedono all’avvio, entro e non oltre trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di una ricognizione di tali contribuenti. Nei successivi trenta giorni, le società del gruppo Equitalia e quelle di Riscossione Sicilia provvedono, altresì, ad avviare nei confronti di ciascuno dei contribuenti di cui al periodo precedente ogni azione coattiva necessaria al fine dell’integrale recupero delle somme dovute e non corrisposte, maggiorate degli interessi maturati, anche mediante l’invio di un’intimazione a pagare quanto concordato e non versato alla prevista scadenza, inderogabilmente entro il termine ultimo del 31 dicembre 2011”.
c) il D.L. n. 138 del 2011, art. 2, comma 5 ter, prevede: “In caso di omesso pagamento delle somme dovute e iscritte a ruolo entro il termine di cui al comma 5-bis, si applica una sanzione pari al 50 per cento delle predette somme e la posizione del contribuente relativa a tutti i periodi di imposta successivi a quelli condonati, per i quali è ancora in corso il termine per l’accertamento, è sottoposta a controllo da parte dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza entro il 31 dicembre 2013, anche con riguardo alle attività svolte dal contribuente medesimo con identificativo fiscale diverso da quello indicato nelle dichiarazioni relative al condono. Per i soggetti che hanno aderito al condono di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, i termini per l’accertamento ai fini dell’imposta sul valore aggiunto pendenti al 31 dicembre 2011 sono prorogati di un anno”.
3.2. Sulla portata e interpretazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, è intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 247 del 2011, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate, fornendo al contempo, alcune importanti precisazioni.
La Corte, in particolare, ha affermato che i termini raddoppiati di accertamento non costituiscono una “proroga” di quelli ordinari, da disporsi a discrezione dell’amministrazione finanziaria procedente, in presenza di eventi peculiari ed eccezionali.
Al contrario, i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva (quando, cioè, sussista l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000), senza che all’amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione.
Questa impostazione è stata fedelmente recepita dalla Corte di cassazione (v. Cass. n. 10345 del 26/04/2017, secondo la quale “il cd. raddoppio dei termini previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per l’IRPEF, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, per l’IVA, non integra un’ipotesi di proroga dei termini ordinari, trattandosi di fattispecie distinte disciplinate direttamente ed autonomamente dalla legge in relazione a presupposti diversi, costituiti dal riscontro di elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale (per i primi) e dalla sussistenza di violazioni tributarie per le quali, invece, tale obbligo di denuncia non sussiste (per i secondi)”).
3.3. La Corte costituzionale ha, in secondo luogo, precisato il rapporto tra il citato art. 57 (e il citato art. 43) e le “altre” fattispecie di proroga previste dall’ordinamento.
Sul punto ha affermato “Per completezza, va infine rilevato che, in forza della specialità del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, censurato comma 3, non rientrano nel computo dei termini da raddoppiare i prolungamenti di quelli previsti da altre disposizioni di legge. Induce a tale conclusione la lettera del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, citato comma 3, che prevede il raddoppio dei soli “termini di cui ai commi precedenti” dello stesso articolo; e cioè dei termini che scadono il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione (comma 1), nonché dei termini che scadono il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata (comma 2).”
Ne ha derivato che “Non rientrano… nel computo dei termini da raddoppiare ai sensi delle disposizioni denunciate né la proroga biennale di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 10, né il diverso raddoppio dei termini del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, medesimi commi 1 e 2, previsto, nell’ambito degli interventi antievasione e antielusione internazionale e nazionale, dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 12, comma 2-bis (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2009, n. 102, comma inserito dal D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, art. 1, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 2010, n. 25.” e “Pertanto, nel caso in cui i prolungamenti di termini previsti dalle disposizioni denunciate e da altre disposizioni siano astrattamente applicabili in relazione alla medesima fattispecie, l’amministrazione finanziaria non potrà mai utilizzarli in modo cumulativo al fine di superare il massimo dell’ampliamento temporale previsto dalla singola normativa più favorevole per l’amministrazione. Questa interpretazione esclude che le disposizioni denunciate possano concorrere a rendere irragionevolmente lunghi i tempi dell’accertamento”.
3.4. La ratio di queste ultime affermazioni, dunque, è così enucleabile:
– il cd. raddoppio riguarda solo i termini previsti dai primi due commi dell’art. 57 cit.;
– se vi sono altre discipline di proroga queste “non rientrano nel computo dei termini da raddoppiare”;
– se queste diverse discipline concorrono (con il cd. raddoppio) con riguardo alla stessa fattispecie è escluso che il raddoppio riguardi il termine prorogato ma si applicherà solo la singola normativa più favorevole per l’Amministrazione.
Ciò significa che il termine cd. raddoppiato potrà essere di otto o dieci anni in relazione a quanto previsto dall’art. 57, comma 1 o 2; se, in forza di una autonoma legge di proroga, il termine ordinario (4 o 5 anni) dovesse essere aumentato di un lasso di tempo (ad esempio un biennio ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 10), tale circostanza non muta il computo del raddoppio, ossia la proroga biennale non incide sui termini D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 57, commi 1 e 2, ai fini della determinazione del termine previsto dal comma 3 della norma.
Il cd. raddoppio, pertanto, non include anche la proroga (ossia, 4 + 2 = 6 e quindi 12; 5 + 2 = 7 e quindi 14) ma resta sempre ancorato alla previsione originaria, restando applicabile il regime più favorevole per l’Amministrazione (dunque 4 + 2 = 6 oppure 8; 5 + 2 = 7 oppure 10).
Resta, cioè, escluso il cumulo (“il prolungamento”) nel computo “dei termini da prolungare”.
3.5. Ciò detto, nella fattispecie in giudizio, la previsione di cui al D.L. n. 138 del 2011, art. 2, comma 5 ter, è esplicitamente ancorata, con riguardo alle riprese Iva e sempreché l’interessato avesse a suo tempo aderito al condono di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, alla pendenza dei termini per l’accertamento alla data del 31 dicembre 2011 e, dunque, non attiene al computo dei termini (su cui operare il raddoppio) ma investe tutti i termini di accertamento, siano essi calcolati ai sensi dell’art. 57, commi 1, 2 o 3.
Ossia, non investe la base di computo per il cd. raddoppio ma riguarda direttamente anche il termine – ordinario in presenza di illecito di rilievo penale – previsto dall’ultimo comma della norma.
3.6. Va sottolineato, infine, che una diversa interpretazione avrebbe una chiara valenza abrogans dell’ultimo periodo del D.L. n. 138 del 2011, art. 2, comma 5 ter, (“Per i soggetti che hanno aderito al condono di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, i termini per l’accertamento ai fini dell’imposta sul valore aggiunto pendenti al 31 dicembre 2011 sono prorogati di un anno”): l’univoco riferimento, ai fini della individuazione dei soggetti passivi, all’adesione al condono previsto dalla L. n. 289 del 2002, comporta, infatti, che, per essi e per l’annualità oggetto del condono, il termine di accertamento dovrebbe essere sempre già integralmente decorso, da cui l’inutilità della norma.
Ne’ si può ritenere che il riferimento debba essere colto con riguardo alle annualità successive a quelle condonate: queste sono infatti regolate dalla prima parte della norma, che, esplicitamente afferma “la posizione del contribuente relativa a tutti i periodi di imposta successivi a quelli condonati, per i quali è ancora in corso il termine per l’accertamento, è sottoposta a controllo da parte dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza entro il 31 dicembre 2013”, dunque anche con un diverso prolungamento del termine.
4. Va pertanto affermato il seguente principio di diritto “in materia di accertamento ai fini Iva, la proroga di un anno prevista dal D.L. n. 138 del 2011, art. 2, comma 5 ter, si applica a tutti i termini ordinari di accertamento pendenti alla data del 31 dicembre 2011, ivi compreso quello previsto al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3, ratione temporis vigente, che, pur strutturato secondo il meccanismo del raddoppio dei termini di cui ai commi 1 e 2, costituisce termine ordinario per l’accertamento in presenza del riscontro di elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale”.
5. In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese, alla CTR competente in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Toscana in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021