LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29738-2018 proposto da:
UNICALCESTRUZZI S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, BEGHINI COSTRUZIONI IN ACCIAIO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, BUZZI UNICEM S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, LUNGRE DEI MELLINI 24, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO NICOLETTI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO TRIBOLO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti e controricorrenti all’incidentale –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso il decreto di accoglimento n. cronol. 1410/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 15/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/10/2020 dal Consigliere COSENTINO ANTONELLO;
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il sig. R.F. ha proposto ricorso, sulla scorta di quattro motivi, per la cassazione del decreto della corte d’appello di Perugia, che ha dichiarato improponibile la domanda dallo stesso formulata nei confronti del Ministero dell’Economia e delle finanze di condanna al pagamento di un equo indennizzo la L. n. 89 del 2001, ex art. 2, per l’irragionevole durata di un giudizio amministrativo istaurato nel 2004 innanzi al Tar Lazio (n. 88/2004).
La Corte di appello ha giudicato improponibile la domanda di equa riparazione ai sensi del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, nel testo novellato dal D.Lgs. n. 104 del 2010 (applicabile ratione temporis) al procedimento in esame, introdotto in data 24.11.2011) sull’assunto clic nel giudizio non fosse stata depositata l’istanza di prelievo.
Con il primo motivo di ricorso – riferito alla violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, nel testo novellato dal D.Lgs. n. 114 del 2010, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – il ricorrente deduce che la corte territoriale, nell’affermare che “Non risulta depositata l’istanza di prelievo” (pg. 1 decreto imputato), avrebbe stravolto il significato delle risultanze probatorie, risultando agli atti l’avvenuto deposito tanto dell’istanza di fissazione dell’udienza in data 8.01.04 quanto di quella di prelievo in data 11.11.09.
Con il secondo motivo di ricorso – riferito all’omessa valutazione di un fatto storico decisivo risultante dagli atti di causa ex art. 360 c.p.c., n. 5 – il ricorrente deduce, in via subordinata rispetto alla prima doglianza, che la corte d’appello, nel dichiarare improponibile il ricorso sull’assunto dell’omesso deposito dell’istanza di prelievo, avrebbe trascurato un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, ossia l’avvenuta presentazione, nell’ambito del giudizio presupposto, di formale istanza di prelievo ai sensi del R.D. n. 642 del 1907, art. 51; ciò risulterebbe, si argomenta nel mezzo di impugnazione, dalla scheda denominata “Dettaglio del ricorso” relativa al giudizio iscritto al n. 88/2004 pendente innanzi al Tar Lazio, dalla copia dell’istanza risultante agli atti e dalla nota prot. 1138 del 29.01.18 a firma del Dirigente della Prima Sezione del TAR Lazio.
Con il terzo motivo – riferito alla violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5 e dell’art. 738 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – si rileva che, in tema di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del processo, il ricorrente ha l’onere di allegare gli elementi fumali relativi al giudizio presupposto, quali la data di inizio, quella di chiusura e l’oggetto d(1 contendere, e gli altri dati relativi alla sua posizione nel processo, essendo invece rimesso al potere d’iniziativa del giudice acquisire gli atti relativi al giudizio presupposto allo scopo di verificare la detta violazione. La corte territoriale avrebbe dunque errato. argomenta il ricorrente, nel rigettare la domanda sul rilievo di carenze probatorie superabili con l’esercizio del suddetto potere.
Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. n. 133 del 2008, come novellato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 3, comma 23, dell’allegato 4 e dal D.Lgs. correttivo n. 195 del 2011, art. 1, comma 3, lett. a), n. 6), per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione agli art. 6, par. 1, artt. 13 e 46, par. 1, della CEDU, nella parte in cui, relativamente ai giudizi pendenti alla data del 16 settembre 2010 e per la loro intera durata, subordina la proponibilità della domanda di equa riparazione per l’irragionevole durata dei giudizi amministrativi alla previa presentazione dell’istanza di prelievo. Il ricorrente richiama, sul punto, la giurisprudenza della Corte EDU, che ha ritenuto che l’inammissibilità automatica dei ricorsi per equa riparazione, basata unicamente sull’omessa presentazione dell’istanza di prelievo, privi il cittadino della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente, ostacolando l’effettività della tutela giurisdizionale (caso Olivieri c/ Italia 22.02.2016).
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha spiegato difese in questa sede.
La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 22 ottobre 2020, per 12 quale non sono state depositate memorie.
I primi tre motivi di ricorso contestano l’accertamento della corte d’appello in ordine all’inesistenza dell’istanza di prelievo ed il quarto solleva la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, che, per i giudizi promossi dal 16 settembre 2010, sancisce l’improponibilità integrale della domanda in conseguenza della mancata presentazione dell’istanza di prelievo.
Nel senso dell’accoglimento del ricorso, con assorbimento di tutti i motivi, risulti dirimente la pronuncia della Corte Costituzionale n. 34/2019, che ha dichiarato l’incostituzionalità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, come novellato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, rendendo non necessaria, ai fini della proponibilità della domanda di equa riparazione, la presentazione dell’istanza di prelievo nel giudizio presupposto. Si veda in tal senso Cass. sent. n. 21709/2019: “In relazione all’irragionevole durata dei processi amministrativi già pendenti alla data del 16 settembre 2010 e non soggetti alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, nella formulazione derivante dalle modifiche introdotte dalla L n. 208 del 2015, a seguito della sentenza n. 34 del 2019 della Corte Costituzionale dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, come novellato dal D. Lgs. n. 104 del 2010, la presentazione dell’istanza di prelievo nel giudizio presupposto non rappresenta più una condizione di proponibilità della domanda di equa riparazione, ma può costituire elemento indiziante di unga sopravvenuta carena o di non serietà dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo assumere rilievo ai fini della quanti, dell’indennizzo”.
Il ricorso va pertanto accolto e l’impugnato decreto va cassato con rinvio alla corte d’appello di Perugia in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE Rilevato:
che le società UNICALCESTRUZZI S.P.A., BEGHINI COSTRUZIONI IN ACCIAIO S.R.L., BUZZI UNICEM S.P.A., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, ricorrono, col medesimo atto, per la cassazione del Decreto n. 1410/2018 con cui la Corte di appello di Roma – adita dal Ministero della Giustizia con l’opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, – ha revocato il decreto del consigliere delegato che aveva condannato il Ministero della Giustizia a rifondere a ciascuna di loro, oltre alle spese giudizio ed accessori, la somma di Euro 9.000,00 a titolo di equo indennizzo vie per l’irragionevole durata del fallimento di ***** S.p.A, dichiarato con sentenza del 18.07.1992 e chiuso con decreto del 19.05.2016;
che la Corte d’appello ha ritenuto inammissibile la domanda di equa riparazione per violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, sul rilievo che essa era stata proposta (in dare 18.12.2016) quando era ancora pendente il termine lungo per reclamare il decreto di chiusura del fallimento R.D. n. 267 del 1942, ex art. 26 (legge fallimentare);
che la Corte d’Appello ha reputato che, trattandosi di fallimento aperto nel 1992, il termine lungo per reclamare il decreto di chiusura non fosse quello di gg. 90 introdotti dalla L.Fall., art. 26, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 3 (testo applicabile, si sottolinea nell’impugnato decreto, soltanto alle procedure concorsuali aperte successivamente alla entrata in vigore del medesimo D.Lgs. n. 169 del 2007), bensì il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c.;
che la stessa Corte di Appello ha inoltre ritenuto (sempre in ragione della data di apertura del fallimento) che il testo dell’art. 327 c.p.c., applicabile nella specie fosse quello anteriore, e non quello posteriore, alla novella recata dalla L. n. 69 del 2009. Facendo quindi riferimento al termine annuale e non a quello semestrale;
che il ricorso si articola in due motivi;
che con il primo motivo si censura il decreto impugnato invocando lo jus supervemens recato dalla sentenza C. Cost. 26.4.2018 n. 88 (successiva al decreto impugnato depositato il 15.3.2018) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 4, nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione possa essere avanzata in pendenza del procedimento presupposto;
che con il secondo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il decreto e censurato per violazione o falsa della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, in combinato disposto con l’art. 645 c.p.c., poichè – affermano i ricorrenti – il giudizio di opposizione al decreto del giudice delegato ha effetto devolutivo pieno, con la conseguenza che, poichè il termine lungo annuale per l’impugnazione del decreto di chiusura del fallimento era spirato (in data 10.06.17) prima dell’udienza dell’opposizione tenutasi davanti alla Corte d’Appello data 06.11.17), quest’ultima non avrebbe comunque potuto sancire l’inammissibilità della domanda di equa riparazione;
che i ricorrenti, per l’ipotesi di cassazione con decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, chiedono venga confermato il decreto del giudice delegato e contestano l’argomento speso dal Ministero della Giustizia in sede di opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter (e ritenuto assorbito nel decreto qui impugnato) secondo cui l’indennizzo nei confronti di BUCCI UNICEM S.p.A. andrebbe ridimensionato per essere stata tale società parzialmente soddisfatta in sede di riparto dell’attivo fallimentare;
che il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale;
che con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e/o falsa applicazione del L. n. 89 del 2001 per avere il decreto del consigliere delegato liquidato in favore di BUCCI UNICEM S.P.A. una somma maggiore di quanto dalla stessa percepito in sede di riparto dell’attivo fallimentare;
che con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia, in relazione al art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia per non avere il decreto del consigliere delegato preso in considerazione, ai fini della quantificazione della durata irragionevole della procedura fallimentare, la stesura da quattro piani di riparto parziale, in cui fu liquidato un attivo in favore di oltre quattrocento creditori;
che con il terzo motivo del ricorso incidentale si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, per avere il decreto del consigliere delegato considerato come dies a quo per il calcolo della durata irragionevole del processo la data di deposito della sentenza che pronunciò il fallimento, e non la data in cui i ricorrenti si insinuarono al passivo;
che i ricorrenti hanno resistono con controricorso al ricorso incidentale proposto dal Ministero della Giustizia;
che la causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 22 ottobre 2020. per la quale i ricorrenti hanno depositato memoria;
ritenuto:
che il primo motivo del ricorso principale è fondato;
che con la sentenza n. 88/2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimita costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 4 (nel testo sostituito dal n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. d, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012) per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., art. 111 Cost., comma 2, e art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 6, paragrafo 1, e 13 della CEDUI, nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione, una volta maturato il ritardo, possa essere presentata In pendenza del procedimento presupposto;
che questa Corte ha già precisato, nella sentenza n. 26162 del 2018, che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 2018, la definitività del provvedimento che ha definito il procedimento presupposto non costituisce condizione di proponibilità della domanda, potendo quest’ultima essere presentata, qualora sia già maturato ritardo, in pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione della ragionevole durata si assume essersi verificata;
che, per l’effetto, il primo motivo di ricorso va accolto;
che il secondo motivo di ricorso principale è assorbito dall’accoglimento del primo al riguardo va evidenziato, con riferimento all’argomento che si legge nel terzo rigo di penultimo capoverso di pag. 7 del ricorso, che nessun interesse può riconoscersi alle ricorrenti alla pronuncia su tale motivo, nemmeno ai fini delle regolazione delle spese del giudizio, dovendo tale regolazione essere operata dal giudice del rinvio, per tutte e fasi del giudizio, alla luce dell’esito complessivo della lite;
che il ricorso incidentale è inammissibile, perchè tutti i motivi in cui esso si articola risultano privi di pertinenza alla ratio decidendi del decreto impugnato (il quale, net revocare il decreto del consigliere delegato, ha giudicato la domanda di equa riparazione inammissibile, perchè tardiva, senza pronunciarsi sotto alcun profilo sulla sua fondatezza); detti motivi toccano infatti questioni (relative alle pronuncia del decreto del consigliere delegato revocata con il decreto qui impugnato) che eventualmente potranno formare oggetto del giudizio di rinvio;
che quindi il ricorso principale va accolto in relazione al primo motivo, con assorbimento del secondo, il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile e il decreto impugnato va cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, anche per le spese dcl giudizio di cassazione.
PQM
La Corte:
– accoglie il ricorso principale in relazione al primo motivo, assorbito il secondo: dichiara inammissibile il ricorso incidentale; cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in altra composizione, anche per la liquidazione delle spese dcl presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021