LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10269-2020 proposto da:
E.U., elettivamente domiciliato in Jesi (AN), al Corso Matteotti n. 69/b, presso lo studio dell’Avvocato Paolo Cognini, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –
avverso il decreto n. cronol. 1883/2020 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 17/02/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 20 /05 /2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAMPESE EDUARDO.
FATTI DI CAUSA
1. E.U. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi, avverso il decreto del Tribunale di Ancona del 17 febbraio 2020, n. 1883, reiettivo – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale – della sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero dell’Interno non si è costituito nei termini di legge, ma ha depositato un “atto di costituzione” al solo fine di prendere eventualmente parte alla udienza di discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.
1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quel tribunale, tenuto conto del racconto del richiedente, ritenuto affatto inattendibile, e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza (Nigeria, Delta State, Akuku Agbor), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I formulati motivi di ricorso prospettano, rispettivamente:
I) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4: Mancanza della motivazione/motivazione apparente – Nullità del decreto per violazione dell’art. 112 c.p.c. – Nullità del decreto per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 9, comma 2 – Nullità del decreto per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 429c.p.c., comma 1, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., commi 1 e 2 – Nullità del decreto per violazione dell’art. 111 Cost.”, sostanzialmente lamentandosi l’assoluta carenza di motivazione in riferimento al giudizio di inattendibilità del richiedente posto a fondamento della determinazione reiettiva con la quale si è concluso il giudizio di merito;
II) “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: Violazione di legge e falsa applicazione in riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 8, al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 13, comma 1-bis, e art. 27, commi 1 e 1-bis – Carenza di istruttoria – Illogicità dei criteri interpretativi – Violazione dei principi di diritto in materia di protezione internazionale ed attinenti allo scrutinio della richiesta di protezione”, censurandosi l’asserita violazione, nella specie, dei fondamentali principi di diritto in materia di protezione internazionale e, in particolare, dei parametri normativi che devono disciplinare la valutazione del narrato del richiedente e la sua attendibilità.
2. Tali doglianze sono scrutinabili congiuntamente perché connesse, oltre che accomunate dalla medesima ragione di inammissibilità.
2.1. Giova, invero, sottolineare che il tribunale dorico, diversamente da quanto oggi sostenuto dal ricorrente, ha ampiamente e puntualmente esposto le ragioni che l’hanno indotto a considerare affatto inattendibile, il racconto dell’odierno ricorrente (che aveva dichiarato di aver lasciato il suo Paese – Nigeria, Delta State, Akuku Agbor – temendo di essere arrestato perché omosessuale), “che non è stato in grado di circostanziare la vicenda (nomi, tempo, luogo) su fatti essenziali e determinanti l’espatrio, né è emerso un sincero sforzo volto a specificare la domanda”. Quel giudice lo ha valutato come non plausibile “essendo improbabile che il migrante sia stato avvertito dallo zio che lo avvisava della pericolosità di quanto faceva. In realtà, come evidenziato dalla commissione territoriale, in Nigeria la famiglia è il primo agente persecutore, sicché è poco convincente che la stessa famiglia non abbia adottato misure volte a far cessare l’attività, è ugualmente non attendibile la modalità con cui il migrante sia evaso e, dunque, lo stesso fatto di essere stato accusato per omosessualità. Sostiene di essere stato arrestato insieme al suo compagno e due amici, non sentendosi bene ed avendo freddo, il poliziotto lo avrebbe fatto uscire fuori per farlo riscaldare al sole, in un cortile senza recinzioni e lui sarebbe riuscito ad andarsene senza essere notato. Quanto all’accusa di omosessualità, non è in grado di fornire nessun elemento di dettaglio circa la pena o il processo a suo carico… ” amplius, pag. 1-2 del decreto impugnato).
2.2. Va altresì rimarcato che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, ancora recentemente (cfr. Cass. n. 7712 del 2021; Cass. n. 1503 del 2021; Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18116 del 2019), che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019). Posto, allora, che è possibile ravvisare una motivazione apparente nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice (cfr., ex multis, Cass. n. 9017 del 2018), un simile vizio – da apprezzare qui non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva – e’, all’evidenza, insussistente: infatti, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione che consente agevolmente di individuare gli elementi da cui il tribunale ha tratto il proprio convincimento e si rivela ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass., SU, n. 8053 del 2014. La ritenuta inattendibilità dell’odierno ricorrente gli preclude, dunque, la possibilità di ottenere lo status di rifugiato; ii) in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori investe le domande formulate ai sensi del predetto decreto, art. 14, lett. a) e b) (cfr. Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 4892 del 2019), mentre, quanto a quella proposta giusta la lettera c), del medesimo decreto, il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, ed ha rilevato che, sostanzialmente, il Delta State e la città di Akuku Agbor, in Nigeria, non siano caratterizzati dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante. Su questo preciso punto, la relativa censura del ricorrente si rivela assolutamente generica, oltre che priva di qualsivoglia riferimento a fonti alternative, rispetto a quelle utilizzate dal tribunale, da cui poter eventualmente desumere una conclusione opposta a quella di quest’ultimo.
2.2.1. A tanto deve solo aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 2355 del 2020; Cass. n. 9842 del 2019; Cass. n. 30105 del 2018).
2.3. Conclusioni pressoché analoghe si impongono, da ultimo, con riferimento al mancato riconoscimento della cd. protezione umanitaria (da scrutinarsi sulla base della relativa disciplina anteriore a quella introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2018. Cfr. Cass., SU, 13.11.2019, nn. 2945929461; Cass. n. 4890 del 2019), atteso che il tribunale, oltre alla ritenuta inattendibilità del ricorrente sui fatti (condizione di omosessualità) che ne fondavano la corrispondente istanza, ha altresì specificamente escluso l’esistenza di situazione di effettiva vulnerabilità del richiedente senza che il rilievo in tal modo operato abbia trovato adeguata replica nell’illustrazione dei motivi di ricorso.
2.4. A fronte di tali approfonditi rilievi, che danno conto della correttezza dell’operazione di sussunzione dei fatti allegati alle norme di legge di cui il ricorrente ha chiesto l’applicazione, le doglianze sviluppate in ricorso investono, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione internazionale ed umanitaria), senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposte, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (Dott. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative gr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017 e Cass., SU, n. 34476 del 2019). In altri termini, non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (cfr., ex multis, Cass. n. 1636 del 2020; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 13954 del 2007; Cass. n. 12052 del 2007; Cass. n. 7972 del 2007; Cass. n. 5274 del 2007; Cass. n. 2577 del 2007; Cass. n. 27197 del 2006; e così via, sino a risalire a Cass. n. 1674 del 1963, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpreta.zione delle prove in senso dorme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”).
3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo uncato, pari a quello previsto per il ricorro a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 20 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021