Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.21825 del 29/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23009/2019 proposto da:

M.P., rappresentato e difeso dall’Avv. Alessandra Nava, elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell’Avv. Francesco Colosimo, via Antonio Allegri da Correggio, n. 11, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, nella persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– resistente –

e nei confronti di:

Il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Venezia;

Il Pubblico Ministero, in persona del Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Venezia;

– intimati –

avverso il decreto della Corte di appello di Venezia n. 66/2019 del 27 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 aprile 2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO

CHE:

1. Con decreto del 27 aprile 2019, la Corte di appello di Venezia ha rigettato il reclamo proposto da M.P. avverso il provvedimento del Tribunale per i minorenni di Venezia che aveva respinto l’istanza presentata ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31 di potere rimanere in Italia, dovendo accudire i figli M.M., nato a ***** e M.S., nata a *****.

2. La Corte di appello ha osservato che il reclamante non aveva illustrato, né documentato gli elementi di fatto relativi all’applicabilità della norma di cui al D.Lgs. n. 268 del 1998, art. 31 e che egli non poteva prestare attività lavorativa regolare presso la trattoria gestita dalla coniuge a *****, con la conseguenza che lo stesso non poteva fornire alcun valido contributo all’economia familiare, mentre era incompatibile con le esigenze educative e formative dei minori la sua condotta anteriore e specificamente la condanna ad anni cinque e quattro mesi di reclusione, confermata anche in grado di appello, inflittagli per il reato inerente gli stupefacenti.

3. Avverso detto decreto ricorrono M.P. con atto affidato a due motivi.

4. Il Ministero dell’Interno si è costituito al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 31, comma 3, , in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di appello aveva dato rilievo al contributo dato all’economia domestica e alla sua condotta di vita pregressa e non aveva considerato il pregiudizio allo sviluppo psicofisico che avrebbero subito i figli in caso di rientro in patria del padre e dell’intero nucleo familiare, che si sarebbe dovuto allontanare dall’Italia.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame sulle istanze istruttorie formulate per accertare l’eventuale situazione di pregiudizio dei minori in caso di rientro in ***** e specificamente della richiesta di consulenza tecnica d’ufficio e di acquisizione di dettagliata relazione da parte dei Servizi Sociali competenti.

Si duole, in particolare, il ricorrente che la Corte territoriale abbia violato il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 31, comma 3, concentrando il suo esame su circostanze estranee a quelle su cui, per converso, si sarebbe dovuta concentrare, a fronte del rilevato grado di radicamento e della formulazione di specifiche istanze istruttorie ad integrazione del quadro probatorio.

2.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perché connessi, sono fondati.

2.2 In tema di autorizzazione temporanea alla permanenza in Italia del genitore del minore, la tutela prevista nel D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 31, comma 3, si fonda sul presupposto dell’esistenza del diritto del minore alla permanenza sul nostro territorio senza perdere, ancorché soltanto a determinate condizioni, la relazione genitoriale con il cittadino straniero che sia sfornito di un titolo di soggiorno.

Il legislatore, nel citato art. 31, comma 3, chiarisce che la valutazione da svolgere ha ad esclusivo oggetto l’accertamento del grave disagio sullo sviluppo psico-fisico del minore derivante dall’allontanamento coattivo dei genitori dal territorio italiano e il diritto alla genitorialità, anche in deroga alle disposizioni che regolano l’ingresso ed il soggiorno dei cittadini stranieri.

In particolare, la norma prevede che lo speciale permesso di soggiorno ivi previsto possa essere concesso per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore.

2.3 Il consolidato orientamento di questa Corte è nel senso che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 31, comma 3, in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psicofisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, ma può comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto (Cass., Sez. U., 25 ottobre 2010, n. 21799; Cass., 7 settembre 2015, n. 17739; Cass., 12 dicembre 2017, n. 29795).

Le Sezioni Unite richiamate hanno, altresì, evidenziato che deve essere sempre svolta una valutazione prognostica che non richiede l’esistenza di condizioni di emergenza o di circostanze contingenti od eccezionali strettamente collegate alla salute del minore, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave con la precisazione che deve trattarsi di situazioni di non lunga ed indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che si concretino in eventi traumatici e non prevedibili non rientranti nel normale disagio dovuto al rimpatrio di un familiare (Cass., Sez. U., 25 ottobre 2010, n. 21799; Cass., 3 marzo 2020, n. 5938).

Inoltre, è stato precisato che il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 31 non può essere interpretato in senso restrittivo, tutelando il diritto del minore ad avere rapporti continuativi con entrambi i genitori anche in deroga alle altre disposizioni del decreto, sicché la norma comprende ogni danno grave che potrebbe subire il minore, sulla base di un giudizio prognostico circa le conseguenze di un peggioramento delle sue condizioni di vita con incidenza sulla sua personalità, cui egli sarebbe esposto a causa dell’allontanamento dei genitori o dello sradicamento dall’ambiente in cui è nato e vissuto, qualora segua il genitore espulso nel luogo di destinazione (Cass., 21 febbraio 2018, n. 4197).

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, poi, precisato che la condanna per uno dei reati considerati ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all’esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario ma non assoluto (Cass., Sez. U., 12 giugno 2019, n. 15750).

Anche di recente questa Corte ha ribadito che i gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, che consentono la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del suo familiare, secondo la disciplina prevista dal D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 31, devono consistere in situazioni oggettivamente gravi, comportanti una seria compromissione dell’equilibrio psico-fisico del minore, non altrimenti evitabile se non attraverso il rilascio della misura autorizzativa e che la normativa in esame non può essere intesa come volta ad assicurare una generica tutela del diritto alla coesione familiare del minore e dei suoi genitori (Cass., 16 gennaio 2020, n. 773).

2.4 IL giudizio prognostico sul pregiudizio per il minore non è stato svolto dalla Corte territoriale, che ha soltanto evidenziato l’impossibilità per il padre di svolgere attività lavorativa regolare e il precedente penale a suo carico, così omettendo l’analisi di merito che doveva essere incentrata sui minori, oltre che sul ruolo genitoriale nell’accompagnamento dei minori nel loro percorso di integrazione sul territorio nazionale, tenuto conto che i due figli sono nati entrambi in Italia e il primo frequenta la scuola secondaria di primo grado e la seconda il nido.

2.5 Nel caso in esame, la Corte territoriale si è limitata a formulare una prognosi negativa su elementi non riguardanti i minori, ma esclusivamente il precedente penale a carico del padre per reati non meglio precisati inerenti la droga.

Ciò a fronte dell’allegazione del ricorrente, che ha pure articolato sul punto istanze istruttorie, diretta a dimostrare il pregiudizio che, a fronte di un consolidato inserimento nel tessuto italiano dei minori, sarebbe derivati agli stessi da un rimpatrio del padre o al seguito di questo.

In tal modo, spostando l’oggetto del giudizio prognostico dalle esigenze esistenziali ed educative dei figli alla prospettiva del padre, privilegiando l’analisi di quest’ultimo a scapito di quella dei due figli minori, tutti nati in Italia e perfettamente integrati nel mondo scolastico.

La valutazione della pena in espiazione, infatti, è un criterio che non rientra tra quelli elaborati dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 17750 del 2019, richiamata, che invece prevede un giudizio di bilanciamento, del tutto omesso nel caso in esame, tra la gravità del reato commesso e l’interesse dei minori a non essere esposti al grave disagio psicofisico così come indicato nell’art. 31, comma 3, criterio preminente di giudizio ancorché non assoluto.

In particolare, la Corte di merito non si è posta il problema delle difficoltà di ambientamento che i figli, nati in Italia e quivi vissuti ininterrottamente, potrebbero incontrare a causa dell’allontanamento del padre, figura peraltro quasi sempre presente, unitamente a quella della madre.

3. Per quanto esposto, il ricorso va accolto; il decreto impugnato va cassato, in relazione al menzionato principio di diritto, con il conseguente rinvio della causa alla Corte di appello di Venezia in altra composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021

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