Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21843 del 30/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 22582 del ruolo generale dell’anno 2014, proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente si domicilia;

– ricorrente –

contro

VACANZE ITALIANE T.O. srl in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario e legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Livia Salvini per delega a margine del ricorso, presso la stessa elettivamente domiciliata in Roma, nel viale Giuseppe Mazzini n. 11;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata in data 17 febbraio 2014, n. 832/38/2014;

Sentita la relazione svolta dal consigliere Grazia Corradini nella camera di consiglio dei 22 gennaio 2021.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 216/18/2012 la Commissione Tributaria Provinciale di Milano accolse il ricorso proposto dalla società Vacanze Italiane Tour Operator avverso la cartella di pagamento n. *****, notificata in data 15.11.2010, recante la iscrizione a ruolo per omesso/carente versamento di IVA, interessi e sanzioni per il complessivo importo di Euro 44.343,07, disposta a seguito di controllo automatizzato effettuato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bissulla base dei dati esposti nel modello IVA 2007 presentato per il periodo di imposta 2006, che aveva evidenziato la insussistenza del credito IVA indicato per l’anno 2006 in Euro 31.918,00, perché derivante dalla dichiarazione 2005 che peraltro era stata presentata senza compilare il quadro IVA.

Successivamente alla notifica della cartella di pagamento, la società Vacanze Italiane in amministrazione straordinaria – che aveva già presentato una prima dichiarazione integrativa “a favore”, in data 29 gennaio 2007, ai fini IRES ed IRAP per l’anno 2005 – in data 22 dicembre 2010 aveva integrato anche i dati IVA non indicati nella dichiarazione 2005 (Unico 2006), esponendo un credito IVA che veniva riportato nella annualità 2006, la quale quindi, in base alla dichiarazione integrativa, si era chiusa con un credito IVA di Euro 34.331,00. La contribuente aveva, in conseguenza, presentato ricorso, in data 8.1.2011, contro la cartella di pagamento sostenendo che aveva avuto difficoltà a reperire “tutta la documentazione necessaria per collegare il periodo fiscale precedente a quello dell’apertura della procedura concorsuale con quello successivo” ma che aveva nel frattempo presentato la dichiarazione integrativa esponendo il credito del 2005 da riportare nel 2006, per cui nulla doveva. E la Commissione Tributaria Provinciale accolse il ricorso, respingendo preliminarmente la tesi dell’Ufficio – per cui la dichiarazione integrativa non avrebbe avuto effetto in quanto presentata oltre il termine, ai sensi del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa alla annualità di imposta successiva -, alla stregua del principio per cui il termine ragionevole per la emendabilità della dichiarazione doveva essere quello quadriennale paritariamente fissato per la rettifica della dichiarazione IVA da parte dell’Ufficio, ma ritenendo, pure, nel contempo, che la mancata indicazione del credito IVA nella dichiarazione originaria, in quanto incolpevole e dovuta alla impossibilità per l’amministratore straordinario, appena nominato, di avere una completa cognizione della situazione dell’IVA all’atto della presentazione della dichiarazione, dovesse essere qualificata come un errore materiale nella compilazione dell’atto emendabile nel giudizio in base ai principi generali e che infine “quanto alla pretesa inesistenza del credito riportato dal contribuente, l’Ufficio non ha fornito alcuna prova in merito” (v. sentenza di primo grado trascritta a pagg. 7 e 8 del controricorso).

Decidendo sull’appello della Agenzia delle Entrate, che ripropose la questione della tardività della dichiarazione integrativa “a favore” che doveva essere presentata entro il 30.9.2007, mentre invece era stata prodotta il 22.12.2010, in violazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 832 del 2014, depositata in data 17 febbraio 2014, ha confermato la sentenza di primo grado, rilevando che, in forza del principio di parità e di bilanciamento delle posizioni contribuente – fisco, il termine per la emendabìlità della dichiarazione doveva essere ritenuto quello quadriennale stabilito per l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 973, art. 43 mentre la contraria interpretazione dell’Ufficio appariva fondata su una riduttiva lettura del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis.

Contro la sentenza di appello, non notificata, la Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, con atto notificato in data 10-13 novembre 2014.

Resiste con controricorso e successiva memoria la società Vacanze Italiane in amministrazione straordinaria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con un unico motivo l’Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 332 del 1998, art. 2, comma 8 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che il termine per la presentazione della dichiarazione integrativa “a favore del contribuente” per correggere errori e omissioni che avevano determinato un maggior reddito o, comunque, un maggior debito di imposta o un minor credito, fosse quello quadriennale stabilito per la rettifica della dichiarazione da parte dell’Ufficio, senza tenere conto della modifica legislativa di cui, appunto, al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, introdotto con il D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, art. 2, comma 1, lett. d), relativo alla dichiarazione integrativa “a favore” del contribuente, applicabile ratione temporis nel caso in esame, che aveva imposto che la integrazione in melius potesse essere presentata dal contribuente solo entro il termine perentorio di presentazione della dichiarazione relativa al successivo periodo di imposta; così come ritenuto anche dalla interpretazione offerta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, subito dopo la entrata in vigore della modifica legislativa, che aveva rilevato come la disposizione non si ponesse in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e di capacità contributiva poiché il limite temporale, posto come termine di decadenza, non incideva sul distinto tema del rimborso.

2. La contribuente ha opposto che la dichiarazione fiscale relativa al 2005 (annualità in cui era sorto il credito di imposta) era stata presentata senza compilare il quadro IVA per errore materiale derivante da difficoltà organizzative incontrate dalla società all’atto dell’avvio della amministrazione straordinaria, con conseguente impossibilità di reperire la documentazione fiscale necessaria a riconciliare i dati contabili afferenti il periodo di imposta anteriore all’assoggettamento alla procedura concorsuale con quelli successivi, il che giustificava le dichiarazioni integrative del 2007 e del 2010, relative rispettivamente alle imposte sui redditi ed all’IVA e la correzione dell’errore materiale che era stata fatta valere anche nel corso del giudizio di impugnazione della cartella esattoriale, mediante l’utilizzazione di una facoltà che era stata riconosciuta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13378 del 30 giugno 2016 e che prescindeva, qualora la correzione della dichiarazione fosse avvenuta ad opera del contribuente nel giudizio, dall’inutile decorso del termine entro il quale doveva ritenersi legittima la presentazione di una dichiarazione integrativa favorevole al contribuente.

3. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è infondato poiché, pur essendo vero che la motivazione della sentenza di appello non può essere condivisa laddove attribuisce al D.P.R. n. 332 del 1998, art. 2, comma 8 bis, una valenza che non gli appartiene, in contrasto con la ratio della novella legislativa, peraltro a Agenzia delle Entrate non si confronta con la seconda ratio decidendi sviluppata nella sentenza di primo grado, integralmente trascritta nel controricorso, che è stata recepita per relationem anche dalla sentenza di secondo grado, completamente confermativa della prima, per cui il credito IVA, che era stato eddotto nel giudizio attraverso la produzione della dichiarazione integrativa a favore, pur se non indicato inizialmente nella dichiarazione per l’anno 2005 in cui era sorto, era stato comunque riportato ed indicato nella dichiarazione per l’anno 2006 come credito sorto nel 2005, era attuale, non era prescritto ed era effettivamente esistente, per cui non poteva essere disconosciuto nel giudizio tributario, dovendosi distinguere fra l’iter previsto dalla procedure amministrative e quello conseguente alle decisioni che si impongono in sede giudiziaria dove è interesse preminente quello di una corretta gestione degli interessi di entrambe le parti; il che imponeva che si dovesse tenere conto nel giudizio del credito effettivamente esistente, con conseguente annullamento della iscrizione a ruolo.

4. La tesi recepita dai giudici di merito, successivamente ad un contrasto giurisprudenziale in seno a questa Corte con orientamenti contrastanti citati dalle parti a rispettivo favore nel giudizio di merito, ha trovato poi soluzione attraverso una decisione delle sezioni unite di questa Corte che ha affermato il principio, ormai ampiamente consolidato, per cui “In caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 13378 del 30/06/2016 Rv. 640206 – 01 e successive conformi: Sez. 5 -, Ordinanza n. 30796 del 28/11/2018 Rv. 651567 – 01; Sez. 5 -, Sentenza n. 27583 del 30/10/2018 Rv. 650962 – 01; Sez. 5 -, Ordinanza n. 11507 del 11/05/2018 Rv. 648025 – 01).

5. L’attuale approdo giurisprudenziale – cui si ritiene di dare continuità in questa sede – è quindi nel senso che il comma 8 bis, introdotto con il D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435 prevede che le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo; però occorre distinguere il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, cui si applicano i termini previsti dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8 e 8 bis rispetto a quelle che governano il processo tributario. Ciò in quanto oggetto del contenzioso giurisdizionale è l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente. Dunque, in tal caso, non si verte in tema di “dichiarazione integrativa” ex art. 2 cit., o di richiesta di rimborso D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38 e sussiste il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo, fornendo prova delle circostanze, quali anche errori o omissioni presenti nella dichiarazione fiscale. Ed è per questo che il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2 e dall’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria.

6. Nel caso che occupa l’Agenzia delle Entrate si è doluta del fatto che la dichiarazione integrazione resa dalla contribuente era a credito e, perciò, era stata presentata oltre il previsto termine. Però nella specie si applica il principio, risultante dalla pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite n. 17757 del 08/09/2016 Rv. 640943 – 01 (e successive conformi: Sez. 5 -, Sentenza n. 4392 del 23/02/2018 Rv. 647546 – 01; Sez. 5 -, Ordinanza n. 15459 del 13/06/2018 Rv. 649185 – 01), secondo cui “La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili”.

7. L’emenda nella specie era quindi possibile, essendo stato rispettato anche in caso di (Ndr: testo originale non comprensibile) il termine di decadenza biennale, poiché il credito era sorto nel 2005 ma era stato esercitato nella dichiarazione per 2006, risultando in modo conforme dagli scritti difensivi delle parti (oltre che dalla trascrizione nelle controdeduzioni del ruolo e della dichiarazione integrativa, nonché dall’accertamento compiuto dal giudice di primo grado, trascritto a pagine, 7 del controricorso, confermato da giudice di appello), che, pur considerando che il credito era sorto nel 2005, quando non era stata compilata e quindi neppure presentata la dichiarazione IVA, esso era stato peraltro dichiarato e riportato con la dichiarazione per il 2006 (mod. IVA 2007) in Euro 31.918,00 (in misura corrispondente alla dichiarazione integrativa IVA per il 2005 in data 22 dicembre 2010) e quindi nel termine biennale di decadenza che era stato rispettato, il che comporterebbe comunque la conferma della sentenza impugnata, ancorché per motivo diverso da quello prospettato dai giudici di appello (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 11652 del 11/05/2017 Rv. 644123 – 01), scongiurando peraltro il pericolo di perdita di gettito fiscale che non vi è stato poiché il credito era reale (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1426 del 26/01/2016 Rv. 638626 – 01).

8. Ne consegue che, pur avendo la contribuente, subito dopo avere ricevuto la cartella esattoriale e cioè nelle more fra la notifica della stessa e la proposizione del ricorso, presentato la dichiarazione integrativa IVA “a favore” oltre il termine di decadenza, ciò non inficiava la possibilità, di fatto esercitata in sede di ricorso originario contro la cartella esattoriale, di fare valere in sede giudiziaria la esistenza di un credito IVA che “neutralizzava” la pretesa dell’Ufficio fatta valere con la iscrizione a ruolo, avendo rispettato per la dichiarazione il termine biennale e trattandosi, d’altronde, di un credito esistente e mai contestato, quanto alla esistenza, dall’Ufficio.

9. Fermo restando il carico delle spese già disposto nel giudizio di merito, in considerazione della difficoltà della questione di diritto, oggetto di orientamento non costante, mentre l’attuale approdo giurisprudenziale è intervenuto soltanto successivamente alla presentazione del ricorso per cassazione con la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte del 2016, può disporsi l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

10. Non sussistono i presupposti, pur se la impugnazione è respinta integralmente, per affermare l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, poiché tale obbligo non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (v. ex multis Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016 Rv. 638714 – 01)

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e dichiara compensate fra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 22 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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