LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angel – Maria –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –
Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 7435 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente si domicilia;
– ricorrente –
contro
VACANZE ITALIANE Spa, in amministrazione straordinaria, in persona del commissario straordinario e legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Livia Salvini per delega a margine del ricorso, presso la stessa elettivamente domiciliata in Roma, nel viale Giuseppe Mazzini n. 11;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Basilicata, depositata in data 2 settembre 2014, n. 451/3/2014;
Sentita la relazione svolta dal consigliere Grazia Corradini nella camera di consiglio del 22 gennaio 2021.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 45/2/2011 la Commissione Tributaria Provinciale di Matera accolse il ricorso proposto dalla società Vacanze Italiane Spa in amministrazione straordinaria avverso la cartella di pagamento n. 06720100004550874, notificata in data 25.5.2010, recante la iscrizione a ruolo per omesso/carente versamento di IVA, interessi e sanzioni per il complessivo importo di Euro 439.979,38, disposta a seguito di controllo automatizzato effettuato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis sulla base dei dati esposti nel modello IVA 2007 presentato per il periodo di imposta 2006, che aveva evidenziato la insussistenza del credito IVA indicato per l’anno 2006 in Euro 316,376,00, perché derivante dalla dichiarazione 2005 che peraltro era stata presentata senza compilare il quadro IVA, il che ne avrebbe precluso il riporto a nuovo nel 2006.
Successivamente alla notifica della cartella di pagamento, la società Vacanze Italiane Spa in amministrazione straordinaria – che aveva già presentato una prima dichiarazione integrativa “a favore”, in data 29 gennaio 2007, ai fini IRES ed IRAP per l’anno 2005 – in data 9 giugno 2010 aveva integrato anche i dati IVA non indicati nella dichiarazione 2005 (Unico 2006), esponendo un credito IVA che veniva riportato nella annualità 2006, la quale quindi, in base alla dichiarazione integrativa, si era chiusa con un credito IVA di Euro 1.562.524,00, per effetto della somma fra il “riportato” credito IVA (di Euro 519.074,00), relativo al 2005 e non dichiarato in quell’anno, e quello sorto nel 2006. La contribuente aveva, in conseguenza, presentato ricorso contro la cartella di pagamento sostenendo che si trattava di credito IVA maturato e dichiarato nella annualità 2004, non riportato per errore materiale nel 2005, ma poi riportato integralmente nella dichiarazione IVA per l’anno 2006 e che peraltro aveva nel frattempo presentato la dichiarazione integrativa esponendo il credito del 2005 da riportare nel 2006, per cui nulla doveva. E la Commissione Tributaria Provinciale accolse il ricorso ritenendo che la dichiarazione integrativa fosse stata correttamente presentata nel termine quadriennale di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57 così come ritenuto dall’orientamento della Corte Suprema vigente in quel momento, in base al quale la dichiarazione del contribuente, essendo un momento essenziale del procedimento di accertamento e di riscossione del tributo, poteva essere emendata al fine di dimostrare l’inesistenza anche parziale del dei presupposti della imposta recuperata.
Decidendo sull’appello della Agenzia delle Entrate, che ripropose la questione della tardività della dichiarazione integrativa “a favore” che doveva essere presentata entro i termini di presentazione della dichiarazione del successivo anno 2007, mentre invece era stata prodotta nel 2010, in violazione del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis la Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, con sentenza n. 451/3/2014, depositata in data 2 settembre 2014, ha confermato la sentenza di primo grado, rilevando che, in forza del principio di parità e di bilanciamento delle posizioni contribuente – fisco, il termine per la emendabilità della dichiarazione doveva essere ritenuto quello quadriennale stabilito per l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e che peraltro, come ritenuto anche dalla Corte Suprema, la emendabilità era possibile anche in sede contenziosa in tutti i casi in cui da errori della dichiarazioni derivi l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi da quelli che, in base alla legge, devono restare a suo carico; con la conseguenza che doveva essere ritenuto comunque errato l’operato dell’Ufficio il quale aveva proceduto alla rettifica per l’anno 2006 senza considerare che i crediti IVA risultanti dalle dichiarazioni rettificate dalla contribuente erano reali per cui nulla era dalla stessa dovuto.
Contro la sentenza di appello, non notificata, la Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, con atto notificato in data 5-16 marzo 2015.
Resiste con controricorso e successiva memoria la società Vacanze Italiane Spa in amministrazione straordinaria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con un unico motivo l’Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 332 del 1998, art. 2, comma 8 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che il termine per la presentazione della dichiarazione integrativa “a favore del contribuente” per correggere errori e omissioni che avevano determinato un maggior reddito o, comunque, un maggior debito di imposta o un minor credito, fosse quello quadriennale stabilito per la rettifica della dichiarazione da parte dell’Ufficio, senza tenere conto della modifica legislativa di cui, appunto, al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8 bis, introdotto con il D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, art. 2, comma 1, lett. d), relativo alla dichiarazione integrativa “a favore” del contribuente, applicabile ratione temporis nel caso in esame, che aveva imposto che la integrazione in melius potesse essere presentata dal contribuente solo entro il termine perentorio di presentazione della dichiarazione relativa al successivo periodo di imposta; così come ritenuto anche dalla interpretazione offerta dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, subito dopo la entrata in vigore della modifica legislativa, che aveva rilevato come la disposizione non si ponesse in contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza e di capacità contributiva poiché il limite temporale, posto come termine di decadenza, non incideva sul distinto tema del rimborso.
2. La contribuente ha opposto che il credito di imposta, sorto nell’esercizio fiscale 2004 – anno in cui era stato dichiarato – non era stato indicato, per errore, nella dichiarazione relativa alla annualità fiscale 2005 (annualità per la quale non era stato compilato il quadro IVA, pur presente in dichiarazione, a causa delle difficoltà organizzative incontrate dalla società all’atto dell’avvio della procedura di amministrazione straordinaria alla quale la stessa era stata sottoposta con decreto dell’8 marzo 2006), ma era stato poi riportato in avanti nel periodo di imposta 2006, il che giustificava le dichiarazioni integrative del 2007 e del 2010, relative rispettivamente alle imposte sui redditi ed all’IVA e la correzione dell’errore materiale relativo alla annualità 2005 che era stata fatta valere anche nel corso del giudizio di impugnazione della cartella esattoriale, mediante l’utilizzazione di una facoltà che era stata riconosciuta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13378 del 30 giugno 2016 e che prescindeva, qualora la correzione della dichiarazione fosse avvenuta ad opera del contribuente nel giudizio, dall’inutile decorso del termine entro il quale doveva ritenersi legittima la presentazione di una dichiarazione integrativa favorevole al contribuente. In ogni caso, sempre secondo la tesi della controricorrente, la omissione della dichiarazione IVA relativa alla annualità 2005, non poteva comportare la inutilizzabilità nel 2006 del credito sorto e dichiarato per la annualità 2004 – e non utilizzato in precedenza – anche alla luce del principio giurisprudenziale per cui, in tema di IVA, ove il contribuente fruisca di un credito di imposta per un determinato anno e lo esponga nella dichiarazione annuale, non perde il diritto alla sua detrazione se omette di riportarlo nella dichiarazione relativa all’anno successivo, atteso che la decadenza è comminata, giusta il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 28, comma 4, soltanto per il caso in cui il credito (o l’eccedenza di imposta versata) non venga indicato nella prima dichiarazione utile.
3. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è infondato poiché, pur essendo vero che la motivazione della sentenza di appello non può essere condivisa laddove attribuisce al D.P.R. n. 332 del 1998, art. 2, comma 8 bis, una valenza che non gli appartiene, secondo cui anche la dichiarazione integrativa “a favore” potrebbe essere eseguita nel più vasto termine di decadenza previsto per l’accertamento, in chiaro contrasto con la ratio della novella legislativa invocata dall’Agenzia delle Entrate, peraltro quest’ultima non si confronta con la seconda ratio decidendi sviluppata nella sentenza di primo grado, integralmente trascritta nel controricorso, che è stata recepita per relationem anche dalla sentenza di secondo grado, completamente confermativa della prima, per cui il credito IVA, che era stato dedotto nel giudizio attraverso la produzione della dichiarazione integrativa a favore, pur se non indicato inizialmente nella dichiarazione per l’anno 2005, era stato comunque indicato nella dichiarazione per l’anno 2004 in cui era sorto e poi riportato ed indicato nella dichiarazione per l’anno 2006 come credito sorto nel 2004, e che inoltre era attuale, non era prescritto ed era effettivamente esistente, per cui non poteva essere disconosciuto nel giudizio tributario, dovendosi distinguere fra l’iter previsto dalla procedure amministrative e quello conseguente alle decisioni che si impongono in sede giudiziaria dove è interesse preminente quello di una corretta gestione degli interessi di entrambe le parti; il che imponeva che si dovesse tenere conto nel giudizio del credito effettivamente esistente e mai contestato in quanto tale neppure dalla Agenzia delle Entrate, con conseguente annullamento della iscrizione a ruolo.
4. La tesi recepita dai giudici di merito, successivamente ad un contrasto giurisprudenziale in seno a questa Corte con orientamenti contrastanti citati dalle parti a rispettivo favore nel giudizio di merito, ha trovato poi soluzione attraverso una decisione delle sezioni unite di questa Corte che ha affermato il principio, ormai ampiamente consolidato, per cui “In caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 13378 del 30/06/2016 Rv. 640206 – 01 e successive conformi: Sez. 5 -, Ordinanza n. 30796 del 28/11/2018 Rv. 651567 – 01; Sez. 5 -, Sentenza n. 27583 del 30/10/2018 Rv. 650962 – 01; Sez. 5 -, Ordinanza n. 11507 del 11/05/2018 Rv. 648025 – 01).
5. L’attuale approdo giurisprudenziale – cui si ritiene di dare continuità in questa sede – è quindi nel senso che il comma 8 bis, introdotto con il D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435 prevede che le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo; però occorre distinguere il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, cui si applicano i termini previsti dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, commi 8 e 8 bis rispetto a quelle che governano il processo tributario. Ciò in quanto oggetto del contenzioso giurisdizionale è l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente. Dunque, in tal caso, non si verte in tema di “dichiarazione integrativa” ex art. 2 cit., o di richiesta di rimborso D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 38 e sussiste il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo, fornendo prova delle circostanze, quali anche errori o omissioni presenti nella dichiarazione fiscale. Ed è per questo che il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2 e dall’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria.
6. Nel caso che occupa l’Agenzia delle Entrate si è doluta del fatto che la dichiarazione integrazione resa dalla contribuente era a credito e, perciò, era stata presentata oltre il previsto termine. Però nella specie si applica il principio, risultante dalla pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite n. 17757 del 08/09/2016 Rv. 640943 – 01 e successive conformi: Sez. 5 -, Sentenza n. 4392 del 23/02/2018 Rv. 647546 – 01; Sez. 5 -, Ordinanza n. 15459 del 13/06/2018 Rv. 649185 – 01), secondo cui “La neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicché, in tal caso, nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili”.
7. L’emenda nella specie era quindi possibile, anche se il (Ndr: testo originale non comprensibile) fosse stato (Ndr: testo originale non comprensibile) essendo stato rispettato il termine di decadenza biennale, poiché il credito era sorto nel 2004 e dichiarato nel 2005 ma poi riportato ed esercitato (in assenza della dichiarazione IVA per il 2005) nella dichiarazione del 2007 per il 2006 e quindi nel termine biennale di decadenza, che era stato rispettato, il che comporterebbe comunque la conferma della sentenza impugnata, ancorché per motivo diverso da quello prospettato dai giudici di appello (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 11652 del 11/05/2017 Rv. 644123 – 01), scongiurando peraltro il pericolo di perdita di gettito fiscale che non vi è stato poiché il credito era reale (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 1426 del 26/01/2016 Rv. 638626 – 01).
8. Ne consegue che, pur avendo la contribuente, subito dopo avere ricevuto la cartella esattoriale e cioè nelle more fra la notifica della stessa e la proposizione del ricorso, presentato la dichiarazione integrativa IVA “a favore” oltre il termine di decadenza, ciò non inficiava la possibilità, di fatto esercitata in sede di ricorso originario contro la cartella esattoriale, di fare valere in sede giudiziaria la esistenza di un credito IVA che “neutralizzava” la pretesa dell’Ufficio fatta valere con la iscrizione a ruolo, avendo rispettato per la dichiarazione il termine biennale e trattandosi, d’altronde, di un credito esistente e mai contestato, quanto alla esistenza, dall’Ufficio.
9. Fermo restando il carico delle spese già disposto nel giudizio di merito, in considerazione della difficoltà della questione di diritto, oggetto di orientamento non costante, mentre l’attuale approdo giurisprudenziale è intervenuto soltanto successivamente alla presentazione del ricorso per cassazione con la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte del 2016, può disporsi l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
10. Non sussistono i presupposti, pur se la impugnazione è respinta integralmente, per affermare l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, poiché tale obbligo non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (v. ex multis Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016 Rv. 638714 – 01)
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e dichiara compensate fra le parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 22 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021