LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –
Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4737/2014 R.G. proposto da:
D.G.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppe Ciaramella, elettivamente domiciliato in Roma, via Civitavecchia, 7, presso lo studio dell’avv. Pierpaolo Bagnasco per procura speciale a margine del ricorso.
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 259/23/13 depositata il 3.7.2013.
Udita la relazione svolta alla udienza camerale del 13.4.2021 dal Consigliere Rosaria Maria Castorina.
OSSERVA L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di d.G.S., titolare della impresa individuale ASDG, un avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2005, con il quale contestava l’omessa fatturazione di ricavi relativi a lavori effettuati per due committenti; per conto della sig.ra F.L. – lavori per i quali aveva ricevuto bonifici per Euro 47.000,00 senza emettere fattura – e, in esecuzione di un subappalto stipulato con la società ICET Costruzioni Generali s.r.l. relativo al cantiere di lavori sulla autostrada Salerno – Reggio – lavori in cui aveva sostenuto costi per Euro 664.238,00 a fronte di ricavi dichiarati di Euro 327.852,00.
Si determinavano, quindi, maggiori imposte IRPEF, IRAP e IVA.
A seguito di impugnazione del contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Caserta rigettava il ricorso.
Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello il D.G. e la Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza 259/23/2013, depositata in data 3.7.2013 lo rigettava sul presupposto che il contribuente non aveva provato di avere restituito la somma di Euro 47.000,00 ricevuta con bonifici dalla contribuente e non fatturata e non aveva giustificato la condotta antieconomica per l’esecuzione dei lavori in subappalto, in cui i ricavi dichiarati erano la metà dei costi sostenuti.
Avverso la sentenza di appello il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Con il primo e il secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce omesso esame e valutazione di prove in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Lamenta che la CTR non aveva valutato la dichiarazione della F. che aveva attestato che tutta la somma di Euro 47.000,00 le era stata restituita integralmente dal D.G., il quale non aveva emesso fattura non avendo effettuato i lavori e aveva assoggettato ad imposta l’intero importo senza tenere conto dei relativi costi.
Le censure non sono fondate.
1.1.La CTR ha affermato che il contribuente non aveva fornito valida prova della restituzione della somma di Euro 47.000,00 ricevuta con bonifici dalla committente e mai fatturata.
La CTR ha dunque ritenuto che la circostanza dedotta non fosse idoneamente provata, sicché la censura di omesso esame appare inammissibile.
Parimenti inammissibile sarebbe la censura anche se la stessa fosse riqualificata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La giurisprudenza di questa Corte “ha chiarito – come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439). E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico) o per lamentarsi di una “motivazione non corretta” (Cass. 27415/18).
Nel caso di specie, il ricorso non fa alcun riferimento specifico ad un fatto storico omesso bensì contesta che la sentenza non abbia fatto riferimento alle dichiarazioni della committente che aveva dichiarato che la somma di cui al bonifico le era stata restituita.
In sostanza contesta inammissibilmente alla luce della dianzi indicata giurisprudenza il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti o comunque l’inadeguata motivazione su di essi.
In relazione a ciò si evidenzia una ulteriore ragione di inammissibilità del motivo non essendo stato riportato nel ricorso il contenuto degli atti, delle allegazioni e delle argomentazioni di cui si lamenta l’omesso esame.
E’ sufficiente rammentare che questa Corte ha ripetutamente affermato a tale proposito che qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione. (Cass. 13625/19).
1.2. Parimenti inammissibile è la censura relativa alla mancata considerazione dei costi. Infatti, in tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario (Cass. n. 22868 del 29/09/2017).
A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cass. n. 13300 del 26/05/2017).
2. Con il terzo motivo articolato in tre distinte censure il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, degli artt. 2727,2729 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la violazione gli artt. 115 e 116 c.p.c. per omessa valutazione di prove in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Lamenta che la CTR, sul presupposto che i ricavi non potessero essere inferiori ai costi, aveva accertato ricavi nella stessa misura dei costi, senza esaminare la documentazione prodotta e accertare che la condotta antieconomica non era stata elusiva.
La censura non è fondata. Costituisce principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. n. 14941 del 14/06/2013 ribadita, di recente, da Cass. n. 25257 del 25/10/2017) quello per cui “nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perché basata su contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità”.
Nel caso in esame, l’Ufficio aveva posto a fondamento dell’avviso di accertamento la circostanza, sicuramente antieconomica, che i costi dei lavori effettuati in subappalto in ragione di un contratto stipulato con la società ICET Costruzioni Generali s.r.l. pari a Euro 664.238,00 erano circa la metà dei ricavi dichiarati di Euro 327.852,00.
La CTR ha osservato che per i suddetti lavori risultava sottoscritto un contratto di sub-appalto con rilevazione costi e che, in virtù dell’esistenza dello stesso gli eventuali maggiori costi andavano comunicati all’appaltatore per una eventuale revisione dello stesso, cosa nella specie non avvenuta.
La CTR ha evidenziato che l’integrale sopportazione dei maggiori oneri da parte del ricorrente era stata giustamente ritenuta in contrasto con i canoni della ragionevolezza e dell’economia sì da far dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e di desumere, sulla base di presunzioni semplici, maggiori ricavi, quantomeno pari ai cosi sostenuti.
La CTR ha osservato che lo stesso contribuente aveva ammesso che vi era stata una condotta antieconomica ma che tale antieconomicità si era rivelata ex post e non corrispondeva a una condotta evasiva: “Al fine di giustificare la propria condotta antieconomica il contribuente aveva richiamato errori di valutazione ed enunciazioni non supportate da alcun elemento probatorio, ma nulla dice circa il mancato corretto comportamento che avrebbe dovuto tenere con una fatturazione regolare all’appaltante Icet Costruzioni s.r.l..
A fronte del complesso di elementi, legittimamente fondante l’atto impositivo il contribuente, sul quale gravava il corrispondente onere, non ha fornito alcuna prova di segno contrario. Non sussiste pertanto la lamentata violazione di legge.
Quanto alle censure relative all’omesso esame e all’omessa valutazione di prove basta richiamare le osservazioni già sviluppate con riferimento ai punti 1 e 2.
La CTR ha dunque fatto corretta applicazione delle presunzioni e della distribuzione dell’onere della prova.
Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro5.600,00 oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021
Codice Procedura Civile > Articolo 3 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 4 - (Omissis) | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 115 - Disponibilita' delle prove | Codice Procedura Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 116 - Valutazione delle prove | Codice Procedura Civile