Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.21865 del 30/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16778/2014 R.G. proposto da:

COOPERATIVA DI LAVORO SOLIDARIETA’ E LAVORO – SOCIETA’ COOPERATIVA, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Marini, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, viale di Villa Sacchetti n. 9;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente, ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione n. 01, n. 264/01/13, pronunciata il 19/03/2013, depositata il 02/05/2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 giugno 2021 dal Consigliere Riccardo Guida.

RILEVATO

che:

1. la Cooperativa di Lavoro Solidarietà e Lavoro – Società Cooperativa (“Cooperativa”) impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale (“C.T.P.”) di Roma la cartella di pagamento per IRPEG, IRAP, IVA, conseguente al controllo formale (D.P.R. n. 600 del 1973, ex artt. 36-bis, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis) delle dichiarazioni presentate e autoliquidate dalla società, da cui erano emerse omissioni, violazioni e l’indebita fruizione di un’agevolazione fiscale nelle forme del credito d’imposta per attività di ricerca, che avevano dato luogo all’iscrizione di maggiori imposte e sanzioni;

2. la C.T.P. accolse parzialmente il ricorso della Cooperativa in ragione dell’intervenuto sgravio amministrativo delle riprese per IRPEG, IRAP e IVA, mentre confermò l’iscrizione a ruolo per diniego del credito d’imposta in conseguenza dell’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti;

3. la Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) del Lazio, con la sentenza menzionata in epigrafe, ha rigettato l’appello principale della contribuente ed ha accolto quello incidentale dell’Agenzia, svolgendo le seguenti considerazioni: (i) quanto all’appello principale della Cooperativa, la cartella di pagamento era sufficientemente motivata visto che la pretesa tributaria scaturiva dal contenuto della dichiarazione dei redditi della società; (ii) l’omesso invio della comunicazione di irregolarità (c.d. avviso bonario) non era causa d’invalidità della cartella, come invece prospettato dall’appellante, perché con l’atto impugnato l’Amministrazione finanziaria si era limitata a pretendere gli importi liquidati con il controllo formale del “Modello Unico” della contribuente; (iii) era priva di fondamento anche la richiesta della Cooperativa di estendere al giudizio tributario le risultanze del procedimento penale favorevoli alla contribuente in punto di utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti, poiché (vedi pag. 5 della sentenza impugnata) “a fronte di una forte presunzione a favore dell’Ufficio nessuna concreta prova viene fornita dalla società appellante che si limita a richiedere l’estensione al processo tributario delle risultanze del processo (penale).”; (iv) infine, (ibidem) “Quanto all’appello incidentale svolto dall’Ufficio si deve rilevare che i primi giudici hanno disposto l’annullamento di poste della cartella sulla base della produzione di una quietanza di versamento che invece risultava essere riferita all’anno 1999 ed è stata regolarmente abbinata dall’ufficio agli importi dovuti per il suddetto anno, quindi le poste di cartella annullate a seguito della produzione documentale inconferente devono essere confermate (…)”;

4. la Cooperativa ricorre, con cinque motivi, per la cassazione della decisione d’appello; l’Agenzia resiste con controricorso, nel quale propone ricorso incidentale condizionato, affidato a un motivo.

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso principale (“I. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Falsa applicazione dell’art. 36-bis e violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42.”), la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto legittima la cartella di pagamento emessa a seguito di controllo formale, con esclusione quindi della necessità di un avviso di accertamento, adeguatamente motivato, benché la ripresa a tassazione avesse ad oggetto (tra l’altro) un credito d’imposta che, nella prospettiva erariale (suffragata da un P.V.C. della Guardia di Finanza), era correlato a false fatturazioni;

2. con il secondo motivo (“II. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis e della L. n. 212 del 2000, art. 6, comma 5.”), la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere erroneamente affermato che, nel caso di recupero di un credito d’imposta, fondato sull’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, l’A.F. possa procedere all’iscrizione della pretesa tributaria in assenza del preventivo contraddittorio con il contribuente. Nel caso di specie, infatti, l’incertezza del credito d’imposta non era desumibile dalla (mera) dichiarazione dei redditi della Cooperativa, ma dipendeva dalla valutazione del contenuto di un P.V.C., in possesso dell’organo di controllo, con conseguente obbligo, gravante sull’Agenzia, del preventivo invio all’ente contribuente del c.d. avviso bonario;

3. con il terzo motivo (“III. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.”), la ricorrente ascrive alla sentenza impugnata di non avere considerato che il procedimento penale (per truffa aggravata e reati fiscali) riguardante le false fatturazioni funzionali alla fruizione del credito d’imposta previsto dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 5, si era concluso con un’archiviazione per l’insussistenza di elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio;

4. il quarto motivo (“IV. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Nullità della sentenza. Violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, per omessa valutazione di elementi istruttori offerti dalla società in entrambi i gradi di merito del presente giudizio.”), è subordinato all’eventualità che questa Corte reputi che la C.T.R., senza omettere l’esame di un “fatto storico”, abbia piuttosto omesso di valutare un “elemento istruttorio”, offerto dalla contribuente alla cognizioni dei giudici di merito. Si denuncia che ambedue le Commissioni tributarie, nel negare riduttivamente che le risultanze del giudizio penale potessero essere estese tout court al giudizio tributario, non hanno valutato gli elementi indiziari desumibili dal decreto di archiviazione e dalla consulenza tecnica del Pubblico ministero, quali atti che, in sostanza, attestavano che il progetto di ricerca funzionale all’incentivo fiscale (sotto forma di credito d’imposta) esisteva realmente e che, al contrario della tesi accusatoria formulata nel P.V.C. della Guardia di Finanza, esso non era identico ad altri progetti realizzati dalle società coinvolte nell’indagine penale;

5. con il quinto motivo (“V. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Nullità della sentenza per violazione dell’art. 100 c.p.c.. Carenza d’interesse dell’Agenzia delle Entrate nella proposizione dell’appello incidentale.”), si fa valere l’error in procedendo della C.T.R., che non ha rilevato d’ufficio la carenza d’interesse dell’Agenzia a proporre appello incidentale sull’annullamento, da parte della C.T.P., della ripresa a titolo d’IVA (Euro 22.834,62) e relativi interessi (Euro 4.232,24), visto che, con atto di sgravio del 17/06/2011, l’Agenzia aveva annullato in autotutela la relativa iscrizione a ruolo;

6. con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato (“Nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”), l’Agenzia deduce l’inammissibilità del primo motivo di ricorso della Cooperativa, in ragione della circostanza che, nel giudizio d’appello, controparte non aveva fatto valere la necessità di procedere al recupero del credito d’imposta con (motivato) avviso di accertamento, ma si era limitata ad imputare alla C.T.P. di avere trascurato che, con riferimento al recupero del credito d’imposta per il 2000, la cartella di pagamento era priva di adeguata motivazione, che invece sarebbe stata necessaria in quanto, dopo l’instaurazione del giudizio, l’ufficio aveva chiarito che la ripresa scaturiva dalle risultanze di un P.V.C.

Indi, nel caso in cui questa Corte reputi ammissibile il primo motivo del ricorso della Cooperativa (sul presupposto, contestato dall’ufficio, che costituisse oggetto del giudizio di appello la questione della necessità di procedere al recupero del credito d’imposta con un avviso di accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42 e non a mezzo di liquidazione ai sensi del precedente art. 36-bis), l’ufficio si duole dell’error in procedendo commesso dalla C.T.R. per non avere rilevato, d’ufficio, la novità del motivo, introdotto per la prima volta nel giudizio d’appello;

7. il primo motivo di ricorso principale è inammissibile, e ciò comporta l’assorbimento dell’unico motivo di ricorso incidentale (condizionato);

si tratta infatti di una doglianza nuova, non sottoposta al vaglio della Commissione regionale come motivo di gravame. Dall’autosufficiente controricorso dell’ufficio – nel quale vengono trascritti i passi salienti dell’appello della contribuente – risulta che, quale motivo d’appello, la Cooperativa aveva fatto valere (cfr. pag. 6 del controricorso) “(l’illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte in cui ha mancato di annullare la cartella per la sua carenza di motivazione e dei sottostanti atti di accertamento”. L’esatta estensione del tema del decidere del giudizio d’appello trova riscontro nel dictum della C.T.R. che, infatti, confrontandosi con i motivi d’appello, e perciò senza affrontare la questione, che la Cooperativa non aveva dedotto, della necessità o meno dell’emissione di un avviso di accertamento, si limita ad illustrare le ragioni per le quali ha escluso la nullità della cartella, per vizio di motivazione o perché non preceduta dal c.d. avviso bonario;

8. il secondo motivo è inammissibile;

la censura della contribuente non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata che, con accertamento di fatto non attinto da specifica censura, ha esplicitamente affermato (cfr. pag. 3 della sentenza) che il mancato invio della previa comunicazione non ha inciso sulla validità della cartella di pagamento in quanto nessuno degli elementi dichiarati dal contribuente era stato modificato dall’ufficio e la cartella si era limitata a richiedere gli importi liquidati in sede di controllo del Modello Unico;

9. il terzo motivo è inammissibile;

fin da Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053, si è andato consolidando il principio di diritto per cui l’attuale art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie applicabile ratione temporis, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Nella fattispecie concreta, con la surrichiamata censura, la Cooperativa non rivolge alla sentenza critiche riconducibili al paradigma legale di cui al novellato n. 5, dell’art. 360, in quanto le imputa di non avere adeguatamente valorizzato la rilevanza, nel giudizio tributario, del decreto di archiviazione emesso nel parallelo procedimento penale;

10. il quarto motivo è inammissibile;

la censura in esso contenuta si sostanzia nella richiesta, inammissibilmente rivolta a questa Corte di legittimità, di una rivalutazione del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito, in ragione del fatto che, nell’ottica della società, le risultanze del procedimento penale “parallelo” erano idonee a dimostrare l’illegittimità della ripresa fiscale (ossia la sussistenza dei requisiti per la fruizione dell’incentivo per la ricerca scientifica, sub specie di credito d’imposta). Una simile attività istruttoria, tuttavia, non sarebbe consentita nel giudizio di legittimità. Infatti, è ius receptum che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento di fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che lo scrutinio dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione che ne ha fatto il giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7/04/2017, n. 9097; 07/03/2018, n. 5355). A queste considerazioni si aggiunga che, recentemente, è stato chiarito (in tal senso Cass. Sez. L. 03/11/2020, n. 24395) che a diverse conclusioni non è dato pervenire nemmeno configurando il supposto vizio di apprezzamento delle risultanze probatorie come violazione degli artt. 115,116, c.p.c., poiché questa Corte (Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016) ha da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa alla violazione e falsa applicazione di questi due articoli non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali;

11. il quinto motivo è infondato;

la Commissione regionale, senza incorrente nel denunciato error in procedendo, ha accolto l’appello incidentale dell’Agenzia imperniato sulla circostanza che il primo giudice aveva erroneamente disposto lo sgravio dell’IVA ritenendo che la Cooperativa, nelle more del giudizio, l’avesse pagata, senza avvedersi che, in realtà, il modello F24 versato in atti si riferiva ad altra annualità d’imposta, cioè al 1999, mentre la cartella oggetto del giudizio riguardava (tra l’altro) il recupero dell’IVA per il 2000 e il 2001;

12. in conclusione, il ricorso principale va rigettato, mentre quello incidentale condizionato resta assorbito;

13. le spese del giudizio di legittimità sono regolate in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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