LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2478/2013 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
– ricorrente –
contro
MONDELEZ ITALIA SRL (C.F. *****), già KRAFT FOODS ITALIA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. LUIGI BONOMI e dall’Avv. LUIGI MANZI, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via F.
Gonfalonieri, 5;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, n. 69/12/12, depositata in data 25 maggio 2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 giugno 2021 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.
RILEVATO
Che:
La società contribuente KRAFT FOODS ITALIA SPA, successivamente trasformata in SRL, ha impugnato il silenzio rifiuto opposto all’istanza di rimborso dell’imposta sostitutiva IRES e IRAP, relativa al periodo di imposta 2006, versata sul saldo attivo di rivalutazione a termini della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, commi 473 – 478. Ha dedotto la società contribuente di avere affrancato le riserve in sospensione di imposta esistenti nel bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2004, versando l’imposta, erroneamente, sul valore del saldo attivo al lordo dell’imposta sostitutiva in precedenza assolta e non al netto della stessa, per cui ha chiesto il rimborso dell’imposta eccedentaria versata.
La CTP di Milano ha accolto il ricorso e la CTR della Lombardia, con sentenza in data 25 maggio 2012, ha rigettato l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto la CTR, per quanto qui ha rilievo, che in tema di affrancamento delle riserve in sospensione di imposta la base imponibile dell’imposta sostitutiva si determina sulla riserva del patrimonio netto, come indicata nello stato patrimoniale, al netto dell’imposta sostitutiva. Ha, poi, rilevato la CTR che la società contribuente ha comprovato nel quantum di avere versato la maggiore imposta al lordo dell’imposta versata per maggiori Euro 961.150,00 e ha accertato che la contribuente ha versato per errore l’ulteriore importo di Euro 11.285,00 non dovuto.
Propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a tre motivi; resiste con controricorso la società contribuente, ulteriormente illustrato da memoria.
CONSIDERATO
Che:
1.1. Con il primo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 473 – 478, nella parte in cui la CTR ha ritenuto che l’imposta sostitutiva va calcolata sulla riserva del patrimonio netto indicata nello stato patrimoniale del bilancio al netto dell’imposta medesima. Evidenzia il ricorrente che le riserve e i fondi in sospensione di imposta concorrono, in caso di distribuzione, a formare il reddito imponibile dell’impresa e che i saldi attivi derivano dalla rivalutazione dei beni iscritti in bilancio, che generano contabilmente una apposita riserva oggetto di accantonamento. Evidenzia il ricorrente come, a termini della L. cit., art. 1, comma 477, l’imposta sostitutiva – che comporta il riconoscimento fiscale del maggior valore dei beni ammortizzabili al fine di dedurre maggiori costi – è indeducibile; sicché, ove il riconoscimento fiscale del maggior valore dei beni ammortizzabili avvenisse al netto dell’imposta sostitutiva, tale imposta diverrebbe in sostanza deducibile, in contrasto con la menzionata disposizione di legge, come evidenziato in circolari dell’Ufficio ricorrente (circolare 18/E del 13 giugno 2006 e successive).
1.2. Con il secondo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 12, nonché della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 473 – 478, nella parte in cui la CTR ha ritenuto che la contribuente avrebbe versato l’importo di ulteriori Euro 11.285,00 per errore materiale. Evidenzia il ricorrente che l’errore sarebbe stato argomentato dalla società contribuente nel giudizio con l’erronea applicazione (in parte) dell’aliquota dei beni ammortizzabili (19%) anziché su quella dei beni non ammortizzabili (4%), circostanze che il ricorrente ritiene destituite di prova.
1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa e/o insufficiente motivazione su fatti decisivi e controversi del giudizio, evidenziandosi come la sentenza impugnata non avrebbe evidenziato il percorso logico a fondamento della statuizione.
2. Il primo motivo è infondato. Questa Corte – come osserva puntualmente il controricorrente in memoria – si è occupata dell’analogo caso dell’assoggettamento a imposta sostitutiva del saldo attivo di rivalutazione di cui alla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 472, statuendo come l’affrancamento ai fini fiscali di tale posta attiva a seguito del versamento dell’imposta sostitutiva, ha la funzione di sottrarre tale posta, la quale non concorre alla formazione del reddito imponibile della società (stante il rinvio recettizio di tale disposizione alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 475, che qui ricorre), al regime di sospensione di imposta, rendendola disponibile ai fini della distribuzione ai soci secondo il regime proprio dei dividendi e superando il vincolo di destinazione a capitale rappresentato dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 13, comma 1, (Cass., Sez. V, 18 aprile 2018, n. 9509; conf. Cass., Sez. V, 10 dicembre 2019, n. 32304; Cass., Sez. V, 22 settembre 2020, n. 19772). Si e’, poi, osservato che – contrariamente a quanto sostenuto dall’amministrazione finanziaria con la circolare n. 18 del 13 giugno 2006 – la base imponibile da considerare al lordo dell’imposta sostitutiva, a termini del D.M. 19 aprile 2002, n. 86, art. 4, comma 2, (come previsto dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 476), riguarda il saldo attivo di rivalutazione nelle ipotesi indicate nella L. n. 342 del 2000, art. 13, comma 3, in caso, appunto, di distribuzione del saldo attivo ai soci o ai partecipanti, “dal che si evince come l’imposta sostitutiva rientri nella base imponibile solo in ipotesi di effettiva distribuzione ai soci del saldo attivo non affrancato di rivalutazione” (Cass., n. 9509/2018, cit.).
3. Argomenti analoghi sono stati spesi da questa Corte in relazione a saldi attivi di rivalutazione in sospensione di imposta disciplinati da altra disposizione normativa, ove si è osservato che il versamento dell’imposta sostitutiva (con affrancamento ai fini fiscali dei maggiori valori rivalutati) comporta il passaggio dei saldi di rivalutazione dallo stato di sospensione a quello di poste liberamente distribuibili o comunque utilizzabili (Cass., Sez. V, 17 marzo 2017, n. 6929).
4. Tali argomentazioni appaiono sovrapponibili al caso di specie, stante il rinvio recettizio operato dalla L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 472, alla L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 475, 477, 478, nonché stante la circostanza che la funzione dell’affrancamento mediante versamento dell’imposta sostitutiva è quella di rendere distribuibile la riserva; con la conseguenza che, da un lato, la base imponibile dell’imposta è quella della riserva presente nel patrimonio netto, la quale viene iscritta al netto dell’imposta sostitutiva e che in caso di futura distribuzione verrà attribuita ai soci e che, dall’altro, solo in caso di distribuzione la base imponibile dell’imposta si nutre dell’imposta già assolta, concorrendo in tal caso alla formazione del conto economico e del reddito. Risulta, pertanto, condivisibile quanto dedotto dal controricorrente, ove osserva che l’argomentazione del ricorrente porterebbe al calcolo dell’imposta su un valore lordo meramente teorico legato al futuro evento della distribuzione e non sul valore reale della riserva iscritta. Del resto, è lo stesso ricorrente a evidenziare che è solo in caso di distribuzione che le riserve e i fondi in sospensione di imposta concorrerebbero a formare il reddito del soggetto erogante.
5. Il secondo motivo è inammissibile. Il ricorrente si duole del fatto che la società contribuente non avrebbe dato prova del maggior versamento dell’importo di Euro 11.285,00. Così facendo il ricorrente, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, mira, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., Sez. VI, 4 luglio 2017, n. 8758), essendo oggetto del giudizio non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito e a questi riservata (Cass., Sez. I, 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., Sez. I, 14 gennaio 2019, n. 640; Cass., Sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., Sez. V, Sez. 5, 4 aprile 2013, n. 8315).
6. Il terzo motivo è ugualmente inammissibile. Questa Corte afferma il principio – in relazione all’impugnazione per cassazione delle sentenze pubblicate in epoca precedente l’entrata in vigore del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 – che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il vizio relativo all’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve essere riferito ad un fatto, da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Cass., Sez. V, 3 ottobre 2018, n. 24035), non assimilabile in alcun modo a questioni o argomentazioni che, pertanto, risultano irrilevanti (Cass., Sez. V, 8 ottobre 2014, n. 21152). Il ricorrente non evidenzia in relazione a quale fatto storico controverso la motivazione sarebbe carente, limitandosi il ricorrente a dedurre la mancanza dell’iter logico, diversamente chiaramente evincibile dalla sentenza nella ritenuta idoneità della documentazione prodotta dal ricorrente a comprovare sia l’importo versato in eccesso in relazione alla erronea interpretazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, commi 473 e. ss., sia in relazione all’ulteriore versamento di Euro 11.285,00.
7. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 13.000,00, oltre 15%, Euro 200,00 per rimborsi e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021