LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22582/2016 R.G. proposto da:
CAL.FER DI AURORA AGOSTINI E C. S.A.S., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Edoardo Giardino e dall’avv. Francesco Orsomarso, con domicilio eletto in Roma, alla Via Adelaide Ristori n. 42;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente-
e AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del legale rappresentante p.t..
– intimata –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro n. 1073/2015, pubblicata in data 31.8.2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 8.4.2021, dal Consigliere Fortunato Giuseppe.
FATTI DI CAUSA
La Calfer s.a.s. ha proposto opposizione dinanzi al tribunale di Catanzaro, avverso la cartella di pagamento notificata in data 25.9.1998, per l’importo di Lire 166.905.400, volta alla riscossione dell’indennità di occupazione abusiva di un’area demaniale, dalla superficie di mq. 4260, in catasto del Comune di Gazzeria, partt. ***** del fl. *****.
L’opponente ha negato la sussistenza dell’occupazione, instando per la cancellazione dell’iscrizione a ruolo delle somme ingiunte o, in via subordinata, per la quantificazione dell’esatto ammontare dell’importo spettante all’amministrazione, previa dichiarazione di prescrizione di parte del credito e con deduzione dei costi delle opere realizzate dalla società a proprie spese.
Si è costituito il Ministero, resistendo alla domanda e chiedendo in via riconvenzionale il rilascio delle porzioni occupate, l’abbattimento delle costruzioni realizzate dalla Calfer in violazione delle distanze previste dall’art. 55 del codice della navigazione e la condanna al pagamento dei frutti e delle somme necessarie per il ripristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento del danno ambientale.
La Calfer ha inoltre proposto altra opposizione avverso la cartella esattoriale, notificata nell’ottobre del 1999, diretta al pagamento dell’indennità di occupazione abusiva della medesima aria demaniale per il periodo successivo alla notifica del precedente atto di riscossione, per complessive Lire 61.343.632.
Disposta la riunione dei due giudizi ed espletata CTU, il tribunale ha annullato le cartelle di pagamento, ritenendo insussistente l’occupazione abusiva.
Su appello del Ministero dell’economia e delle finanze e dell’Agenzia del demanio, la Corte distrettuale di Catanzaro ha integralmente riformato la decisione.
Respinta preliminarmente l’eccezione di inammissibilità dell’appello, dichiarata l’infondatezza dell’eccezione d’inutilizzabilità dei documenti prodotti dal Ministero ed esclusa – infine – anche l’opponibilità del giudicato penale con cui il titolare della società ricorrente era stato assolto per il reato di occupazione abusiva di area demaniale, il giudice distrettuale ha accolto la domanda riconvenzionale proposta dal Ministero, sostenendo che la Calfer avesse occupato illegittimamente un’area demaniale di mq. 8164,95, ricompresa nella part. ***** del fl. *****.
Ricostruendo i successivi passaggi di proprietà, la sentenza ha precisato che, con atto del 31.10.1906, il demanio aveva ceduto a C.A. i lotti 15, 16, 17, 19, 20 e 21 dell’elenco n. 46 nonché, con atto del 4.11.1906, l’ulteriore lotto n. 14, per una superficie complessiva di mq. 42.130.
Con rogito dell’8.9.1947, il C. aveva trasferito alla F.lli Torazzi, la proprietà di un appezzamento di mq. 4408 e la parte residua dei lotti, 15, 16 e 17, al netto delle parti espropriate o cedute anteriormente a terzi.
Quindi, in data 27.4.1965, la F.lli Torrazzi – divenuta Società Olearia Lombarda e poi fusasi con la Prima Spremitura Triestina d’olio aveva alienato a A.G. – senza averne titolo – l’intera particella 128, posta tra la strada di bonifica e la linea di battigia, inclusi due corridoi centrali destinati alla realizzazione delle vie di accesso al mare, una zona demaniale marittima e una fascia di arenile sclassificato con D.M. 20 dicembre 1949, ancora appartenente al patrimonio disponibile dello Stato. Il medesimo compendio era successivamente pervenuto alla Calfer, in data 29.6.1998.
La Corte territoriale ha perciò disposto il rilascio della porzione occupata abusivamente e il ripristino dello stato dei luoghi, liquidando il danno in Euro 2.618.958,55 per la detenzione della porzione demaniale e in Euro 75.721,24 per la parte sdemanializzata, oltre ai danni ulteriori, compensando le spese processuali.
Per la cassazione della sentenza la Calfer s.a.s. propone ricorso in tre motivi, illustrati con memoria.
Il Ministero dell’economia e delle finanze resiste con controricorso. L’Agenzia del demanio è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 61,62,115 e 116 c.p.c. e art. 822 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.
La Corte di appello – facendo proprie le conclusioni della c.t.u. sarebbe incorsa in un evidente travisamento della prova. Difatti il consulente avrebbe: a) erroneamente calcolato la superficie complessiva dei lotti nn. 14-21, pari a mq. 42130 e a mq. 44292; b) valorizzato una planimetria di lottizzazione allegata alla vendita del 1906, che costituiva un semplice rimaneggiamento di talune planimetrie, che non riportava i lotti nn. 20-21 ceduti dal Demanio e che, nella descrizione delle porzioni ricomprese nella vendita del 1906, non includeva i suoli destinati alla realizzazione delle strade (aventi, comunque, un’ampiezza inferiore a quella indicata nella c.t.u.), essendo infine difforme dalla copia depositata in giudizio dal Ministero.
La Corte di merito, dovendo ricostruire le vicende della part. ***** a partire dal primo titolo di proprietà, avrebbe trascurato che nel 1906 il demanio aveva ceduto ai C. i lotti nn. 14, 15, 16, 19, 20 e 21, per una superficie di mq. 44259,00, la quale, al netto delle parti successivamente espropriate e di quelle cedute a terzi, si era ridotta a mq. 19.017,65 e che solo tale estensione era pervenuta a A.G. e poi alla Calfer, a riprova dell’insussistenza della contestata occupazione.
Il secondo motivo denuncia l’omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, contestando alla Corte distrettuale di non pronunciato sull’eccezione di nullità della consulenza (basata sul fatto che il c.t.u. non aveva dato risposta ai rilievi tecnici formulati dal perito di parte), e per aver immotivatamente respinto la richiesta di rinnovazione della c.t.u., pur essendo emerse nuove e decisive circostanze dai documenti acquisiti presso gli archivi della Ferrovie dello Stato, allegati alla comparsa conclusionale e depositati unitamente alla relazione tecnica di parte, redatta dall’ing. B.. I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.
Riguardo all’errato calcolo della superficie complessiva dei lotti nn. 14-21, la censura non specifica se e quando la questione sia stata dibattuta tra le parti, né illustra se e in che termini tale errore abbia inficiato le conclusioni del consulente riguardo alla sussistenza dell’occupazione abusiva, che, secondo la Corte distrettuale, emergeva invece dal contenuto del rogito del 27.4.1965, attestante il fatto che la “Prima Spremitura Triestina d’Olio – Società per Azioni” aveva poi venduto a A.G., dante causa della ricorrente, anche una parte di terreno appartenente al patrimonio disponibile dello Stato, oltre ad un’ulteriore porzione ricadente nel demanio marittimo.
Nel giudizio di cassazione, è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che non siano state trattate nella sentenza impugnata o che non abbiano formato oggetto di contestazione nel rispetto del contraddittorio e comunque, il motivo, in assenza di una adeguata evidenziazione della sua effettiva incidenza, non consente di stabilire se sia stato irrimediabilmente minato il percorso argomentativo della sentenza o se invece trattasi di mero errore materiale privo di un’effettiva incidenza sul decisum, come tale suscettibile di correzione.
Appaiono parimenti inammissibili le doglianze volte a negare qualsivoglia valore probatorio della planimetria a firma del Maggiore di Porto comandante D.M.G., contenente l’individuazione dei lotti nn. 15-17, ricadenti nella part. *****: non solo la doglianza non indica dove e quando le suddette contestazioni, nei termini proposti in questa sede di legittimità, siano state sollevate dinanzi al giudice di merito, ma inoltre, pur imputando alla Corte territoriale un travisamento delle risultanze probatorie, il motivo intende in realtà contestare il valore probatorio di siffatte acquisizioni, contrapponendo all’apprezzamento operato dal giudice una diversa valutazione dei documenti catastali e dagli atti di trasferimento, inammissibile in cassazione.
Appare poi evidente che non si intende – al riguardo – far emergere che “l’informazione probatoria riportata ed utilizzata dal giudice per fondare la decisione sia stata diversa e inconciliabile con quella contenuta nell’atto o addirittura non esista, per modo che ad essere domandata è la sola constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, sia contraddetta da uno specifico atto processuale (Cass. 10749/2015), ma minare la valenza e l’attendibilità delle fonti conoscitive utilizzate dal c.t.u., sia in sé stesse, sia in rapporto ad altre acquisizioni.
Ciò richiederebbe – tuttavia – non “un’operazione meccanica di raffronto fra gli atti e la constatazione di un errore di percezione o ricezione della prova da parte del giudice di merito”, ma la formulazione di un giudizio di rilevanza e di prevalenza dell’una fonte informativa sulle altre, sconfinando nell’ambito delle valutazioni di fatto.
Ne’ può avere ingresso il giudizio di assoluta inattendibilità della planimetria di cui all’allegato n. 3 alla consulenza: trattandosi di elemento liberamente valutabile, la scelta del giudice di tenerne conto può contestarsi in questa sede solo sul piano della logicità e correttezza della motivazione.
Lo stesso è a dirsi quanto all’effettiva sussistenza dell’occupazione abusiva, partendo dall’originaria consistenza ceduta dal demanio e poi pervenuta per successivi passaggi alla società ricorrente, questione che esigerebbe un completo riesame del fatto e del contenuto dei titoli di provenienza, precluso in sede di legittimità.
E’ inammissibile anche il secondo motivo di ricorso, in difetto di una più adeguata specificazione del contenuto dei rilievi tecnici e della rilevanza dei documenti ritenuti decisivi (menzionati a pag. 16 del ricorso), essendo definitiva la statuizione in rito – non oggetto di censura – con cui la Corte distrettuale ha dichiarato tardivo il deposito della relazione di parte e della documentazione allegata alla comparsa conclusionale (cfr. sentenza, pag. 43), negando – per implicito – di dover esaminarne il contenuto.
Per contro, i rilievi formulati nella medesima comparsa conclusionale sono stati motivatamente disattesi mediante un’esauriente esplicitazione delle ragioni che, a parere della sentenza, confortavano le conclusioni raggiunte dal c.t.u. Dott. T. (cfr. pagg. 39 -47), rendendo pienamente conto sul piano argomentativo sia dell’infondatezza delle critiche mosse alla relazione d’ufficio, sia delle ragioni della mancata rinnovazione della suddetta consulenza.
2. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 194,195,90 disp. att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, asserendo che il consulente non poteva utilizzare i documenti prodotti dal Ministero solo in appello, in quanto comprovanti circostanze decisive per la stessa sussistenza dell’occupazione abusiva, la cui prova competeva all’amministrazione. In particolare, non era consentito esaminare il mandato speciale di vendita rilasciato dal C. all’avv. Tomaino, atto che, secondo la ricorrente, conteneva – nell’allegata planimetria – una puntuale descrizione del fondo compravenduto e l’esatta estensione dell’occupazione abusiva e che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte distrettuale, non era stato depositato già in primo grado. Il motivo è inammissibile.
Si evince dalla stessa sentenza impugnata (pag. 15) che la Calfer aveva eccepito la tardività dei documenti depositati dal Ministero direttamente in appello e, in particolare del mandato speciale conferito dal C. all’avv. Tomaio in vista del perfezionamento della vendita del 10.6.1947, con cui era stato ceduto a G. e C.A. il lotto n. 14, menzionando per la prima volta un esproprio parziale della superficie trasferita dal demanio al C. (ossia i lotti nn. 14-21), ad opera delle Bonifiche Calabresi s.a..
Dall’esame degli atti di causa, che è consentito in questa sede per la natura processuale del vizio denunciato, risulta però che la c.t.u..
abbia preso in considerazione la planimetria allegata al rogito del 10.6.1947, atto, peraltro, già acquisito in primo grado, mentre il mandato a vendere e la relativa planimetria non risultano neppure nell’elenco dei documenti allegati alla consulenza (cfr. fascicolo II di IV – documenti dal n. 1 al n. 27).
In ogni caso, a pag. 68 della relazione dell’ing. T., si legge che il summenzionato rogito conteneva la seguente disposizione: “il distacco della superficie venduta avviene a cominciare dal lotto n. 14 in direzione del successivo lotto n. 15, senza interruzione o discontinuità, ad eccezione delle aree destinate a strade, come risulta dai rogiti Porchia del tre ottobre 1906 e del 4.11.1906, che i compratori dichiarano di ben conoscere a tutti gli effetti, volendo il venditore procedere alla vendita del terreno in oggetto nello stato di fatto e di diritto e alle precise condizioni in cui esso pervenne al demanio dello Stato con i detti strumenti e nelle quali si trova dopo l’avvenuto esproprio parziale di esso da parte delle Bonifiche Calabresi s.a.”(…).
Il terreno in vendita è precisamente quello segnato in rosa nella pianta redatta dal geometra N.M., quale pianta viene allegata al presente strumento segnandola sotto la lettera b). Si specifica che quanto risultante dalla planata allegata ha solo valore indicativo dovendosi intendere venduta la reale superficie, come stabilita di metri quadrati duemila cento, da distaccarsi sul terreno secondo le indicazioni sopra fissate”.
A pag. 69 è detto inoltre che “dalla planimetria allegata all’atto era indicata un’area rettangolare irregolare di cui è indicata la misura del lato opposto della strada di bonifica di mt. 61,50 e della dei lati minori di mt. 37,10 e 31,20 (…), e che quindi, “con tale rogito era stata venduta una superficie maggiore che debordava sicuramente nel piazzale antistante la stazione e nella viabilità interposta tra il loto n. 14 e 15.
In seguito il consulente ha avuto anche cura di precisare che “l’atto, interessando il lotto n. 14, non aveva alcuna interesse per l’attuale vertenza, che riguardava invece i lotti nn. 15,16,17 (cfr. relazione pag. 69).
In definitiva, il vizio, consistente nell’aver la sentenza affermato che il mandato speciale per la vendita fosse stato acquisito in primo grado – non solo sostanzierebbe un errore di fatto, ma risulta del tutto irrilevante, atteso che la c.t.u., per la parte richiamata in ricorso, non ha tenuto minimamente conto di tale produzione, avendo – per giunta – posto in rilievo che l’atto di trasferimento del 10.6.1947 era irrilevante ai fini della causa, riguardando un lotto non oggetto di occupazione abusiva.
Il ricorso è – per tali ragioni – inammissibile, con aggravio di spese secondo soccombenza.
Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 8200,00 per compenso oltre alle spese prenotate a debito.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile, il 8 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021