LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE UNITE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di Sezione –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 34712-2019 proposto da:
D.C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TRIONFALE 21, presso lo studio dell’avvocato KATIA VENTURA, rappresentato e difeso dall’avvocato PIERO NITOLLI;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI VELLETRI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. BETTOLO 9, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MAGGISANO, rappresentato e difeso dall’avvocato LORELLA KARBON;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6244/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/10/2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/01/2021 dal Consigliere FALASCHI MILENA;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale LOCATELLI GIUSEPPE, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., D.C.M. evocava, dinanzi al Tribunale di Velletri, il Comune di Velletri per sentire accertare e dichiarare l’obbligo dell’ente convenuto di procedere alla stipula di contratto di locazione con l’attore, nella qualità di fratello dell’originario conduttore, D.C.S., ex art. 3 della Convenzione inter partes rep. 778 del 19.09.2000, in relazione al chiosco-bar in muratura sito in località ***** in virtù dell’art. 5, u.c della Convenzione predetta e per l’effetto pronunciare sentenza costitutiva di contratto di locazione, con determinazione del canone di locazione in Euro 878,98 mensili, come stabilito dal Dirigente dell’Ufficio Patrimonio del Comune di Velletri, di cui alla nota del 19.01.2016.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dell’ente locale convenuto, il quale eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice adito in favore del giudice amministrativo, oltre a chiedere il rigetto del ricorso per infondatezza, il Tribunale, con ordinanza del 3/4 aprile 2017, rigettava l’eccezione di difetto di giurisdizione e, nel merito, accoglieva il ricorso condannando il Comune a stipulare con l’attore il contratto di locazione de quo, oltre alla rifusione delle spese processuali.
In virtù di rituale appello interposto dal Comune, la Corte di appello di Roma, nella resistenza dell’appellato, accoglieva il gravame e la pregiudiziale questione del difetto di giurisdizione, dichiarando la giurisdizione del giudice amministrativo affermando trovare applicazione nella specie l’art. 133 c.p.a., comma 1, lett. b) e c), che riconosceva la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di “controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici”, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai Tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche.
Il C. ha presentato ricorso per regolamento di giurisdizione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, affidato a tre motivi, cui ha replicato con controricorso il Comune di Velletri.
Fissato all’udienza pubblica del 26 gennaio 2021 con avviso notificato il 28 ottobre 2020, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.
In prossimità della camera di consiglio il pubblico ministero ha depositato (il giorno 5 gennaio 2021) conclusioni scritte formulate nel senso del rigetto del ricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo parte ricorrente nel dedurre la violazione e la falsa applicazione degli artt. 24 e 103 Cost. e art. 113 Cst., comma 2, nonché degli artt. 37 e 386 c.p.c., e art. 133 c.p.c., comma 1, lett. b) e c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, sostiene che nella fattispecie sussista la giurisdizione del giudice ordinario, giacché – diversamente da quanto statuito dalla corte distrettuale – si tratta di controversia il cui oggetto è costituito dall’esercizio del diritto di prelazione da parte di D.C.M., a cui consegue l’obbligo del Comune di stipulare il contratto di locazione. Aggiunge il ricorrente che il bene in ordine al quale aveva esercitato il diritto di prelazione non rientrava tra i beni pubblici aventi il carattere della indisponibilità ovvero della demanialità, in quanto l’acquisito al patrimonio comunale era avvenuto solo in data 21.09.2015 e non risulta essere mai intervenuto un provvedimento dell’ente proprietario costitutivo di destinazione pubblica. In tal senso nessuna rilevanza avrebbe la determinazione n. 89 del 23.08.2010 di accertamento della natura demaniale del bene, intervenuta ben cinque anni prima dell’acquisizione al patrimonio comunale del bene medesimo, trattandosi pacificamente di bene pubblico destinato ad attività commerciale (chiosco-bar), con un canone di locazione stabilito, come da determinazione n. 1371 del 19.12.2016 dell’arch. G.G., dirigente dell’Ufficio patrimonio del Comune, e nota dello stesso del 19.01.2016. In tal senso – ad avviso del ricorrente – il bene andrebbe ricompreso nel patrimonio disponibile del Comune e sul quale vi sarebbe la competenza del solo giudice ordinario.
Il ricorso è fondato.
La fattispecie involge, infatti, situazioni giuridiche aventi natura di diritti soggettivi.
Oggetto della contestazione del D.C., ricorrente in primo grado, sarebbero le modalità di esercizio del diritto di prelazione da parte dello stesso relativamente al manufatto sito in *****, adibito a chiosco-bar, di cui il fratello, D.C.S., era conduttore o comunque detentore ex art. 3 della Convenzione inter partes rep. 778 del 19.09.2000, in ordine al quale nessun potere discrezionale sarebbe attribuito alla competente amministrazione in sede di accertamento dei presupposti fattuali legittimanti il riconoscimento del diritto medesimo.
Come ha già avuto occasione di statuire in siffatta materia questa Corte (Cass., Sez. Un., 14 maggio 1981 n. 3163; di recente richiamata da Cass., Sez. Un., 30 agosto 2018 n. 21450), “Qualora un fondo rustico di proprietà di un ente pubblico venga aggiudicato in esito ad asta pubblica, condizionatamente al mancato esercizio del diritto di prelazione agraria da parte dell’affittuario coltivatore diretto, e, successivamente, a seguito dell’esercizio di tale prelazione, venga trasferito a detto affittuario, la controversia, con la quale l’aggiudicatario chieda il riconoscimento della propria qualità di acquirente e contesti i presupposti di quella prelazione, ancorché promossa sotto il profilo della illegittimità dei provvedimenti con cui l’ente pubblico ha disposto l’indicato successivo trasferimento, spetta alla cognizione del giudice ordinario, e non a quella del giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità, atteso che investe posizioni di diritto soggettivo – cioè il diritto di proprietà e la relativa titolarità – che discendono da rapporti di natura privatistica e che non sono suscettibili di degradazione od affievolimento per effettodei suddetti provvedimenti”.
Questa Corte ha anche avuto modo di puntualizzare (Cass., Sez. Un., 26 aprile 2012 n. 6493) che la prelazione legale si configura come un diritto soggettivo potestativo, non suscettibile di essere degradato o affievolito da provvedimenti amministrativi, con la conseguenza che se la pubblica amministrazione bandisca l’asta pubblica per l’alienazione di un fondo agricolo, in relazione al quale esistano titolari del diritto di prelazione, la controversia promossa dal soggetto destinatario della proposta di aggiudicazione contro l’Amministrazione ed i prelazionari, benché introdotta da soggetto titolare di un mero interesse legittimo in quanto non aggiudicatario definitivo, e prospettata sotto il profilo dell’illegittimità dei provvedimenti con cui l’ente pubblico ha disposto il successivo trasferimento del bene, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, siccome l’azione esercitata tende a contestare il legittimo esercizio del diritto di prelazione del quale i convenuti sono titolari, nonché il diritto di proprietà dagli stessi acquistato sul bene. Tale concetto è stato, poi, ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 62 del 2014, in cui si è precisato che non viene in considerazione la legittimità degli atti della procedura ad evidenza pubblica, bensì l’esercizio del diritto di prelazione fatto valere in giudizio, dal momento che la controversia attiene sostanzialmente alla posizione soggettiva in capo al titolare del diritto di prelazione sull’immobile oggetto di contesa.
Ne’ può avere alcuna rilevanza la circostanza per cui le pronunce citate nella recente sentenza n. 21450/18 sono state emesse relativamente a controversie nelle quali hanno agito gli aggiudicatari nei confronti degli enti pubblici e di coloro a cui era stato riconosciuto il diritto a esercitare il diritto di prelazione. Si tratta infatti di situazioni equivalenti in cui viene in rilievo, sotto profili speculari, l’idoneità di un diritto soggettivo a prevalere sul legittimo interesse dell’aggiudicatario a vedere perfezionato in suo favore il trasferimento del bene oggetto della pubblica gara. Sicché in entrambe le ipotesi quello che sostanzia il petitum è proprio il riconoscimento o meno del diritto soggettivo all’esercizio della prelazione.
Ne’ i termini della questione mutano per la considerazione che nella fattispecie trattasi di prelazione convenzionale e non legale, in quanto nel caso in esame il petitum sostanziale e’, comunque, caratterizzato dal fatto che l’azione esercitata tende a far valere il legittimo esercizio del diritto di prelazione, nonché il conseguente diritto di stipulare contratto di locazione relativamente a bene – chiosco-bar – di proprietà del Comune, inserito in un’area adibita a parco pubblico.
Oltretutto, è interessante richiamare quanto statuito dalla Cassazione (Cass. 18 luglio 2008 n. 19928 e Cass. n. 3466 del 19.5.1988) a proposito del fatto che la prelazione convenzionale, analogamente a quella legale, non ha natura reale ma obbligatoria e, non essendo riconducibile alla promessa di stipulare, è insuscettibile di esecuzione coattiva. Ciò avvalora la considerazione che l’apprezzamento della sussistenza o meno di un diritto di natura obbligatoria e delle conseguenze che la sua negazione determina non può che rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario.
Nella specie, dunque, come esattamente rilevato dal ricorrente, non viene in considerazione la legittimità degli atti della procedura ad evidenza pubblica, bensì l’esercizio del diritto di prelazione fatto valere dall’attuale ricorrente. La controversia, in definitiva, attiene sostanzialmente alla posizione soggettiva in capo al C. di titolare del diritto di prelazione sull’immobile di cui si tratta, di cui andrà valutata la sussistenza o meno.
Alla ritenuta fondatezza della prima censura consegue, altresì, l’assorbimento degli altri motivi attinenti al merito della vicenda processuale (il secondo relativo alla lamentata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,288 e 702 quater c.p.c., nonché dell’art. 121 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere la corte di merito pronunciato sull’eccezione di improcedibilità dell’appello per intervenuto giudicato dell’ordinanza del 04.04.2017, come corretta dall’ordinanza del 12.06.2017, come sollevata dal ricorrente – appellato nella comparsa conclusionale nella quale veniva chiarito che il Comune non aveva mai esteso il gravame alla ordinanza come risultante a seguito delle correzioni di errori materiali; il terzo attinente alla doglianza di violazione e/o di falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere la corte di merito pronunciato sulla eccezione di improcedibilità per non avere il Comune mai prodotto l’ordinanza impugnata nella formula corretta, come tempestivamente eccepito nella comparsa conclusionale).
Il ricorso deve, pertanto, essere accolto.
La sentenza impugnata va cassata e dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario. Le parti vanno, conseguentemente, rimesse innanzi alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà all’esame nel merito della domanda e a cui è demandato, altresì, il regolamento delle spese del presente giudizio.
PQM
La Corte, accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata;
dichiara la giurisdizione del giudice ordinario e rimette le parti, anche per le spese di legittimità, dinanzi alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezioni Unite, il 26 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021
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