LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18146-2020 proposto da:
ACQUEDOTTO DEL NERA – SAN SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE LIEGI, 35/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO COLAGRANDE, che la rappresenta e difende in virtù di procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
e ASSEMBLEA DI AMBITO TERRITORIALE OTTIMALE N. ***** MARCHE CENTRO
– AATO N. *****, elettivamente domiciliata in ROMA VIA CICERNOE 28, presso lo studio dell’avvocato CARMINE STINGONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA GALVANI giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente incidentale –
contro
REGIONE MARCHE – GIUNTA REGIONALE – SERVIZIO INFRASTRUTTURE TRASPORTI ENERGIA PF TUTELA DELLA ACQUE, rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE DE BELLIS giusta procura in calce al controricorso;
B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CIVITAVECCHIA 7, presso lo studio dell’avvocato LORENZO GRISOSTOMI TRAVAGLINI che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
e contro
CINQUECENTO SRL, COMUNE DI PIEVE TORINA, CENTRO MARCHE ACQUE SRL, UNIDRA UNIONE AZIENDE IDRICHE SCARL, SI MARCHE SCARL, ASSM AZIENDA SPECIALIZZATA SETTORE MULTISERVIZI SPA, ASSEM SPA, AZIENDA PLURISERVIZI MACERATA SPA, ATAC CIVITANOVA SPA, ASTEA SPA, ACQUAMBIENTE MARCHE SRL, MINISTERO PER LO SVILUPPO ECONOMICO, MINISTERO DEI BENI ED ATTIVITA’ CULTURALI, ARPAM, E-DISTRIBUZIONE SRL, SOGLIANO AMBIENTE, SIME ENERGIA SRL;
– intimati –
avverso la sentenza n. 226/2019 del TRIB.SUP. DELLE ACQUE PUBBLICHE di ROMA, depositata il 09/12/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/07/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dalle ricorrenti principale ed incidentale nonché da B.E..
RAGIONI IN FATTO DELLA DECISIONE La società Acquedotto del Nera SAN S.p.A., società a capitale interamente pubblico costituita nel 2003 da 22 Comuni delle Province di Macerata e di Ancona, per trasformazione del Consorzio Acquedotto del Nera, a sua volta istituito negli anni ‘70 del secolo scorso tra detti Comuni per la realizzazione d’un acquedotto occorrente alle esigenze idriche della popolazione consortile, aveva conservato i diritti e gli obblighi in capo al Consorzio, tra cui le varie derivazioni ad uso idropotabile nel frattempo ottenute, nonché le opere acquedottistiche costruite, in qualità di soggetto gestore.
Con disciplinare del 18 dicembre 2003, detta Società e la Regione Marche convennero le condizioni di gestione del rapporto concessorio, fin dal 1978 chiesto dal predetto Consorzio, per l’attingimento idropotabile dalle sorgenti ***** del fiume *****.
Successivamente all’Assemblea di Ambito territoriale ottimale – AATO n. ***** Marche Centro – Macerata, costituita dalla Regione Marche in base alla L.R. Mar. 28 dicembre 2011, n. 30, artt. 6 e 7, furono conferite, ai sensi del precedente art. 5, comma 2, le funzioni D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 148 per la gestione del servizio idrico integrato – SII, ed alla stessa la Regione volturò la concessione di grande derivazione idropotabile della sorgente *****, da inviare sempre nell’ex-acquedotto consortile, rimasto nella titolarità e nella gestione della SAN S.p.A.
Nelle more furono respinte dalla Regione tre istanze di derivazione idroelettrica, nelle località ***** e ***** nel territorio comunale di ***** e, rispettivamente, in loc. Fosso ***** nel territorio comunale di *****, avanzate dalla SAN, in quanto, la portata richiesta non trovava base su quella assentita.
Con istanze del 18 dicembre 2015, la Cinquecento s.r.l. chiese alla Regione Marche il rilascio d’altrettante concessioni di derivazione in regime di couso, a fini idroelettrici, con prelievi dalle condotte dell’acquedotto del *****, negli impianti di ***** e, rispettivamente, di *****, ed il progetto delle derivazioni e delle relative centraline prevedeva la realizzazione di un by-pass su tali condotte, in modo da consentire il prelievo, a monte, dell’acqua occorrente al funzionamento delle centraline, con restituzione a valle dell’acqua stessa all’uso idropotabile.
Iniziato il relativo procedimento, intervenne un accordo di couso tra la SAN S.p.A. e la Cinquecento s.r.l., ma la Regione, avendo appreso che il giorno precedente la SAN S.p.A. aveva annullato detto accordo, precisò che quest’ultimo sarebbe dovuto intervenire, ai fini della prosecuzione del procedimento, solo tra la Cinquecento s.r.l. e l’AATO n. ***** (nella sua qualità di concessionaria).
All’esito del procedimento, le istanze della Cinquecento s.r.l. furono accolte e la Regione rilasciò le invocate concessioni in forza dei decreti n. 21/SMD dell’8 luglio (*****) e n. 22/SMD dell’8 agosto 2016 (*****). La Regione dispose inoltre che: A) il couso restasse disciplinato dai disciplinari del 1 luglio 2016; B) la concessione idropotabile fosse modificata in conseguenza del rilascio delle citate concessioni.
Avverso il decreto n. 21/SMD, il relativo documento istruttorio allegato, il disciplinare di concessione e gli atti connessi insorse anzitutto la SAN S.p.A. innanzi al Tribunale superiore delle Acque, col ricorso n. 247/2016.
Con l’atto per motivi aggiunti depositato il 14 aprile 2017, la SAN S.p.A. impugnò il decreto regionale n. 3/SMD del 25 gennaio 2017, recante la variante non sostanziale L.R. n. 5 del 2006, ex art. 22, commi 2 e 3 alla concessione di cui al decreto regionale n. 21/SMD, e con un secondo atto per motivi aggiunti, impugnò anche il decreto regionale n. 97 del 26 luglio 2017, con il quale in conformità dell’apposita conferenza di servizi, la Regione Marche rilasciò alla Cinquecento S.r.l. l’autorizzazione unica D.Lgs. n. 387 del 2003, ex art. 12 per la costruzione e la gestione di detta centralina (*****).
L’AATO n. *****, nella qualità di soggetto gestore del SII e di subentrante alla SAN S.p.A. nel rapporto concessorio idropotabile, impugnò a sua volta il decreto n. 21/SMD, col ricorso n. 284/2016, e provvide ad impugnare con l’atto per motivi aggiunti la variante non sostanziale alla concessione idroelettrica assentita col citato decreto regionale n. 3/2017, nonché gli atti connessi, col ricorso n. 284/2017. Col secondo atto per motivi aggiunti gravò pure il decreto regionale n. 14/2017 (di rilascio dell’AU a favore della controinteressata).
La SAN S.p.A. ha impugnato, col ricorso n. 248/2016, il decreto regionale n. 22/SMD (*****), l’allegato documento istruttorio ed il disciplinare di concessione, nonché tutti gli atti connessi, sulla base di doglianze analoghe a quelle avanzate nei confronti dell’altro decreto. Con l’atto per motivi aggiunti la società impugnò la variante non sostanziale di cui al decreto regionale n. 6 del 16 febbraio 2017 (recante la convalida del prelievo idroelettrico della controinteressata a l/s 150) e la coeva nota regionale n. 134651, e con un secondo atto per motivi aggiunti impugnò il decreto regionale n. 95 del 25 luglio 2017 (recante il rilascio dell’AU D.Lgs. n. 387 del 2003, ex art. 12 per l’impianto di *****).
Analoghe impugnative furono proposte anche da AATO n. *****, col ricorso n. 283/2016, deducendo gli stessi motivi di cui al gravame introduttivo ed ai due atti per motivi aggiunti, rivolti contro il citato decreto n. 21/SMD, la variante non sostanziale e, rispettivamente, l’AU rilasciata alla controinteressata per l’impianto di *****.
Si costituirono la Regione Marche e la Società controinteressata, concludendo per il rigetto delle impugnative. Intervennero ad adiuvandum la ASSM S.p.A. e la ATAC Civitanova S.p.A. unipersonale, a supporto della posizione della ricorrente AATO n. *****.
Per quanto ancora rileva in questa sede, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche con la sentenza n. 226 del 9 dicembre 2019, dichiarò inammissibile il ricorso n. 25/2017 proposto da Sogliano Ambiente S.p.A. e da Sime Energia S.r.l., dichiarò in parte inammissibili ed in parte infondati i ricorsi proposti da SAN S.p.A. ed accolse per quanto di ragione i ricorsi proposti da AATO n. *****, annullando l’autorizzazione unica di cui ai decreti regionali del 2017, nonché l’art. 10 dei rispettivi disciplinari di concessione.
Dopo aver rilevato che le impugnative di Sogliano Ambiente S.p.A. e SIME Energia S.r.l. risultavano proposte da società terze rispetto ai rapporti concessori impugnati, il che rendeva palese il loro difetto d’interesse (non avendo mai avanzato un’istanza di concessione in concorrenza con quella della Cinquecento S.r.l.), non poteva giustificare l’impugnativa una semplice proposta di project financing a suo tempo da loro avanzata alla SAN S.p.A. in relazione alla possibilità che quest’ultima intendesse a sua volta sfruttare la forza motrice dell’acqua immessa nelle sue reti acquedottistiche a fini idroelettrici, progetto finora mai concretatosi.
La sentenza, nell’esaminare la posizione della SAN S.p.A., rilevò che la stessa era rimasta nella disponibilità delle opere acquedottistiche, ma da tempo non era più concessionaria idropotabile, i cui titoli furono a suo tempo trasferiti dalla Regione all’AATO n. ***** Centrale Marche – Macerata, titolare del locale SII.
Ne derivava quindi che solo quest’ultima, in quanto soggetto gestore del SII, era legittimata, ai fini del couso, a chiedere l’apposita convenzione ed il correlato pagamento del compenso ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 47, comma 1 e della L.R. n. 5 del 2006, art. 28, secondo quanto indicato all’art. 10 del disciplinare di concessione.
Secondo il TSAP sebbene tale articolo avesse indicato nella SAN S.p.A. la destinataria del predetto compenso, la norma negoziale era contra legem (ossia contraria a norma imperativa) ed andava interpretata in modo conforme alla realtà giuridica cristallizzata nella concessione, in quanto il couso e il relativo compenso concernono l’avvalimento delle opere di presa o di derivazione di cui è titolare un’altra utenza, indipendentemente dal materiale proprietario delle opere stesse, che potrebbe esser pure un terzo locatore o versare in altra situazione soggettiva col titolare.
I rapporti sull’uso dell’acquedotto tra la concessionaria AATO n. ***** e la SAN S.p.A. attengono non al regime di cui al R.D. n. 1775 del 1933, art. 47, comma 1, ma alla gestione del SII ed andavano regolati in quella sede.
Alla luce di tali considerazioni è stato quindi affermato che la SAN S.p.A., mero gestore della rete acquedottistica e privo di titolo sull’uso lecito dell’acqua, difettava d’un interesse attuale a contestare la concessione rilasciata alla controinteressata, se non nei, per vero limitatissimi, casi in cui il couso idroelettrico potesse impingere sulle (e condizionare in modo illegittimo le) modalità concrete di gestione dell’opera.
Ne derivava che quanto alle doglianze esposte nel gravame introduttivo, il primo motivo (sulla violazione del D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12, questione in diritto peraltro manifestamente erronea), il secondo motivo (sull’inutilità di un’autonoma VIA per impianti da realizzare su condotte esistenti e senza aumenti di portata derivata, circostanze, queste, che mantengono integro l’acquedotto), il terzo motivo (sull’aumento della portata derivabile a fini idroelettrici rispetto a quella vigente per l’uso idropotabile, l/s 150, possibilità, questa, connessa all’aumento di quest’ultima portata) ed il quarto motivo (sulla competenza della Regione a disporre la convenzione di couso, in caso di disaccordo tra la controinteressata e la SAN S.p.A.) s’appalesavano tutti estranei all’ambito gestionale diretto e materiale dell’acquedotto attoreo, donde l’assenza d’uno specifico interesse attoreo al riguardo. Ne’ potevano addursi i temuti pericoli per il mantenimento della sicurezza della potabilità dell’acqua, poiché a tal fine vi provvidero i rispettivi disciplinari di concessione, ferma restando sia la mancata opposizione del Comune di Pieve Torina a detto uso, sia la non necessità del coinvolgimento di ARPA Marche e dell’ASUR sugli aspetti prettamente idraulici della concessione idroelettrica.
Per quel che atteneva al primo atto per motivi aggiunti sulla variante non sostanziale (ricorso n. 247/2016), gli unici due aspetti potenzialmente critici per la gestione dell’acquedotto sarebbero la denunciata strozzatura della condotta e l’ubicazione della centralina. Nondimeno, per l’impianto di *****, tal “strozzatura” non riguardava la condotta in sé, ma l’apporto di taluni accorgimenti tecnici affinché fosse assicurata la giusta pressione per aumentare la forza motrice, garantendo poi quella occorrente per il corretto svolgimento del SII. Dal canto suo, la centralina di ***** sarebbe stata ubicata in un terreno che già ospitava la condotta, così evitando opere ulteriori e non modificando le opere di presa.
Quanto all’impianto di *****, il riferimento al preteso aumento di portata riconosciuto alla controinteressata in violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 19 era questione di diritto, deducibile dalla vera concessionaria e non afferente alla buona funzionalità in sé dell’acquedotto gestito dalla SAN S.p.A..
In ordine al secondo atto per motivi aggiunti, rivolto avverso il rilascio dell’AU n. 97/2017 e dell’AU n. 95/2017, la sentenza ha osservato che non vi era un interesse in capo alla SAN S.p.A. a far constare il mancato coinvolgimento dell’AATO n. ***** nelle rispettive conferenze di servizi, trattandosi di questioni di partecipazione procedimentale strettamente connesse al titolo di legittimazione e personalmente spettanti alla concessionaria AATO n. *****.
Analogamente doveva concludersi quanto al secondo motivo, inerente al parere paesaggistico implicito del Comune di *****, perché la doglianza non offriva alcun serio principio di prova di come le rispettive centraline, in ***** e nella *****, impediscano o pregiudichino la buona funzionalità dell’acquedotto. Il richiamo del terzo motivo sulla variante non essenziale non apportava alcunché di nuovo rispetto al primo atto per motivi aggiunti e, soprattutto trattandosi di impianti idroelettrici posti all’interno della rete acquedottistica – non dimostrava aspetti pregiudizievoli per la materiale gestione degli acquedotti. Era reputato infondato anche il quarto motivo aggiunto, sull’omessa convocazione della conferenza di servizi decisoria, e ciò perché non solo fu corretto l’uso del modulo conferenziale ex art. 14-bis della L. n. 241 del 1990, ma neppure dall’eventuale errore procedimentale provenne alla ricorrente un pregiudizio alla gestione del suo acquedotto.
La sentenza ha poi esaminato le censure mosse dall’AATO n. *****, e le ha ritenute infondate quanto all’impugnativa dei decreti con i quali erano state rilasciate le concessioni idroelettriche.
Rilevò il TSAP che le deduzioni della parte muovevano dalla considerazione che il couso, che in pratica si sostanzia nell’avvalimento di opere idrauliche già esistenti e d’una derivazione già concessa ad altro uso, e soggiace a sua volta a concessione, sconta il limite R.D. n. 1775 del 1933, ex art. 19, comma 1 ed è fonte dell’obbligazione (compenso o indennità a favore del concessionario sotteso) di cui al successivo art. 47 ed alla L.R. n. 5 del 2006, art. 28, comma 5.
Tuttavia, non era convincente l’assunto attoreo laddove pretendeva di ricavare una diretta partecipazione sostanzialmente codecisoria al procedimento di couso, che la legge non contempla.
Invero, il concessionario sotteso non è munito anche d’un potere di veto e controllo sul progetto del coutente, neppure con riguardo all’eventuale inserimento della centralina idroelettrica all’interno delle opere acquedottistiche, a maggior ragione quando il couso, come nella specie, riguardi un’utilizzazione diversa ma non dissipativa della medesima risorsa idrica con restituzione all’interno delle stesse opere idrauliche del concessionario sotteso.
In altre parole, questi non può condizionare la delibazione dell’interesse pubblico al couso stesso, d’esclusiva spettanza della P.A. procedente anche ai fini di regolazione delle cautele per la coesistenza delle due concessioni.
La ricorrente poteva prender parte, come in effetti accadde, al procedimento di rilascio della concessione quale interventrice volontaria L. n. 241 del 1990, ex art. 9.
Peraltro, la partecipazione procedimentale non va intesa in senso formalistico, ma risponde all’esigenza di provocare l’apporto collaborativo da parte dell’interessato che dev’esser leale, pieno ed argomentato – specie se promana da un ente pubblico, qual è il gestore del SII – ma nella specie l’invito della Regione stessa a sottoscrivere la convenzione di couso L.R. n. 5 del 2006, ex art. 28, comma 3 era rimasto inascoltato, e soprattutto, si erano palesate pretestuose le questioni poste con la nota n. 639 del 12 maggio 2016, con cui la ricorrente manifestò perplessità se la scelta della Cinquecento s.r.l. fosse la migliore (attribuendosi una valutazione che invece competeva alla Regione quale Autorità concedente), se la controinteressata potesse usare una risorsa pubblica pagata dai contribuenti (ma è proprio questa la morfologia della concessione, anche nei confronti della ricorrente, che è a sua volta concessionaria e non proprietaria della risorsa idrica), se il contenuto dell’indennità prevista dalla convenzione fosse congruo, e se le soluzioni tecniche su prelievo e restituzione in acquedotto e sulle eventuali interferenze tra distribuzione dell’acqua potabile e produzione idroelettrica fossero idonee a garantire le esigenze sottese (ma senza operò individuare rimedi tecnici da suggerire). La Regione solo rispose a tali rilievi in maniera puntuale, senza ottenere ulteriore e collaborativo riscontro da parte dell’AATO n. *****, sicché ha correttamente esercitato il potere dalla legge attribuitole.
Ne’ appariva decisivo il richiamo al R.D. n. 1775 del 1933, art. 12-bis, poiché v’e’ un interesse pubblico significativo per gli impianti FER, il couso idroelettrico non è dissipativo e non sottrae di per sé solo risorse all’uso per il consumo umano, non vi sono evidenze nella specie di un’eventuale indisponibilità o di minor disponibilità per tal uso e la priorità di quest’ultimo non ne preclude altri e contestuali utilizzi.
Quindi, dopo aver confermato l’errore contenuto nell’art. 10 del disciplinare di concessione, non essendo stata individuata la vera titolare della concessione idropotabile, quale unico soggetto inciso dal couso e, per l’effetto, unica creditrice del compenso L.R. n. 5 del 2006, ex art. 28, comma 5 (dovendosi quindi pervenire all’annullamento di solo tale clausola e non di ogni altra parte del disciplinare stesso e men che mai del provvedimento concessorio), rimetteva alla fase di riesame in sede amministrativa l’individuazione delle modalità di tariffazione.
La sentenza riteneva infondata la doglianza sulla pretesa insufficienza documentale dell’istanza della controinteressata, poiché, trattandosi di couso di opere acquedottistiche a suo tempo vagliate ed assentite, la nuova concessionaria era onerata a presentare solo la documentazione, di massima (ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 7, comma 1), ad integrazione del prelievo idropotabile da parte di quello idroelettrico. Il richiamo alle esigenze di tutela quali-quantitativa della risorsa idrica era un falso problema, posto che l’AATO n. ***** è la concessionaria titolare del prelievo e responsabile delle opere di derivazione e di restituzione, compreso il DMV, dati questi non alterati dalla concessione idroelettrica che opera con l’acqua già prelevata e scorrente nella rete, prima della sua restituzione, tant’e’ che non v’e’ alcun’interruzione nell’ecosistema fluviale e, si badi, neppure si ha, allo stato e per i soli fini idroelettrici, un effettivo prelievo maggiore di quello concesso all’AATO n. *****. D’altronde le concessioni impugnate erano state accordate “… nei limiti della portata idrica disponibile, così come disposto dal R.D. n. 1775 del 1933, art. 19…”, sicché, per un verso, dette concessioni non avrebbero potuto godere di una portata maggiore fintanto che non ne fosse assegnata una corrispondente per l’uso idropotabile.
Era da disattendere anche il primo atto per motivi aggiunti.
Infatti, la L.R. n. 5 del 2006, art. 21, comma 1 prevede che “… ai fini della concessione sono considerate sostanziali le varianti che prevedono: a) modificazioni significative delle opere di raccolta, regolazione, presa e restituzione; b) una nuova ubicazione delle opere di cui alla lettera a); c) un uso diverso dell’acqua captata; d) un aumento del prelievo con modifica delle opere di derivazione…”.
Nessuna di queste ipotesi si verificò coi decreti regionali di variante n. 3/2017 e n. 6/2017.
Infatti, quanto a *****, furono apportate le seguenti modifiche: 1) aumento del valore di pressione dell’acqua a monte della centralini; 2) variazione dell’area di sedime; 3) ridefinizione dei valori di portata massima della concessione.
In base al disposto del R.D. n. 1775 del 1933, art. 49, comma 2 (che è poi replicato dalla L.R. n. 5 del 2006, art. 21, comma 2), è previsto che “…quando le variazioni, pure aumentando la quantità d’acqua o di forza motrice utilizzata, lascino sostanzialmente invariate le opere di raccolta, regolazione, presa o restituzione dell’acqua, la loro ubicazione e l’uso dell’acqua,… (si)… può, previa breve istruttoria limitatamente alle varianti introdotte, accordare la concessione senza le condizioni e formalità stabilite…”.
Secondo il TSAP la lettura delle “varianti” portava a concludere che: a) le caratteristiche essenziali della concessione sottesa non erano cambiate, né furono modificate quella della concessione idroelettrica; b) l’aumento del valore di pressione derivava dalla chiusura d’un disconnettore sito tra la vasca di carico a pelo libero dopo la ***** e la centralina idroelettrica, di modo che l’acqua confluiva direttamente dalla vasca delle ***** fino a ***** sfruttando per intero il nuovo e più lungo salto e, una volta turbinata, tornava poi alla pressione ottimale di BAR 4,6 per garantire il funzionamento ordinario dell’acquedotto; c) la potenza di concessione restava identica e pari a quella spettante all’AATO n. ***** quale concessionaria sottesa e non sarebbe mutata se non quando muterà quest’ultima; d) la diversa ubicazione dell’area di sedime avviene nel sito, poco discosto dal precedente, che accoglie già la condotta dell’acquedotto.
Quanto alla *****, il primo atto per motivi aggiunti al ricorso n. 283/2016 non faceva che ribadire i profili d’illegittimità già esaminati per il gravame introduttivo, senza nulla aggiungere, onde le doglianze manifestate in tale atto potevano esser legittimamente assorbite.
In merito al secondo atto per motivi aggiunti, la sentenza rilevava che un primo gruppo di censure non faceva che replicare le doglianze sulla posizione dell’AATO n. *****, sulla sua pretermissione nel procedimento concessorio, sugli effetti critici del couso e sulla necessità di tutela quali-quantitativa della risorsa. Era suggestiva, ma inutile, la deduzione circa la necessità di previo assoggettamento a screening di VIA, in quanto le opere idroelettriche sono connesse se non interne all’acquedotto e non erogano una potenza massima inferiore ai kW 250, sì da escludere l’assoggettabilità a screening di VIA ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 20, trattandosi appunto di impianti in reti acquedottistiche. Ne’ poteva invocarsi la pretesa dimidiazione, di cui al p. 5) dell’allegato al D.M. 30 marzo 2015, della soglia dei kW 250, e ciò in quanto la captazione dell’acqua di sorgente all’interno del ***** riguarda la derivazione idropotabile e non quella, in couso idroelettrica, che usa l’acqua già captata.
In ogni caso, non era fornito neppure un minimo principio di prova che la mera esistenza d’un couso non dissipativo e compatibile con le esigenze di buon funzionamento del SII creasse impatti significativi sull’ambiente e ciò, soprattutto, a fronte del silenzio-assenso verificatosi in conferenza di servizi su tal punto da parte della struttura regionale competente.
Era poi ritenuto manifestamente infondato il terzo mezzo dei secondi motivi aggiunti, in quanto la P.A. procedente usò il modulo procedimentale della conferenza decisoria semplificata in modalità asincrona L. n. 241 del 1990, ex art. 14-bis, ed il dissenso della SAN S.p.A. non poteva avere alcun effetto paralizzante in sé, soprattutto perché non essendo detta Società concessionaria idropotabile, ma mera gestrice dell’acquedotto, neppure avrebbe potuto esprimere una volontà impegnativa sul punto.
Quanto al richiamo attoreo all’istituto, a suo dire indebitamente adoperato, della L. n. 241 del 1990, art. 17-bis, è stato ritenuto che fosse del tutto spurio se riferito a vicende d’una conferenza di servizi. Infatti, l’art. 17-bis trova perlopiù applicazione nel caso in cui la P.A. procedente debba acquisire l’assenso di una sola Amministrazione, mentre nel caso di assensi da parte di più Amministrazioni opera la conferenza di servizi.
Tuttavia, appariva fondato il quinto mezzo di gravame, posto che emergeva che nel procedimento di AU D.Lgs. n. 387 del 2003, ex art. 12, era necessario far intervenire la ricorrente nell’apposita conferenza di servizi, in quanto concessionaria idropotabile in atto e gestrice del SII, con riguardo all’interlocuzione circa il progetto definitivo delle opere ed alla loro compatibilizzazione con l’erogazione del servizio idropotabile, essendo evidente l’interesse alla protezione della buona gestione dell’intero servizio e non della sola rete acquedottistica in cui s’inseriscono gli impianti idroelettrici, con l’ovvia conseguenza della complessiva tutela del servizio idrico e dei suoi utenti finali.
Occorreva quindi annullare l’AU e procedere al rifacimento ab imis del relativo procedimento in conferenza di servizi, quantunque nel modulo prescelto dalla Regione.
Per la cassazione della sentenza del TSAP la Società Acquedotto del ***** S.p.A. ha proposto ricorso sulla base di due motivi.
Anche l’Assemblea di Ambito Territoriale Ottimale n. ***** Marche Centro ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.
La Regione Marche e B.E., quale ex socio della Cinquecento S.r.l., società cancellata dal registro delle imprese, hanno resistito ad entrambi i ricorsi, con autonomi controricorsi.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
Le ricorrenti principale ed incidentale nonché B.E. ha depositato memorie in prossimità dell’udienza.
RAGIONI IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Preliminarmente occorre qualificare il ricorso autonomamente proposto da AATO n. *****, in quanto successivo a quello anteriormente proposto dalla SAN S.p.A., quale ricorso incidentale, e ciò alla luce della regola secondo cui (cfr. Cass. n. 5695/2015) il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operative (conf. Cass. n. 448/2020). La verifica circa la tempestività si risolve poi in senso positivo, atteso che il ricorso principale risulta essere stato notificato alla AATO n. ***** in data 25/6/2020, ed avendo questa notificato il proprio ricorso in data 1/9/2020.
2. Deve poi essere disattesa l’eccezione di inammissibilità ed improcedibilità del ricorso principale ed incidentale sollevata dalla difesa del controricorrente B.E., quale ex socio della Cinquecento S.r.l., società che è stata cancellata dal registro delle imprese il 18 novembre 2019, in data anteriore alla pubblicazione della sentenza impugnata.
Assume il controricorrente che in realtà il ricorso doveva essere proposto, in ragione dell’intervenuta estinzione della società partecipante al precedente giudizio, nei confronti dei soci, come affermato da Cass. S.U. n. 6070/2013.
Ritiene la Corte che la deduzione sia infondata e ciò, oltre che per il rilievo per cui, essendo la detta società una controinteressata, l’avvenuta notifica del ricorso alla Regione Marche, ove anche ritenuta invalida la notifica effettuata alla società estinta, avrebbe imposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei suoi successori, intesi quali gli ex soci, alla luce del principio affermato da Cass. S.U. n. 15295/2014, a mente del quale in caso di morte o perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera di quest’ultimo comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla proposizione dell’impugnazione. Tale posizione è suscettibile di modificazione qualora, nella fase di impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte defunta o il rappresentante legale di quella divenuta incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del processo, dichiari in udienza, o notifichi alle altre parti, l’evento, o se, rimasta la medesima parte contumace, esso sia documentato dall’altra parte o notificato o certificato dall’ufficiale giudiziario ex art. 300 c.p.c., comma 4.
Tale conclusione, che appare estensibile anche all’avvenuta cancellazione della società, stante l’assimilazione della stessa ad un fenomeno lato sensu successorio, comporta che in tema di giudizio di legittimità, la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, consente la notifica del ricorso della controparte presso il difensore in appello della società estinta, essendo però preclusa allo stesso difensore la proposizione del ricorso per cassazione, che esige la procura speciale e deve, quindi, essere effettuata dai soci (Cass. n. 15177/2016; Cass. n. 30341/2018; Cass. n. 23563/2017).
3. Il primo motivo del ricorso della SAN S.p.A. denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 e 113 Cost., del R.D. n. 1775 del 1933, artt. 12, 12 bis, 19,28 e 47 e artt. 143 e ss., degli artt. 100 e 112 c.p.c. nella parte in cui la sentenza del TSAP ha dichiarato inammissibili per carenza di interesse i motivi originari e quelli aggiunti proposti dalla ricorrente, omettendo di statuire sulle relative censure.
Dopo avere richiamato il contenuto dell’art. 24 Cost., di cui è un precipitato l’art. 100 c.p.c., sottolinea il proprio interesse ad impugnare i provvedimenti emessi in favore della Cinquecento S.r.l., sicché si palesa illegittima l’affermazione di difetto di legittimazione.
La sentenza impugnata ha negato tale legittimazione partendo dall’erroneo presupposto che la ricorrente sia un mero gestore dell’acquedotto e priva di titolo all’uso lecito dell’acqua colà immessa, ma tale affermazione non ha tenuto conto dell’obiettiva posizione della parte.
E’ invece evidente l’interesse al corretto sfruttamento della risorsa idrica, come peraltro confermato dallo stesso invito rivoltole per la partecipazione al procedimento amministrativo in vista del rilascio delle contestate autorizzazioni e concessioni.
Occorre poi considerare che l’acquedotto gestito dalla ricorrente è un’opera ancora in corso di completamento, per cui lo sfruttamento dell’acqua per la produzione di energia rientrerebbe tra le possibilità della stessa ricorrente di procurarsi i mezzi finanziari per assicurare il perfezionamento della costruzione.
Sul presupposto quindi della ricorrenza della propria legittimazione ad impugnare gli atti concessori ed autorizzatori, si reiterano le cesure mosse con il ricorso ed i motivi aggiunti, ritenuti però inammissibili.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente o perplessa, con violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. nella parte in cui sono stati disattesi i motivi di impugnativa, per i quali è stata ritenuta ammissibile l’opposizione della ricorrente.
Oltre a ribadirsi l’erroneità della declaratoria di difetto di interesse della parte, si contesta l’assenza ovvero l’apparenza della motivazione della sentenza del TSAP quanto al rigetto dei motivi per i quali è stata invece ravvisata la legittimazione ad impugnare, stante la non intellegibilità delle argomentazioni spese che non disvelano il percorso logico-giuridico seguito per addivenire al rigetto.
3.1 I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.
La sentenza gravata, nell’esaminare le impugnative proposte dalle odierne ricorrenti avverso i medesimi atti, e con censure in parte sovrapponibili, ha ritenuto necessario distinguere tra le due posizioni, sottolineando che la SAN aveva sì la disponibilità delle opere acquedottistiche, ma non era la concessionaria dello sfruttamento della risorsa idrica, cui si correlava la concorrente richiesta di concessione in couso della Cinquecento.
Ha pertanto rilevato che alla fase procedimentale era tenuta necessariamente a partecipare, quale effettiva controinteressata l’AATO n. *****, anche in quanto diretta beneficiaria del compenso per il couso, nel caso di esito positivo del procedimento di rilascio della relativa concessione. Da tali premesse ha quindi tratto la conclusione che la SAN non avesse un interesse giuridicamente riconosciuto a contestare la avversa domanda di rilascio della concessione da parte della Cinquecento, non avendo a sua volta avanzato analoga richiesta, ma potendo opporsi al rilascio della nuova concessione nei limiti in cui la stessa avesse potuto condizionare in modo illegittimo le modalità concrete di esercizio dell’opera di cui era gestore.
Alla luce di tale considerazione, ha quindi distinto tra i vari motivi sollevati dalla ricorrente principale, ed ha dichiarato il difetto di legittimazione a dolersi per i profili che investivano la valutazione circa le condizioni legittimanti il rilascio della concessione (esaminando però nella seconda parte della sentenza le doglianze di analogo tenore mosse dalla AATO n. *****, in quanto effettivamente legittimata a contrastare sul piano amministrativo la richiesta della Cinquecento), ma ha al contempo esaminato i motivi aggiunti nella parte in cui ponevano questioni direttamente incidenti sulla gestione dell’acquedotto, pervenendo tuttavia al loro rigetto.
Ritiene la Corte che la soluzione del TSAP sia incensurabile.
La giurisprudenza amministrativa ha, infatti, ribadito che (Consiglio di Stato sez. V, 17/04/2020, n. 2464) il diritto al ricorso nel processo amministrativo sorge in conseguenza della lesione attuale di un interesse sostanziale e tende a un provvedimento del giudice idoneo, se favorevole, a rimuovere quella lesione; le condizioni soggettive per agire in giudizio sono la legittimazione processuale, cosiddetta legittimazione ad agire, e l’interesse a ricorrere; l’interesse a ricorrere sussiste, quindi, laddove vi sia una lesione della posizione giuridica del soggetto, ovvero se sia individuabile un’utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento e se non sussistano elementi tali per affermare che l’azione si traduca in un abuso della tutela giurisdizionale. Il ricorrente, proponendo ricorso in primo grado, aspira al vantaggio pratico e concreto che può ottenere dall’accoglimento dell’impugnativa, dovendosi postulare che l’atto censurato abbia prodotto in via diretta una lesione attuale della posizione giuridica sostanziale dedotta in giudizio; la lesione da cui deriva, ex art. 100 c.p.c., l’interesse a ricorrere deve costituire una conseguenza immediata e diretta del provvedimento dell’Amministrazione e dell’assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, e deve persistere al momento della decisione del ricorso (conf. ex multis Consiglio di Stato sez. II, 20/06/2019, n. 4233).
Alla luce di tali principi, richiamati peraltro anche dalla difesa della ricorrente principale, deve però escludersi che, in relazione ai motivi per i quali è stata dichiarata l’inammissibilità delle censure da parte del TSAP, possa ravvisarsi una legittimazione al ricorso avverso i provvedimenti concessori ed autorizzatori, per ciò che attiene ai profili che investono la scelta discrezionale della loro emanazione, avendo il giudice di merito puntualmente sottolineato come la parte effettivamente controinteressata fosse il soggetto che era titolare della concessione di acqua idropotabile, e cioè l’AATO n. *****, anche in quanto titolare esclusiva del diritto al compenso legato al couso.
In mancanza di una concorrente richiesta di rilascio di provvedimento concessorio per gli stessi usi sollecitati dalla Cinquecento, l’interesse che prospetta la ricorrente principale nel primo motivo si palesa come non connotato dalla rilevanza giuridica, ma trattasi di un interesse meramente riflesso, che assurge tuttavia ad un consistenza giuridica nella sola parte in cui si prospetta l’idoneità della nuova concessione a determinare un pregiudizio alla rete idrica della quale è gestrice. Ma in parte qua, il TSAP non ha escluso la legittimazione ad impugnare della ricorrente, avendo invece esaminato le censure che denunciavano un concreto pregiudizio all’impianto di distribuzione dell’acqua, evidenziando tuttavia, con argomentazioni in fatto connotate da logicità e coerenza, le ragioni in base alle quali la critiche della SAN si palesavano prive di fondamento.
Alcun rilievo assume al fine di affermare la legittimazione a dolersi del rilascio dei provvedimenti amministrativi in favore della Cinquecento (e per i profili che esulano dal pregiudizio alla rete), la circostanza che la SAN sia stata costituita nell’interesse di 22 comuni serviti dalla rete, così come appaiono del tutto ipotetiche, ed inidonee a dare giuridica rilevanza all’interesse oppositivo della ricorrente, le asserzioni secondo cui in futuro avrebbe potuto la stessa ricorrente decidere di sfruttare al fine della produzione dell’energia l’acqua corrente nell’impianto gestito, anche al fine di procurarsi i mezzi finanziari per addivenire al completamento dell’acquedotto.
Così come del pari appaiono ipotetiche e prive di attualità le considerazioni in merito alla possibilità in futuro che altri Comuni intendano allacciarsi all’acquedotto, con la necessità anche di un adeguamento della struttura.
La correttezza dell’affermazione circa il difetto di legittimazione della ricorrente a dolersi della misura del compenso discende poi direttamente dalla lettera del R.D. n. 1775 del 1933, art. 47, che prevede la titolarità del diritto de quo in capo al precedente concessionario, qualità che pacificamente la SAN non riveste. Quanto alle censure mosse dalla ricorrente al punto 4.1.5. del ricorso, rileva la Corte che in realtà si tratta dei motivi per i quali è stata ritenuta la legittimazione della SAN ad impugnare, attesa la loro attinenza a profili direttamente incidenti sulla gestione dell’acquedotto (il che denota l’erroneità dell’affermazione della parte secondo cui anche tali censure sarebbero state ritenute inammissibili).
Tuttavia, la lettura della sentenza impugnata, alle pagg. 22 e ss., denota come il rigetto sia frutto di accertamenti di fatto operati dal TSAP, che ha escluso ogni forma di pregiudizio per la rete nella disponibilità della ricorrente.
Analoghe considerazioni vanno svolte quanto alle critiche di cui al punto 4.1.6 del ricorso principale, non senza ribadire che esula dal potere di impugnativa della SAN ogni contestazione che investe le questioni concernenti il rilascio delle nuove concessioni, che siano prive però di attinenza con la gestione della rete, posto che, una volta salvaguardata l’efficienza e la funzionalità della stessa, l’interesse all’individuazione del titolare della nuova concessione di sfruttamento idroelettrico non assurge in capo alla SAN ad un livello tale da legittimare l’impugnazione delle determinazioni dell’autorità concedente. Quanto infine alle censure che investono la declaratoria di inammissibilità in ordine all’impugnazione delle AAUU, in disparte il rilievo per cui tali provvedimenti sono stati annullati dalla sentenza impugnata, in accoglimento delle diverse doglianze formulate da AATO n. *****, quanto al mancato intervento di quest’ultima nella conferenza di servizi, con la necessità del rifacimento ab imis del corrispondente procedimento amministrativo, le superiori considerazioni in merito al difetto di legittimazione della SAN valgono anche per escludere la censurabilità della sentenza impugnata in parte qua.
Il riscontro nella decisione gravata di una puntuale esposizione delle ragioni per le quali andavano scriminate le varie doglianze della ricorrente, distinguendosi quelle connotate da inammissibilità da quelle invece ritenute infondate, con, quanto a queste ultime, la puntuale illustrazione delle ragioni in fatto che escludevano il pregiudizio alla gestione della rete, fornisce altresì contezza della infondatezza del secondo motivo.
Infatti, la giurisprudenza di questa Corte ha ribadito che (Cass. S.U. n. 28220/2018) avverso le decisioni pronunciate, in unico grado o in grado d’appello, dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, il ricorso per cassazione è ammesso, ai sensi dell’art. 111 Cost., per violazione di legge, e soltanto per vizi della motivazione che si traducano nella sua inesistenza, contraddittorietà o mera apparenza, mentre non è consentito al giudice di legittimità la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle “quaestiones facti”, la quale comporterebbe un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito.
La logicità e coerenza delle argomentazioni spese dalla sentenza gravata escludono quindi la possibilità di ritenere che la stessa sia munita di motivazione perplessa o apparente e che quindi si configuri il vizio di nullità denunciato dalla ricorrente.
4. Il primo motivo del ricorso incidentale, così qualificato il ricorso proposto da AATO n. ***** Marche, denuncia la violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 12 bis, comma 3 e art. 47 e della L.R. n. 5 del 2006, art. 28.
Si rileva che la sentenza impugnata, pur avendo ritenuto ammissibili i motivi di impugnazione proposti dall’AATO n. *****, in quanto gestore del SII e titolare della precedente concessione idropotabile, a fronte della richiesta di rilascio di concessioni di couso da parte della Cinquecento, ha affermato che la posizione della concessionaria non poteva condizionare la derivazione dell’interesse pubblico al couso sotteso, che resta affidata alla esclusiva valutazione della PA concedente, anche al fine della regolazione delle cautele per la coesistenza delle due concessioni.
Ha quindi relegato la presenza dell’AATO nel procedimento al rango di mero intervento volontario L. n. 241 del 1990, ex art. 9, ma ha in tal modo travisato il reale contenuto delle norme di cui alla rubrica del motivo.
Orbene, anche in caso di sottensione parziale, quale quella determinatasi all’esito del rilascio della concessione idroelettrica, la L.R. n. 5 del 2006, art. 28, in conformità con quanto emerge anche dalla legislazione statale, induce a ritenere che la produzione di energia idroelettrica sia soggetta, oltre che a previa concessione, anche ad apposita e necessaria regolamentazione con il concessionario primario.
Ne deriva quindi che il concessionario primario, e quindi nella specie la ricorrente incidentale, assume un ruolo di controllo pieno sui contenuto del progetto del coutente, sicché ogni determinazione della PA non poteva prescindere dalla valutazione espressa dalla parte.
Si aggiunge che la corrispondenza intercorsa nella fase procedimentale aveva permesso di evidenziare come tutti i rilevi formulati dalla ricorrente fossero fondati e pertinenti, sicché la risposta della Regione si è palesata come del tutto evasiva.
L’avere confinato il ruolo della parte ad una mera partecipazione procedimentale rende quindi invalidi gli atti concessori impugnati e ciò denota un’evidente contraddizione con l’avere al tempo stesso riconosciuto la legittimazione all’impugnativa dei provvedimenti in sede giurisdizionale.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per manifesta ed irriducibile contraddittorietà della motivazione, con la conseguente nullità della sentenza, e ciò alla luce dei rilievi svolti in occasione dell’illustrazione del primo motivo e della insuperabile contraddittorietà che connota il ragionamento della sentenza gravata.
4.1 I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono infondati.
Il TSAP, nell’esaminare la posizione della AATO n. *****, ritenuta munita di legittimazione ad impugnare i provvedimenti emessi in favore della aspirante alle concessioni per uso idroelettrico, essendo titolare della concessione primaria idropotabile, concernente la stessa risorsa idrica destinata ad essere utilizzata per finalità di produzione energetica, e ciò sia perché titolare del SII sia perché munita di un interesse giuridicamente rilevante a contestare ogni modificazione in peius del rapporto concessorio ovvero ogni situazione di fatto, quale scaturente dal couso, idonea in potenza ad incidere sulle utilità ritraibili dalla concessione primaria, ha però escluso che la stessa fosse dotata di una potestà codecisoria.
E’ stato, infatti, negato che al concessionario primario la legge attribuisca un potere di veto o di controllo sul progetto del coutente, ancorché il progetto si avvalga dell’inserimento della centralina idroelettrica all’interno dell’acquedotto, e ciò anche alla luce del fatto che nella specie il couso per una destinazione diversa, non era dissipativo della risorsa idrica, la quale era restituita, una volta sfruttata per le esigenze del couso, nella medesima rete idraulica.
Ne derivava quindi che l’unico soggetto titolare del potere concessorio restava la Regione Marche, alla quale era affidato anche il compito di adottare le necessarie cautele per assicurare la coesistenza tra le due concessioni, fermo il diritto della concessionaria primaria alla partecipazione procedimentale.
Nella specie però tale apporto procedimentale non era stato ispirato ai principi di lealtà e piena collaborazione, ma si era risolto in un atteggiamento meramente oppositivo, avendo sollevato delle contestazioni spesso prive di supporto tecnico (quanto alle interferenze nocive o all’impatto significativo dell’utilizzo per scopi idroelettrici), avendo anche rifiutato di sottoscrivere la convenzione di couso.
Ritiene la Corte che, in considerazione delle stesse norme invocate dalla ricorrente incidentale, non possa avere seguito la tesi secondo cui il concessionario primario sarebbe titolare di un concorrente potere decisionale circa il rilascio di una concessione in couso, tale da attribuirle altresì un potere di veto e di controllo.
Il R.D. n. 1775 del 1933, art. 12 bis prevede che:
1. Il provvedimento di concessione è rilasciato se:
a) non pregiudica il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti per il corso d’acqua interessato;
b) è garantito il minimo deflusso vitale e l’equilibrio del bilancio idrico;
c) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane ovvero, pur sussistendo tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico.
2. I volumi di acqua concessi sono altresì commisurati alle possibilità di risparmio, riutilizzo o riciclo delle risorse. Il disciplinare di concessione deve fissare, ove tecnicamente possibile, la quantità e le caratteristiche qualitative dell’acqua restituita. Analogamente, nei casi di prelievo da falda deve essere garantito l’equilibrio tra il prelievo e la capacità di ricarica dell’acquifero, anche al fine di evitare pericoli di intrusione di acque salate o inquinate, e quant’altro sia utile in funzione del controllo del miglior regime delle acque.
3. L’utilizzo di risorse prelevate da sorgenti o falde, o comunque riservate al consumo umano, può essere assentito per usi diversi da quello potabile se:
a) viene garantita la condizione di equilibrio del bilancio idrico per ogni singolo fabbisogno;
b) non sussistono possibilità di riutilizzo di acque reflue depurate o provenienti dalla raccolta di acque piovane, oppure, dove sussistano tali possibilità, il riutilizzo non risulta sostenibile sotto il profilo economico;
c) sussiste adeguata disponibilità delle risorse predette e vi è una accertata carenza qualitativa e quantitativa di fonti alternative di approvvigionamento.
4. Nei casi di cui al comma 3, il canone di utenza per uso diverso da quello potabile è triplicato. Sono escluse le concessioni ad uso idroelettrico i cui impianti sono posti in serie con gli impianti di acquedotto.
Il successivo art. 47 dispone poi che:
Quando per l’attuazione di una nuova utenza sia necessario, per ragioni tecniche ed economiche, di avvalersi delle opere di presa o di derivazione di altre utenze preesistenti, si può, sentito il Consiglio superiore, accordare la nuova concessione, stabilendo le cautele per la loro coesistenza e il compenso che il nuovo utente deve corrispondere a quelle preesistenti.
Con le stesse norme e condizioni si può accordare la concessione di derivare e di utilizzare parte di acqua spettante ad altro utente, quando manchi il modo di soddisfare altrimenti il nuovo richiedente e la nuova concessione non alteri l’economia e la finalità di quelle preesistenti.
La L.R. Marche n. 5 del 2006, all’art. 28 così dispone:
1. Si ha sottensione totale in presenza di una domanda di concessione di acqua quando si verifica incompatibilità tecnica con una o più utenze legittimamente concesse, nel senso sia di impossibilità di coesistenza fra le opere di presa o di restituzione sia di inconciliabilità di esercizio delle derivazioni in rapporto alla risorsa idrica disponibile.
2. Si ha sottensione parziale, in presenza di una nuova domanda, quando si verificano le seguenti condizioni:
a) necessità, per ragioni tecniche od economiche, di avvalersi delle opere di presa di utenze concesse legittimamente per attuare la nuova utenza;
b) possibilità di accordare parte della risorsa idrica spettante ad una preesistente concessione per consentire l’esercizio della nuova utenza.
3. In caso di sottensione, le parti interessate stipulano una convenzione regolante i rapporti derivanti dalla sottensione stessa.
4. L’autorità concedente, sentiti gli interessati, può rilasciare il provvedimento di concessione, nei casi di sottensione totale o parziale, qualora ritenga che ciò risponda al miglior utilizzo della risorsa o comunque all’interesse pubblico.
5. L’utente sottendente deve garantire a quello sotteso una quantità di acqua o di energia corrispondente a quella utilizzata dallo stesso o corrispondere una indennità, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933.
6. Nel disciplinare di concessione si dà atto dell’eventuale accordo tra gli interessati in merito alla fornitura di acqua o di energia o all’ammontare dell’indennizzo. In assenza di un tale accordo l’amministrazione è competente a decidere.
7. Il provvedimento di concessione che stabilisce la sottensione parziale costituisce modifica alla concessione precedentemente rilasciata all’utente sotteso.
Dalla lettura delle norme sopra riportate, emerge con immediatezza come non risulti in alcun modo esplicitata la scelta legislativa di riconoscere al concessionario primario un potere di codecisione né tanto meno un potere di controllo o di veto tale da inibire, nel caso di dissenso, l’esercizio del potere in capo alla PA concedente.
In tal senso appare risolutivo il fatto che l’art. 47 citato, ferma restando la necessità di dover assicurare anche per la concessione di couso la verifica delle condizioni generali che l’art. 12 bis impone per il rilascio delle concessioni idriche, oltre ad imporre l’adozione delle cautele per la coesistenza tra i due provvedimenti concessori, riconosce al concessionario primario il diritto ad un compenso, ma conferma, senza margini di incertezza, che la potestà decisionale è riservata alla PA concedente.
Ulteriore conferma si ricava proprio dalla legge regionale invocata dalla ricorrente che, con specifico riferimento alla necessità di regolare convenzionalmente i rapporti scaturenti dalla sottensione, anche per quanto concerne la misura dell’indennizzo dovuto dal coutente, al comma 6 dell’art. 28, ed in relazione all’eventualità che le parti non raggiungano un’intesa, conferma che è l’amministrazione il soggetto competente a supplire a tale inerzia, stabilendo sia le modalità di fornitura di acque o energia, sia l’entità del compenso.
Va quindi confermata la correttezza del principio di diritto affermato dal TSAP nella sentenza gravata per cui la delibazione dell’interesse pubblico al couso è di esclusiva spettanza della P.A. procedente, anche ai fini di regolazione delle cautele per la coesistenza delle due concessioni, sicché il concessionario sotteso può prendere parte al procedimento, quale interventore volontario, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 9, dopo l’avviso d’avvio del procedimento concessorio a favore del controinteressato, ma non è invece, per tal suo titolo, munito anche d’un potere di veto e controllo sul progetto del coutente, neppure con riguardo all’eventuale inserimento della centralina idroelettrica all’interno delle opere acquedottistiche, a più forte ragione quando il couso riguardi un’utilizzazione diversa, ma non dissipativa della medesima risorsa idrica, con restituzione all’interno delle stesse opere idrauliche del concessionario sotteso.
Trattasi di un’obbligata conseguenza, oltre che del tenore delle norme interessate, anche della ratio sottesa all’istituto del couso che è quella di incentivare l’uso congiunto e coordinato delle strutture esistenti nel territorio, in funzione di un utilizzo plurimo della risorsa idrica, al fine di evitare che l’interesse pubblico al massimo uso di detta risorsa trovi ostacolo nella presenza di strutture già esistenti.
Tale esigenza risulta ancor più evidente nel caso in cui il nuovo uso della risorsa idrica abbia come risultato finale la produzione di energia elettrica, venendo così in rilievo anche il favore che l’ordinamento nazionale e comunitario riconosce allo sfruttamento di fonti energetiche rinnovabili.
Ne’ potrebbe addursi l’impossibilità di rilasciare una concessione idroelettrica ad un soggetto diverso dal gestore della rete idrica e del servizio idrico integrato, in quanto lo stesso art. 47 citato, al comma 1, nel prevedere la possibilità di avvalersi di strutture preesistenti per attuare una nuova utenza, dispone molto chiaramente che è possibile consentire a terzi, e non solo al soggetto titolare della derivazione esistente, l’uso delle strutture di quest’ultimo. Inoltre, ritenere che soltanto il titolare dell’utenza preesistente possa ottenere l’utilizzazione delle strutture realizzate per l’utenza già concessa, determinerebbe a favore di questo, un privilegio che sarebbe in contrasto con il principio di non discriminazione nell’utilizzo delle fonti rinnovabili (così TSAP n. 191/2017; TSAP n. 254/2014).
La sentenza gravata, ed in ciò offrendo una risposta alle deduzioni della ricorrente in ordine alla manifestazione della facoltà di partecipazione al procedimento riconosciutale in quanto titolare della concessione in preuso, con motivazione logica e priva di incongruenze, ha evidenziato come le contestazioni di carattere tecnico si palesassero in massima parte generiche e talvolta pretestuose, avendo riscontrato in fatto, in ragione della tipologia dell’utilizzo della risorsa a fini idroelettrici, come la concessione in couso non risultasse in grado di pregiudicare il diverso utilizzo della ricorrente, stante il carattere non dissipativo dell’utilizzo della risorsa a scopi energetici e l’assenza di interferenze tra le due diverse modalità di sfruttamento concesse.
Ancora, a pag. 28 sono state esplicitate le ragioni per le quali la successiva concessione non avrebbe inciso sulle esigenze di tutela quali-quantitativa, stante l’utilizzo di acqua già prelevata dal preutente ed utilizzata a scopi energetici nei limiti del prelievo già in precedenza assentito.
Inoltre, a pag. 29, si dà atto della irrilevanza delle varianti, che non avevano inciso sulle caratteristiche sia della concessione sottesa sia di quella idroelettrica, una volta adottati dei limitati accorgimenti di carattere tecnico, al fine di sfruttare un nuovo e più lungo salto onde favorire la produzione di energia.
Alcuna contraddizione è dato poi rinvenire tra l’affermazione del diritto dell’AATO n. ***** ad impugnare gli atti dell’autorità concedente e la negazione del diritto di veto e controllo sulla concessione successiva, posto che la prima è la conseguenza del riconoscimento di una posizione di interesse legittimo qualificato che ne giustificava la partecipazione al procedimento anche al fine di sollecitare la dovuta verifica delle condizioni per il corretto esercizio del potere concessorio, potere che però compete in esclusiva alla Regione.
Quanto al secondo motivo di ricorso, il richiamo alle considerazioni svolte in occasione della analoga censura mossa dalla SAN quanto al preteso vizio della motivazione, consentono di affermare l’inconsistenza, anche in relazione alla doglianza della ricorrente incidentale, della pretesa assenza o insanabile contraddittorietà della motivazione, che invece appare congrua ed ampiamente satisfattiva degli oneri imposti al giudice.
5. Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione della L.R. n. 5 del 2006, del R.D. n. 1775 del 1933, del D.Lgs. n. 152 del 2006, della L. n. 241 del 1990, artt. 7 e 14, del D.Lgs. n. 387 del 2003, art. 12, della delibera della G.R. Marche n. 1312/11, del D.M. 10 settembre 2010 e della L.R. n. 3 del 2012.
La doglianza investe il rigetto del secondo motivo del secondo atto per motivi aggiunti con il quale si contestava che i progetti della Cinquecento non erano stati sottoposti a previa verifica di assoggettabilità a VIA.
La sentenza impugnata ha escluso la fondatezza delle censure della parte, evidenziando che si trattava di opere idroelettriche che erano connesse se non interne all’acquedotto e che erogavano una potenza massima inferiore alla soglia dei 250 kW, il che escludeva lo screening di VIA ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 20.
Inoltre era incongruo il richiamo alla previsione di cui al D.M. 6 luglio 2012, art. 4 lett. b) p. 1, in quanto la vicenda era sottoposta alla disciplina di cui alla L.R. n. 3 del 2012, art. 8, il cui all. B1) n. 2 lett. e) assoggetta a screening di VIA gli impianti per la produzione di energia idroelettrica con potenza superiore a 100 kW, ma con l’esclusione di quelli, come nella specie, realizzati all’interno di manufatti acquedottistici e senza interferenza con il loro funzionamento. Inoltre, non poteva invocarsi la dimidiazione della soglia di 250 kW stabilita dall’All. IV del D.Lgs. n. 152 del 2006, posto che se la captazione dell’acqua avveniva all’interno del territorio del *****, la derivazione in couso operava allorché si era al di fuori del territorio protetto, con l’uso di acqua già captata, il che escludeva quindi l’effetto invocato di dimidiare i limiti di legge.
Le doglianze della ricorrente, sia pur veicolate tramite la denuncia di violazione di legge, mirano però nella sostanza a contrastare gli accertamenti in fatto, come operati dal TSAP, risultato questo non consentito in sede di legittimità.
La sentenza gravata ha accertato che l’utilizzo a scopi idroelettrici è destinato ad operare all’interno della rete preesistente ed asservita a scopi idropotabili (in tal senso non colgono nel segno le contestazioni circa la non riconducibilità dell’acquedotto del ***** ad una condotta esistente, come richiesto dalla normativa vigente); ha escluso che la strozzatura finalizzata a favorire l’accelerazione del corso dell’acqua possa incidere sul funzionamento complessivo della struttura; ha rilevato che la riduzione della soglia di potenza prevista per gli impianti ubicati in aree protette non poteva essere invocata, stante lo sfruttamento dell’acqua a fini energetici in una zona esterna all’area del parco, aggiungendo a mò di chiosa che mancava qualsivoglia principio di prova che il couso, proprio perché operante all’interno dell’impianto preesistente, potesse creare impatti ambientali significativi.
Il motivo deve quindi essere rigettato.
6. Atteso il rigetto di entrambi i ricorsi, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Nulla a disporre quanto alle spese per le parti rimaste intimate.
7. Poiché il ricorso principale ed incidentale sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono rigettati, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale ed incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per le stesse impugnazioni.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale della Società Acquedotto del ***** S.p.A. (SAN) ed il ricorso incidentale della Assemblea di Ambito Territoriale AATO n. ***** Marche Centro;
condanna la ricorrente principale ed incidentale, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida per ognuno in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge per compensi, oltre ad accessori di legge, se dovuti;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale ed incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1-bis dello stesso art.
Così deciso, in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021
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