Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.21980 del 30/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26654-2019 proposto da:

I.S., rappresentato e difeso dall’Avvocato MARCO LANZILAO per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso il Decreto n. 3980 del 2019 del TRIBUNALE DI BRESCIA, depositato il 30/7/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/2/2021 dal Consigliere DONGIACOMO GIUSEPPE.

FATTI DI CAUSA

Il tribunale, con il decreto in epigrafe, dichiaratamente notificato l’8/8/2019, ha rigettato il ricorso che I.S., nato in *****, aveva proposto avverso il provvedimento con il quale la commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale che lo stesso aveva proposto.

I.S., con ricorso notificato il 4/9/2019, ha chiesto per tre motivi la cassazione del decreto.

Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost., la contraddittorietà tra le fonti citate, il loro contenuto e le conclusioni raggiunte, la motivazione solo apparente e l’omesso esame delle fonti informative, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 cit., art. 14, lett. c), sul rilievo che la situazione in Edo State, pur presentando significative criticità sotto il profilo del rispetto dei diritti fondamentali della persona, non sembra dar luogo ad una vera e propria emergenza umanitaria generalizzata.

1.2. Il tribunale, però, ha osservato il ricorrente, così facendo, senza una motivazione o con una motivazione apparente o comunque perplessa, contraddittoria ed obiettivamente incomprensibile, ha tratto conclusioni assolutamente contraddittorie rispetto ai presupposti fattuali accertati attraverso le fonti citate. La decisione assunta, infatti, presenta una assoluta contraddittorietà tra i presupposti fattuali esposti, e cioè la situazione di gravissima instabilità che esiste nella regione di provenienza del richiedente, attestata dalle fonti internazionali citate dal tribunale, e le conclusioni cui lo stesso, senza svolgere un’indagine officiosa sull’effettivo contrasto alla violenza svolto dall’autorità nigeriane, è pervenuto, e cioè la mancanza in quella regione di una violenza indiscriminata cui il richiedente sarebbe esposto in caso di rientro nel suo Paese d’origine. Del resto, come emerge dalle informazioni reperibili sui siti di maggiore affidabilità, la Nigeria è un Paese afflitto, in tutto il suo territorio, da una situazione di violenza diffusa che le autorità statali non sono in condizione di controllare.

1.3. Sussistono, quindi, ha concluso il ricorrente, tutti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 cit., art. 14 lett. c).

2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, nonché del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, senza svolgere attività istruttoria in ordine alla situazione socio-economica del suo Paese d’origine, ha rigettato, con motivazione apparente, la domanda di protezione umanitaria, formulando conclusioni assolutamente apodittiche e destituite di fondamento.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando l’errata disapplicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, l’omessa applicazione dell’art. 10 Cost., nonché l’omesso esame delle condizioni personali e della necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del Paese di provenienza nonché l’omesso esame delle fonti relative alla condizione socio-economica della Nigeria, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, ha censurato il decreto impugnato nella parte in cui il tribunale, senza attivarsi per completare l’accertamento in ordine alla sussistenza delle condizioni di vulnerabilità a tal fine necessarie, ha rigettato la domanda di protezione umanitaria del richiedente omettendo, però, di considerare, innanzitutto, che la Nigeria, come emerge da numerose fonti internazionali, è un Paese afflitto da alti livelli di povertà, collocandosi tra quelli con il più basso livello di sviluppo per ciò che riguarda il diritto alla salute e all’istruzione, ed, in secondo luogo, che il richiedente si è integrato, sul piano sociale e lavorativo, nel Paese d’accoglienza.

4.1. Il primo motivo è infondato. Intanto, in tema di protezione internazionale, il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili (come il tribunale ha ritenuto con statuizione rimasta incensurata: v. il decreto, p. 3) non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui all’art. 14, lett. c), del medesimo decreto, poiché in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purché egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione (Cass. n. 10286 del 2020).

Va, poi, ribadito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 cit., art. 14 lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale va accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria: il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019).

La sussistenza di tale presupposto, peraltro, dev’essere accertata dal giudice di merito mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020).

Il giudice, però, a norma del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ha il dovere di indicare la fonte a tal fine utilizzata nonché il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

4.2. La decisione impugnata, indicando le fonti in concreto utilizzate ed il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte dalle stesse (la cui utilizzabilità, pertinenza e attualità non risulta in alcun modo contestata dal ricorrente), ha ritenuto con apprezzamento non censurato per il mancato esame di uno o più fatti decisivi specificamente dedotti in giudizio (cfr. Cass. n. 23942 del 2020, secondo cui, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito che può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5) – che, nello Stato nigeriano dal quale la richiedente proviene, non sussiste, pur a fronte di conflitti allarmanti, una situazione di violenza generalizzata.

D’altra parte, in tema di protezione internazionale, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, il ricorrente ha il dovere – che, però, nel caso di specie è rimasto, in sostanza, inadempiuto – di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito, in modo da consentire alla Suprema Corte l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (cfr. Cass. n. 26728 del 2019), sempre che siano tali da far ritenere, in termini di certezza e non di mera probabilità, che, nella zona di provenienza del richiedente, per effetto di un conflitto armato interno tra le forze governative e uno o più gruppi armati ovvero tra due o più gruppi armati, sussista un grado di violenza indiscriminata di livello talmente elevato che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe il rischio effettivo, per la sua sola presenza sul territorio di subirne la conseguente minaccia.

5.1. Il secondo ed il terzo motivo sono parimenti infondati. La protezione umanitaria è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017). I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. 113 del 2018, erano accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

5.2. Nel caso di specie, il tribunale ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando, in sostanza, che il richiedente non presenta una situazione di effettiva vulnerabilità personale che potesse giustificare la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Si tratta, com’e’ evidente, di un accertamento in fatto che, in quanto tale, può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e cioè per omesso esame di una o più di circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell’accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata. Nel caso in esame, al contrario, il ricorrente, pur avendone l’onere (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), non ha specificamente indicato i fatti, principali ovvero secondari, il cui esame, ancorché dedotti in giudizio, sia stato del tutto omesso dal giudice di merito, né, infine, la loro decisività ai fini di una differente pronuncia a lui favorevole.

5.3. D’altra parte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019), al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018). Tale comparazione presuppone, pertanto, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza che, però, il tribunale, con apprezzamento che il richiedente non ha censurato per omesso esame di fatti specificamente dedotti in giudizio e decisivi ai fini di una differente ricognizione della fattispecie concreta, ha escluso, non potendo, comunque derivare dallo svolgimento di un’attività lavorativa (Cass. n. 8367 del 2020).

6. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poiché il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

8. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al ministero dell’interno le spese di lite, che liquida in Euro. 2.100,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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