Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.21994 del 30/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14672-2020 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO GILARDONI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– resistente –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 727/2020 del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il 07/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 13/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCALIA LAURA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. M.S., cittadino della Guinea, ricorre con due motivi per la cassazione del decreto in epigrafe indicato con cui il Tribunale di Brescia, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, ne ha rigettato l’opposizione avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale e del riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso per ragioni umanitarie nella ritenuta inattendibilità del racconto e nella non riconducibilità dei fatti esposti ai presupposti legittimanti le protezioni maggiori e quella umanitaria.

Nel racconto reso in fase amministrativa il ricorrente, di etnia malinke e di religione islamica, aveva dichiarato di aver lasciato il proprio paese – emigrando dapprima in Senegal, dove aveva lavorato come muratore il 1 novembre 2014 per curarsi, soffrendo egli di ernia ombelicale, e quindi in Libia per racimolare i soldi per l’acquisto di medicinali e, al fine, in Italia in cui si trovava dal 19 febbraio 2017 – e di temere nel rientrare in Guinea di avere problemi con colui che, dopo la morte del padre, temendo che il richiedente stesso avesse contratto l’ebola e fosse per ciò contagioso lo aveva colpito durante un litigio e gli aveva incendiato casa.

Il Ministero dell’interno si è costituito tardivamente al dichiarato fine di partecipare alla discussione ex art. 370 c.p.c., comma 1.

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), in combinato con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, avuto riguardo alla situazione di insicurezza generalizzata nella Guinea ed all’assenza in quel Paese di una rete familiare di sostegno del richiedente. Il confronto politico in Guinea è connotato da livelli estremi di tensione etnica, ogni forza politica sostenendo l’ascesa al potere e l’influenza del gruppo etnico che rappresenta. I gruppi etnici Malinke’ e Peuhl avevano incoraggiato le tensioni esistenti in Guinea.

Il Tribunale non riconoscendo la protezione internazionale sussidiaria aveva violato o falsamente applicato le norme indicate non valutando lo sforzo fatto dal richiedente di circostanziare il racconto reso.

Il motivo è infondato non provvedendo neppure ad indicare le fonti contrapposte a quelle motivatamente prese in considerazione dal Tribunale (Country Report on Human Rights Practices – Guinea pubblicato il 13 aprile 2016 e Freedom in the World 2016-Guinea pubblicato il 14 luglio 2016; A.I. 2017/18) che si vorrebbero integrare quella situazione di violenza generalizzata in conflitto armato interno o internazionale (sulla regola di giudizio indicata: vd., Cass. n. 4037 del 18/02/2020), in ogni caso non definita, come correttamente ritenuto dal giudice di merito, dalle dedotte tensioni sociali e politiche generalizzate.

3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, con particolare riferimento al mancato riconoscimento dell’autonoma rilevanza giuridica, ai fini del rilascio del permesso umanitario, alla condizione di estrema povertà dello straniero nel Paese di origine, poiché tale condizione compromette in modo radicale il “raggiungimento degli standard minimi per un’esistenza dignitosa” alla luce delle enunciazioni di cui alla sentenza della Corte di Cassazione n. 4555/2018.

L’audizione del richiedente dava conto di una incolmabile sproporzione tra la condizione di provenienza e quella conseguita nel Paese ospitante.

Il motivo è inammissibile là dove non si confronta con la motivazione impugnata che ha escluso il riconoscimento della protezione umanitaria apprezzando la mancata integrazione in Italia e l’insussistenza di una emergenza umanitaria nel Paese di origine (estremi presenti in Cass. n. 18443 del 04/09/2020) e reitera le deduzioni di merito sull’integrazione raggiunta e sulle condizioni di vita nei territori di origine.

Dei profili del racconto da cui emergerebbero le incolmabili differenze nei contesti di vita nulla deduce il ricorrente rendendo anche per tale ragione generico il motivo.

Il richiamo pure contenuto nel corpo del motivo (p. 11) ad un rimpatrio in Senegal ove egli è privo di ogni riferimento familiare “dal momento che ciò che resta del nucleo familiare vive nella Guinea” è poi disallineato rispetto al racconto reso in cui è chiara la provenienza dalla Guinea ed il rimpatrio in quel Paese.

5. Il ricorso è conclusivamente infondato e va rigettato. Nulla sulle spese nella tardività della costituzione del Ministero dell’interno.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto (ex Cass. SU n. 23535 del 2019) della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021

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