LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16713-2020 proposto da:
M.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato Valeria D’Addezio;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato per legge in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– intimato –
avverso il decreto N. CRONOL. 945/2020 del TRIBUNALE DI POTENZA SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE, PROTEZIONE INTERNAZIONALE E LIBERA CIRCOLAZIONE DEI CITTADINI DELL’UNIONE EUROPEA, depositato il 29/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LAURA SCALZA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
1. M.A., cittadino del Senegal, ricorre con tre motivi per la cassazione del decreto in epigrafe indicato con cui il Tribunale di Potenza, Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’unione Europea, pronunciando ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, ha rigettato il ricorso dal primo proposto avverso il provvedimento con cui la competente commissione territoriale ne aveva disatteso la richiesta di protezione internazionale e di riconoscimento del diritto al rilascio di un permesso per ragioni umanitarie, nella ritenuta inattendibilità del racconto e nella apprezzata insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione.
Il richiedente aveva dichiarato di avere abbandonato il Paese di origine, il Senegal, e, segnatamente, la Regione della *****, per il conflitto presente in quei territori e per problemi familiari con i propri cugini, per raggiungere dapprima la Libia, in cui subiva un rapimento estorsivo, e, quindi, l’Italia.
Il Ministero si è costituito tardivamente al dichiarato fine di partecipare alla eventuale discussione in pubblica udienza ex art. 370 c.p.c., comma 1.
2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 106 Cost., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 perché il tribunale si era avvalso nel procedimento di un “gop”, che aveva svolto attività istruttoria, emesso ordinanze e redatto la minuta del decreto impugnato, con conseguente violazione delle norme che disciplinano in materia il funzionamento del tribunale in comnposiziorn collegiale (legge n. 46 del 2017).
2.1. Il motivo è inammissibile perché non si confronta con i contenuti dell’impugnato provvedimento in calce al quale è riportata la seguente dizione: “Motivazione redatta con la collaborazione del G.O.P. Dott. Vincenzo De Franceschz”.
L’indicata locuzione lascia del tutto fuori fuoco la critica mossa con il proposto motivo poiché il riferimento contenuto nell’impugnato decreto è alla “redazione” della motivazione da parte di un giudice onorario nell’ambito del suo tirocinio formativo, in collaborazione con il decidente.
Nel caso in cui risulti, in calce alla sentenza, che la stessa è stata redatta con la collaborazione di un magistrato onorario in tirocinio, non può considerarsi la sentenza stessa affetta da nullità né tanto meno da inesistenza, rilevabile anche d’ufficio in sede di impugnazione; invero, con tale annotazione non si vuole intendere che il procedimento sia stato deciso dal magistrato onorario, la cui persona non figura nella composizione del collegio decidente, ma solo che, nell’espletamento del tirocinio, quel magistrato abbia collaborato col giudice relatore all’esame della controversia e alla stesura della minuta della motivazione, di cui poi, secondo il rito applicabile, con la sottoscrizione, ha assunto la paternità nella svolta funzione, il presidente del collegio (in termini, per fattispecie in cui la collaborazione alla stesura di un magistrato ordinario in tirocinio o di un giudice ausiliario di corte d’appello: Cass. 21/02/2017, n. 4426; Cass. 13/12/2018, n. 32307).
2.2. Gli ulteriori profili di censura sono, in ogni caso, inammissibili non avendo il ricorrente allegato in modo puntuale fasi e provvedimenti alla cui formazione abbia concorso il giudice onorario e, comunque, infondati non determinando nullità lo svolgimento da parte del giudice onorario di tribunale di attività istruttoria delegata dal giudice designato (Cass. SSUU 26/02/2021, n. 5425).
3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3, 4 e 5, la violazione della Convenzione di Ginevra del 1951, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, del 1948, art. 1, all’art. 25, al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, dell’art. 32, comma 3, anche in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1, degli artt. 10,32, e 2 Cost..
Al richiedente era stato denegato lo status di rifugiato con violazione dell’obbligo di collaborazione istruttoria che, ove rettamente inteso, avrebbe dovuto determinare il tribunale ad approfondire gli aspetti ritenuti contraddittori delle dichiarazioni, dal primo rese davanti la commissione territoriale chiedendo chiarimenti in sede di nuova audizione, secondo la “griglia” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.
Il tribunale aveva poi escluso i presupposti della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), con motivazione apparente perché affetta da contrasto irriducibile tra affermazioni, perplessa ed incomprensibile. I giudici di merito avevano citato fonti che deponevano infatti per l’esistenza del dedotto conflitto per poi concludere per la sua inesistenza ed avevano escluso la protezione di cui all’art. 14, lett. c), perché il richiedente non aveva fatto espresso riferimento alla sussistenza di una minaccia individuale alla propria vita, così incorrendo, i primi, nella violazione della giurisprudenza Europea (casi Elgafaji e Diakite’) e di quella di legittimità.
3.1. Il motivo è inammissibile perché sovrappone critiche tra loro non compatibili (così per la dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., per i vizi tipizzati ai nn. 3, 4 e 5), quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione, rimettendo siffatta tecnica al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili per poi ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c. (vd.: Cass. n. 26874 del 23/10/2018; Cass. n. 19443 del 23/09/2011).
3.2. Il motivo è ancora inammissibile là dove contesta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, sulla cd. procedimentalizzazione dell’esame del narrato dal richiedente, nella natura meramente indicativa di quei parametri e nella sindacabilità del giudizio sulla credibilità del racconto del richiedente in sede di legittimità per i contenuti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. 02/07/2020, n. 13578; Cass. 19/06/2020, n. 11925), prospettiva, questa, che manca di puntualità nella portata censura.
3.3. Quanto al profilo del motivo che tratta della situazione di conflitto nella *****, integrativa della violenza generalizzata di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), situazione che si vorrebbe dal deducente contraddittoriamente negata nell’impugnato decreto rispetto a fonti i cui riportati contenuti avrebbero invece deposto per la sua sussistenza, vero è che il ricorrente allega parziali passaggi di motivazione del decreto impugnato e tanto rispetto ad una motivazione che nel suo complesso, rispetto alle date via via indicate a segnalare i vari episodi ed alla loro successione temporale, non si espone alla dedotta sua incomprensibilità e quindi nullità per mera apparenza.
Il decreto riporta che “nonostante “il grave eccidio di &gotte avvenuto a gennaio 2018” il processo di pace tra separatisti dell’MDFC e governo “non dovrebbe avere ripercussioni negative” qualificando il primo come fatto inserito “nei traffici illeciti di legname” e richiamando il messaggio di pace di fine anno del capo di Stato con appello ai ribelli, il tutto per un richiamo ad avvenimenti che, successivi al grave episodio, sono diretti a dimensionarne l’incidenza ai sensi del D.Lgs. cit., ex art. 14, lett. c) (p. 4, par. 3 decreto).
Sull’indicata premessa ogni altra contestazione sconfina nel merito e su di essa ogni ulteriore e diversa deduzione, relativa alla erronea individualizzazione del rischio, che si vorrebbe dal tribunale necessario anche per la situazione di violenza generalizzata di cui all’art. 14, lett. c) cit., resta comunque assorbita.
4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, quanto al diniego della protezione umanitaria, l’esistenza di una motivazione apparente per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e la violazione della Convenzione di Ginevra del 1951, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, art. 1, del 1948, al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 25, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, dell’art. 32, comma 3, anche in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1, degli artt. 10,32, e 2 Cost..
Il tribunale con motivazione apparente, perplessa ed incomprensibile, aveva escluso la protezione richiesta senza approfondire in sede di audizione gli aspetti della cattura e delle torture subite dal richiedente in Libia per scrutinarne la situazione di vulnerabilità.
Il motivo è inammissibile perché generico e non autosufficiente, mancando il ricorrente di dedurre di aver fatto valere dinanzi al giudice del merito i contenuti degli approfondimenti istruttori previa loro segnalazione in sede di istanza di audizione, una volta introdotta domanda davanti al tribunale, secondo contenuti di legge (D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis), come chiariti dalla giurisprudenza di questa Corte là dove manchi la videoregistrazione del colloquio in sede amministrativa (Cass. n. 21584 del 07/10/2020).
Al di fuori dell’indicato percorso di critica, resta infatti rimessa alla discrezionalità del giudice ogni differente scelta istruttoria.
La valutazione sulla vulnerabilità per lesione dello statuto minimo dei diritti fondamentali della persona è stata comunque operata dal tribunale per esiti negativi motivati dalla genericità dell’allegazione” difensiva (su modalità cattura, torture e maltrattamenti subiti), passaggio della motivazione neppure contrastato in ricorso.
5. In via conclusiva il ricorso è inammissibile. Nulla sulle spese non avendo il Ministero intimato articolato difese.
6. La natura delle censure proposte dal ricorrente, che giustifica la inammissibilità del ricorso, in adesione alla proposta formulata dal Relatore e in applicazione del criterio della “ragione più liquida”, escludela necessità di soffermarsi, in questa sede, sulla questione relativa all’invalidità della procura ad litem per mancanza di certificazione della data di rilascio, risolta in senso affermativo da una recente pronuncia di questa Corte (cfr. Cass., Sez. Un., 1/06/2021, n. 15177) e su quella, successiva, di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, comma 13, introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 (cfr. Cass., Sez. III, 23/06/2021, n. 17970).
Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2021