Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.22103 del 03/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 7229/2015 R.G. proposto da:

Bioplast s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti Oreste Cantillo e Guglielmo Cantillo e con loro elettivamente domiciliato in Roma, lungotevere dei Mellini, 17, per procura speciale a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura, generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 7556/12/14, depositata il 11.8.2014.

Udita la relazione svolta alla udienza camerale del 14.4.2021 dal Consigliere Rosaria Maria Castorina.

OSSERVA La Commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza n. 7556/12/14, depositata il 11.8.2014, accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di Bioplast s.p.a. avverso la sentenza della CTP di Salerno che aveva accolto il ricorso della contribuente su una cartella di pagamento emessa all’esito del controllo automatizzato sulla dichiarazione dei redditi – Unico 2008 per recupero delle somme e sanzioni derivanti da irregolare compensazione del credito di imposta ottenuto per investimenti in aree svantaggiate di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 1, lett. d). A seguito della comunicazione di irregolarità la contribuente aveva presentato dichiarazione integrativa.

La CTR della Campania affermava che i dati riportati nelle dichiarazioni principali ed integrative non erano regolari; che la dichiarazione integrativa non aveva corretto l’omissione formale della dichiarazione presentata per il 2007 e la dichiarazione dell’anno successivo riportava una compensazione che non si riferiva all’anno precedente ma a due anni indietro; che l’errata ripartizione nella utilizzazione concreta del credito aveva consentito un vantaggio per la contribuente e un pregiudizio per l’erario e che il mancato utilizzo dei limiti minimi di investimento determina la decadenza dall’agevolazione.

Avverso la sentenza di appello la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi. Ha depositato memoria.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la ricorrente deduce omessa pronuncia: violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Lamenta che la CTR non aveva esaminato la dedotta inammissibilità della eccezione di decadenza dal beneficio di compensare il credito di imposta per mancato rispetto dei limiti di utilizzo, formulata per la prima volta in appello.

La censura è inammissibile perché il vizio di attività del giudice non può essere censurato per omessa pronuncia; il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito, e non anche, come nella specie, in caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito (v. Cass., 25154/18; 1876/2018; Cass., 22083/2013; Cass., 1701/2009).

2. Con il secondo motivo, formulato in via subordinata, deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che la CTR non aveva rilevato la novità del tema di indagine sul mancato rispetto dei limiti minimi imposti dalla norma per l’utilizzo del credito di imposta.

La censura è infondata.

In tema di contenzioso tributario, la decadenza stabilita dalle leggi fiscali in favore dell’Amministrazione finanziaria per il mancato rispetto dei termini fissati per richiedere il rimborso di un tributo indebitamente versato è rilevabile di ufficio anche in grado di appello, perché attiene a situazioni indisponibili determinate dall’esigenza di assicurare la stabilità delle entrate tributarie entro un periodo di tempo definito e costituisce, quindi, una mera argomentazione, tesa a contrastare la sfavorevole decisione di primo grado, che, come tale, non integra una domanda o eccezione nuova, la cui proposizione per la prima volta nel giudizio di appello è vietata dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57 (Cass. 4670/2012).

3. Con il terzo motivo deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta che la CTR non aveva motivato sulla circostanza che la compensazione del credito era avvenuta senza arrecare alcun pregiudizio per l’erario.

4. Con il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 322 del 1988, art. 2, commi 8 e 8 bis e dell’art. 53 Cost..

Lamenta che la CTR aveva negato il diritto di emendare la dichiarazione sulla base degli erronei presupposti che la dichiarazione integrativa fosse stata presentata oltre i termini previsti dalla legge e solo successivamente alla comunicazione della violazione da parte dell’Ufficio.

La trattazione delle censure è assorbita dal rigetto dei primi due motivi di ricorso.

5. Con il quinto deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c. e art. 2909 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che la CTR aveva violato il giudicato interno sulla statuizione che aveva ritenuto inapplicabile la sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1992, art. 13.

Il motivo non è fondato.

L’ufficio ha impostato il proprio rilievo sul fatto che non si trattava di un errore formale nella compilazione della dichiarazione; con tale censura ha contestato anche la disapplicazione delle sanzioni operata dalla CTP sull’erroneo presupposto che si trattasse di un errore formale senza danno per l’amministrazione. L’appello coinvolgeva anche l’accertamento del carattere formale (o meno) della violazione, su cui si fondava la statuizione di disapplicazione della sanzione, la quale, pertanto, non può dirsi passata in giudicato.

6. Con il sesto motivo, formulato in via subordinata, deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere negato alla contribuente il diritto a beneficiare dell’istituto del ravvedimento operoso, esorbitando dai limiti del giudizio di appello.

La censura è inammissibile. La CTR non ha esorbitato dai limiti del giudizio di appello, avendo solo confermato la cartella.

Il ricorso deve essere, pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna Bioplast s.r.l al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 10.000,00 oltre alle spese presentate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021

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