Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.22104 del 03/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27362/2015 R.G. proposto da:

Classimo di S.M. & C. s.a.s. in persona del legale rappresentante rappresentata e difesa dall’avv. Vincenzo Taranto, elettivamente domiciliato in Roma, via Casetta Mattei, 239, presso lo studio dell’avv. Sergio Tropea per procura speciale a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

Riscossione Sicilia s.p.a. rappresentata e difesa dall’avv. Alessandro Furci, elettivamente domiciliata presso il suo studio in Catania, Corso Italia 203 per procura speciale in calce al controricorso, domicilio in Roma, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 1455/34/15, depositata il 10.4.2015.

Udita la relazione svolta alla udienza camerale del 14.4.2021 dal Consigliere Rosaria Maria Castorina.

OSSERVA Classimo di S.M. & C. s.a.s. impugnava una iscrizione ipotecaria e le sottostanti cartelle di pagamento di cui affermava avere appreso l’esistenza a seguito dell’ottenimento dell’estratto di ruolo richiesto presso gli uffici dell’Agente della Riscossione.

La CTP di Catania rigettava il ricorso sul rilevo che le cartelle risultavano validamente notificate.

Il ricorrente proponeva appello e la CTR della Sicilia, con sentenza n. 1455/34/2015, depositata il 10.4.2015, lo rigettava sul rilievo che la notifica delle cartelle di pagamento era stata ritualmente eseguita nello stesso immobile in cui ha sede la società, in un piano diverso, a mani della madre del legale rappresentante e che non si era verificata alcuna decadenza del potere impositivo.

Avverso la sentenza di appello il contribuente propone ricorso per Cassazione affidato a cinque motivi, illustrati con memoria. Riscossione Sicilia s.p.a. resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione e/o motivazione apparente, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 nonché del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

La censura è inammissibile.

Al riguardo deve ricordarsi che ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella L. n. 134 del 2012, citato, il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione fra le parti, essendo stata così sostituita la precedente formulazione (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio).

La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata (a prescindere dal confronto con le risultanze processuali). Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. S.U. n. 8053 del 2014 citata).

Nella specie la sentenza argomenta in ordine alle ragioni poste a base della decisione, volto a dimostrare il rispetto delle prescrizioni in tema di notifica della cartella di pagamento alla società presso il domicilio del legale rappresentante del sodalizio.

2. Con il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, artt. 6 e 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che la CTR aveva omesso di rilevare la mancata produzione in giudizio, oltre che degli originali delle presunte relazioni di notifica, delle allegate cartelle di pagamento presupposte.

La censura non è fondata.

Secondo il condiviso orientamento di questa Corte in tema di notifica a mezzo posta della cartella esattoriale emessa per la riscossione di imposte o sanzioni amministrative, trova, infatti, applicazione il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26 per il quale la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore – come accaduto nel caso di specie – di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica, come risulta confermato per implicito dal citato art. 26, secondo il quale l’esattore è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione (v. Cass. n. 16949 del 2014; Cass. n. 14327 del 2009; Cass. n. 14105 del 2000).

3. Con il terzo e quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 145 c.p.c., nonché D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 26 e 60 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta. Esse sono inammissibili.

Riferisce la ricorrente che l’agente della riscossione aveva provveduto alla notifica diretta a mezzo del servizio postale, D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 26 di due cartelle di pagamento. La prima delle cartelle era stata notificata nelle mani della signora V.G. che è la madre del legale rappresentante della società, qualificatasi addetta alla ricezione atti e la seconda delle cartelle era stata notificata a mani della stessa signora V. qualificatasi madre. La contribuente afferma che la notifica delle cartele non era avvenuta presso la sede della società ma presso l’abitazione della madre del legale rappresentante. Da ciò conseguiva l’irregolarità della notifica alla società.

Tali circostanze, tuttavia, non si evincono, con certezza, dalla sentenza impugnata.

La parte che proponga una ricostruzione della procedura notificatoria e dei suoi elementi identificativi parzialmente difforme da quanto delibato dal giudice d’appello, avrebbe dovuto provvedere alla trascrizione della relata di notifica, la cui carenza priva il ricorso di autosufficienza e specificità. Invero, come è già stato affermato da questa Corte, in caso di denunzia della violazione di una norma processuale, è necessaria l’indicazione degli elementi a condizionanti l’operatività di tale violazione, ma, a tal fine, allorché si indichi che la notifica non è stata correttamente effettuata ai sensi dell’art. 145 c.p.c., non è sufficiente per attivare il potere-dovere del giudice di esame degli atti, un generico richiamo alla mancanza dell’attestazione predetta, bensì è necessario, per il principio di autosufficienza del ricorso, la trascrizione integrale della relata – con l’indicazione della data della stessa -, in modo da consentire al giudice un previo esame della rilevanza del vizio denunziato (che non può essere rimessa ad una soggettiva interpretazione della parte che denunzi il vizio, senza l’indicazione obiettiva della risultanza processuale: Cass. n. 5185/2017: Cass. 24058/2018).

4. Con il quinto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 in combinato disposto alla L. n. 156 del 2005, art. 1, comma 5 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta che dalla nullità della notifica delle cartelle derivava la decadenza dal potere impositivo.

La censura non è fondata.

La CTR ha rilevato che essendo state le cartelle notificate il 22.4.2008 e il 15.6.2009, non si era verificata alcuna decadenza del potere impositivo.

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la riscorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.300,00 oltre rimborso forfettario spese generali e Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021

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