Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.22153 del 03/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1330-2019 proposto da:

GLAREA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ROMAGNA 26, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO SORCINELLI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ***** SRL, in persona del curatore Dott. A.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI QUATTRO VENTI N. 12, presso lo studio dell’avvocato SILVIA GERMINI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIAMPIERO TRONCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 888/2018 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 22/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/05/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

RITENUTO

Che:

1. La Glarea srl ricorre, affidandosi a dieci motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Cagliari con la quale era stata confermata la decisione del Tribunale che aveva accolto la domanda revocatoria ordinaria e fallimentare, proposta nei suoi confronti dal Fallimento ***** srl per la dichiarazione di inefficacia dell’atto di cessione del ramo di azienda stipulato nel 2009 e per la restituzione dell’importo pagato dalla società ancora in bonis per i canoni di leasing relativi ai beni ceduti.

1.1. Deve premettersi che la ***** srl (da ora *****) aveva ceduto a titolo oneroso nel 2009 alla Glarea Srl (da ora Glarea) un ramo d’azienda commerciale, avente ad oggetto lo svolgimento di attività nel settore edilizio; la società cessionaria, fra le altre cose, subentrava nei debiti della cedente ed in una pluralità di contratti di leasing in corso fra i quali quelli stipulati con la Sardaleasing e la Italeasing Spa (creditori della ***** Srl) che, tuttavia, non accettavano la cessione: ragione per cui, i canoni continuavano ad essere pagati dalla ***** che rimaneva obbligata ex art. 2560 c.c..

1.2. Successivamente, nel 2011, la società cedente veniva dichiarata fallita ma la pronuncia era riformata in sede di reclamo con conseguente revoca del fallimento. Detta sentenza veniva impugnata dinanzi a questa Corte di Cassazione.

1.3. Nelle more, per ciò che qui interessa, il Fallimento ***** Srl proponeva azione revocatoria ordinaria per la declaratoria di inefficacia della vendita del ramo d’azienda e per la condanna della società cessionaria alla restituzione del compendio aziendale per l’alterazione della consistenza patrimoniale della società fallita, entrambe oggetto del presente giudizio; chiedeva, altresì, l’accertamento della gratuità dei pagamenti effettuati dalla ***** in relazione ai canoni di leasing, con condanna della Glarea alla restituzione delle somme erogate.

2. La parte intimata si è difesa con controricorso.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 359 c.p.c. e art. 101 c.p.c., comma 2 e art. 115 c.p.c..

1.1. Assume che l’azione revocatoria accolta dal Tribunale di Cagliari era stata proposta dal Fallimento *****, in persona del curatore, dopo la revoca di esso, disposta dalla Corte d’appello a seguito di giudizio di reclamo con sentenza non ancora passata in giudicato.

1.2. Deduce, al riguardo, che nel presente procedimento la Glarea aveva riproposto la questione relativa alla carenza di legittimazione attiva del curatore, rispetto alla quale il fallimento appellato, con la comparsa conclusionale, aveva allegato che la sentenza con cui era stato accolto il reclamo era stata cassata nel giudizio di legittimità e che era ancora pendente il giudizio di rinvio: lamenta, pertanto, che la Corte territoriale aveva rigettato il motivo di gravame avente per oggetto la legittimazione attiva del fallimento, sul presupposto che il giudizio di rinvio si fosse concluso con una sentenza definitiva, riferendosi ad un fatto processuale – cioè alla sentenza della medesima Corte d’Appello – che non era stato dedotto da nessuna delle parti né oggetto di produzione né formalmente acquisito negli atti di causa.

1.3. Sulla base di ciò, il ricorrente assume che la sentenza impugnata doveva ritenersi nulla, per violazione degli artt. 115 c.p.c. e art. 101 c.p.c., comma 2, in quanto la Corte d’appello aveva deciso la questione preliminare di legittimazione attiva sulla base di una sentenza non passata in giudicato e non sottoposta al contraddittorio ma autonomamente ricercata negli archivi dello stesso ufficio. 2. Con il secondo motivo, ancora, il ricorrente deduce la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 112 c.p.c. nonché dell’art. 24 Cost., comma 1 ed art. 81 c.p.c..

2.1. Lamenta che la Corte territoriale aveva ritenuto erroneamente che la questione relativa alla carenza di legittimazione attiva fosse superata per effetto della sentenza resa nel giudizio con il quale era stata revocata la dichiarazione di fallimento, omettendo di esaminare il motivo di gravame secondo il quale la successiva revoca di esso, intervenuta con sentenza non ancora passata in giudicato, scalfiva la legittimazione ad agire della parte attrice in revocatoria in quanto atteneva alle condizioni dell’azione e doveva sussistere al momento in cui essa veniva esercitata: a ciò conseguiva la nullità della sentenza impugnata per violazione delle norme sopra richiamate.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 342 c.p.c., comma 2: deduce, altresì, error in procedendo con riferimento alla ritenuta inammissibilità del secondo motivo d’appello per mancanza di specificità.

3.1. Assume che la Corte territoriale aveva ritenuto che la censura non fosse specifica e si risolvesse, addirittura, in una semplice “lagnanza”: deduce, al riguardo, che tale affermazione era erronea in quanto le doglianze articolate nel motivo erano diffusamente argomentate, visto che erano stati evidenziati i passaggi motivazionali oggetto di censura e che erano state indicate anche le ragioni per cui il tribunale avrebbe dovuto rigettare le pretese attoree.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. ed error in procedendo in riferimento all’omessa pronuncia sul secondo motivo d’appello, erroneamente dichiarato inammissibile.

5. Con il quinto motivo, ancora, si lamenta la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 2901 c.c., della L.Fall., art. 66 e degli artt. 2709,2710 e 2729 c.c.

5.1. Assume che la Corte d’appello, pur dichiarando manifestamente generico ed inammissibile il secondo motivo, aveva affermato, sia pur incidentalmente, che il fallimento avrebbe dimostrato il pregiudizio asseritamente arrecato ai creditori attraverso la contabilità formata dalla medesima *****: ma, così argomentando, la Corte distrettuale avrebbe violato i canoni di giudizio previsti dalle norme richiamate in quanto aveva ritenuto, in thesi errando, che la documentazione, formata unilateralmente da una parte fosse idonea a provare i fatti meramente allegati dalla stessa.

6. Con il sesto motivo, si deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. la violazione degli artt. 2901 c.c. e della L.Fall., art. 66.

6.1. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non avrebbe potuto in nessun caso condannare la Glarea a restituire il ramo di azienda oggetto della compravendita, in quanto l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria comportava la mera inefficacia dell’atto dispositivo rispetto ai soli creditori ammessi al passivo i quali, per il tramite della procedura, avrebbero poi potuto agire esecutivamente sul bene.

6.2. Assume, inoltre, che l’azione revocatoria, ex 2901 c.c. ed L.Fall., art. 66, non era idonea a produrre alcun effetto restitutorio a carico dell’acquirente.

7. Con il settimo motivo, deduce, altresì, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. la violazione della L.Fall., art. 64 e art. 2560 c.c.

7.1. Assume che la cessione d’azienda aveva comportato il correlativo trasferimento di una serie di debiti di ***** a Glarea, tra cui quelli per i canoni di leasing; e che, solo in relazione alla mancata accettazione della cessione, tali canoni erano stati onorati direttamente da ***** che, peraltro, aveva beneficiato delle ingenti provviste di denaro erogate da essa ricorrente e da una terza società ad essa collegata.

7.2. Risultava, pertanto, erronea l’affermazione della Corte territoriale secondo cui i pagamenti eseguiti da ***** dovessero essere considerati atti a titolo gratuito sebbene, per effetto della mancata accettazione della cessione da parte delle società creditrici, la ***** fosse rimasta personalmente e direttamente obbligata nei loro confronti ex art. 2560 c.c., norma che la Corte territoriale aveva erroneamente applicato, qualificando i pagamenti de quibus alla stregua di atti a titolo gratuito, benché eseguiti dalla società fallita in qualità di debitore direttamente obbligato verso i creditori.

8. Con l’ottavo motivo, il ricorrente deduce la violazione della L.Fall., art. 64 e degli artt. 2073,2710,2729 c.c..

8.1. Lamenta che i canoni di leasing oggetto della revocatoria erano stati pagati direttamente da ***** la quale, tuttavia, beneficiava delle ingenti provviste di denaro fornite dalla Glarea: la Corte d’appello aveva tuttavia affermato la gratuità dei pagamenti eseguiti, asserendo che la contabilità della fallita e la relazione L.Fall., ex art. 161, predisposta dal suo commercialista, attestassero l’esistenza di credito verso la Glarea per lo stesso titolo ma omettendo di considerare che con tale argomentazione erano stati violati i canoni di giudizio previsti dalle norme sopra richiamate, essendo stato ritenuto che la documentazione, formata unilateralmente dalla fallita, fosse idonea a provare i fatti allegati dal fallimento stesso.

9. Con il nono motivo, ancora, la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L.Fall., art. 64, nella parte in cui era stato affermato che i canoni di leasing pagati erano atti a titolo gratuito: tale statuizione, infatti, aveva violato il principio secondo cui gli interventi effettuati da una società in favore di altra società collegata non erano animati da spirito di liberalità, ma perseguivano mediamente ed indirettamente un apprezzabile interesse economico del solvens.

10. Con il decimo motivo, infine, si deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione della L.Fall., art. 67.

10.1. Il ricorrente lamenta, al riguardo, che la sentenza della Corte territoriale era comunque illegittima, in quanto la natura onerosa degli atti oggetto di revocatoria avrebbe comunque determinato l’applicazione del termine decadenziale annuale previsto dalla disposizione che si assumeva violata e che, anche in ragione di ciò, la domanda doveva essere rigettata.

11. I primi due motivi devono essere congiuntamente esaminati per la stretta connessione logica.

11.1. Il primo è infondato – pur essendo necessaria una correzione della motivazione – ed il secondo rimane assorbito.

11.2. Il ricorrente, infatti, deducendo il difetto di legittimazione attiva del Fallimento *****, ha omesso di considerare che questa Corte, con giurisprudenza ormai consolidata, ha affermato il principio secondo cui “gli effetti della sentenza di fallimento, la cui provvisoria esecutività, disposta dalla L.Fall., art. 16, comma 2, non è suscettibile di sospensione, vengono meno solo con il passaggio in giudicato della decisione che, accogliendo il reclamo L.Fall., ex art. 18, la revoca.” (cfr. Cass. 1073/2018; Cass. 17191/2014; Cass. 13100/2013).

11.3. E’ stato, infatti, ritenuto che la normativa fallimentare anteriore alla riforma si era espressa nel senso di ritenere che gli effetti della sentenza dichiarativa del fallimento – la cui esecutività in via provvisoria (cfr. L.Fall., art. 16, comma 30) non era suscettibile di sospensione (cfr. L.Fall., art. 18, comma 4), tenuto conto della finalità della disciplina diretta a privilegiare gli interessi generali dei creditori rispetto all’interesse del debitore – dovessero ritenersi rimossi, sia per lo status di fallito sia per gli aspetti conservativi del patrimonio, solo con il passaggio in giudicato della sentenza che, accogliendo l’opposizione, revoca il fallimento, mentre, anteriormente a tale momento, può provvedersi in via discrezionale alla sospensione dell’attività liquidatoria.

11.4. E, tali principi sono stati ritenuti validi – in primis da Cass. 13100/2013 anche dopo la riforma, risultando in vigore sia la L.Fall., art. 16, comma 2 – che prevede l’esecutività immediata della sentenza – sia il principio della non sospensione per effetto del reclamo, come si evince dal successivo art. 19 che prevede che, in tal caso, il giudice possa disporre solo la sospensione della liquidazione dell’attivo, così assicurando ai creditori gli effetti dello spossessamento dei beni e, quindi, la permanenza della garanzia di questi all’esito del giudizio di reclamo, ed al debitore, previa valutazione giudiziale, la possibilità di impedire la dispersione del patrimonio in una situazione di incertezza circa l’esito finale dell’impugnazione della sentenza di fallimento.

11.5. In conclusione, deve ritenersi consolidato il principio secondo cui la sentenza di revoca produce i suoi effetti solo dal passaggio in giudicato e che gli organi del fallimento decadono soltanto da quel momento (Cass. 4632/09; Cass. 4707/11).

11.6. Conseguentemente, la Corte territoriale, pur giungendo ad una soluzione della questione proposta non meritevole di decisione cassatoria, l’ha tuttavia fondata su una motivazione errata che deve essere in questa sede corretta, ex art. 384 c.p.c.: il giudice d’appello ha, infatti, affermato che doveva essere confermata la sussistenza della legittimazione attiva in capo alla curatela fallimentare, “attesa l’immediata efficacia esecutiva della sentenza di rigetto del reclamo” (cfr. pag. 5 secondo cpv della sentenza impugnata), laddove invece la ragione sulla quale tale statuizione doveva fondarsi va ricondotta alla circostanza che la sentenza dichiarativa della revoca del fallimento non era ancora passata in giudicato al momento della proposizione dell’azione revocatoria, con conseguente legittimazione attiva della curatela ed irrilevanza della questione oggetto di censura, visto che anche gli organi del fallimento decadono soltanto dopo che, a seguito dell’opposizione, la successiva pronuncia che lo revoca, diviene definitiva: e, al riguardo, non è inutile sottolineare che se fosse stato rilevante il sopravvenuto giudicato esterno sulla revoca del fallimento, effettivamente la corte territoriale non avrebbe potuto rilevarlo in sede di decisione senza rispettare l’art. 101 c.p.c., comma 2, e cioè senza sottoporre la nuova pronuncia d’appello, sopravvenuta nelle more (cfr. pag. 14 del ricorso) al contraddittorio fra le parti, rimettendo la causa sul ruolo.

11.7. La correzione della motivazione rende logicamente assorbito il secondo motivo.

12. Il terzo motivo è inammissibile.

12.1. La censura, infatti, si fonda sulla pretesa declaratoria di inammissibilità del secondo motivo con violazione dell’art. 342 c.p.c.: tuttavia, la doglianza non si confronta con la ratio decidendi della Corte che, invece, ha rigettato nel merito l’appello esaminando, segnatamente, le ragioni sulle quali la cesnura si era fondata.

12.2. Sicché essa è inidonea allo scopo e, dunque, affetta da nullità, categoria che, quando riguarda l’esercizio del diritto di impugnazione, si risolve in inammissibilità (cfr. Cass. 359/2005 e Cass. Sez. Un. 7074 del 2017).

13. La stessa sorte deve essere riservata al quarto motivo che contiene la medesima critica inconferente con il contenuto della decisione.

14. Ma anche la quinta censura è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

14.1. Si osserva, infatti, che la ricorrente critica la statuizione della Corte territoriale che aveva incidentalmente affermato che fosse documentato che la cessione del ramo d’azienda aveva determinato un depauparamento del patrimonio della società, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, e critica la decisione con riferimento a documenti che non sono riportati nel corpo del ricorso né sono localizzati fra gli atti di causa.

14.2. Ma a ciò si aggiunge che la critica risulta pretestuosa quanto alla violazione dell’art. 2709 e 2710, in quanto l’utilizzazione delle scritture contabili della parte fallita è avvenuta nella piena osservanza dell’art. 2710 c.c. che prevede che esse contabili “possono” costituire prova fra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa. Ne’ la critica riferita alla violazione dell’art. 2729 c.c. è stata articolata in modo idoneo ad essere compresa.

15. Il sesto motivo e’, preliminarmente, inammissibile.

15.1. Il ricorrente, infatti, contesta la condanna a restituire il ramo d’azienda oggetto della compravendita colpita dalla revocatoria, assumendo che tale azione comporta la mera inefficacia dell’atto dispositivo rispetto ai soli creditori ammessi al passivo che, tramite la procedura, potrebbero poi agire esecutivamente sul bene: ma a fronte di ciò, non indica la corrispondente censura che avrebbe spiegato in appello prospettando, pertanto una doglianza nuova, in quanto tale inammissibile (cfr. Cass. 2038/2019).

15.2. Ed, al riguardo, vale comunque la pena di rilevare che l’azione revocatoria in ambito fallimentare ha un fisiologico effetto recuperatorio (cfr. Cass. 10233/2017; Cass. 15982/2018; Cass. 31277/2018): in particolare è stato chiarito, in un caso parzialmente sovrapponibile a quello in esame in cui all’accoglimento di essa era seguita la condanna dell’acquirente alla restituzione dell’immobile al fallimento, che tale capo della decisione “come già chiarito da questa Corte (Cass. n. 17590 del 2005 cit.), assume, piuttosto, carattere derivativo della pronuncia di accoglimento della domanda revocatoria, sanzionando l’obbligo da essa nascente di porre il bene nella piena disponibilità della massa. Infatti, a differenza che nell’azione revocatoria ordinaria, il cui vittorioso esperimento consente al creditore istante di aggredire solo successivamente, con esecuzione individuale, il bene oggetto dell’atto revocato, l’accoglimento della revocatoria fallimentare si inserisce in una procedura esecutiva già in atto, caratterizzata dalla acquisizione di tutti i beni che devono garantire le ragioni dei creditori (vedi Cass. Sez. 1 n. 3757 del 1985; Cass. Sez. 1 n. 2936 del 1978). L’acquisizione del bene revocato alla massa attiva della procedura non ne comporta, pertanto, unicamente il recupero alla funzione di garanzia generale dei creditori sancita dall’art. 2740 c.c. a carico del patrimonio del debitore esecutato, ma conferisce al curatore (cui compete, ai sensi della L.Fall., art. 31, l’amministrazione del patrimonio del fallito, anche per quanto concerne i beni sopravvenuti) il potere di apprensione del bene medesimo non soltanto per sottoporlo ad espropriazione, ma anche per gestirlo nell’interesse della massa.” (cfr. Cass. 31277/2018 in motivazione).

16. Il settimo e l’ottavo motivo sono inammissibili.

16.1. Entrambi, infatti, oltre a non rispettare quanto predicato dall’art. 366 c.p.c., n. 6, sempre sotto il profilo della riproduzione diretta od indiretta del contenuto dei documenti evocati, finalizza le due censure alla ricostruzione della quaestio facti, collocandole del tutto al di fuori dei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: si chiede, in sostanza, senza una lettura complessiva della motivazione, una rivalutazione di merito delle emergenze istruttorie che postula un inammissibile terzo grado di giudizio (cfr. Cass. 18712/2018; Cass.31546/2019).

17. Anche il nono motivo – con il quale si contesta la qualificazione (operata dalla Corte) del pagamento dei canoni di leasing come atti a titolo gratuito, in quanto tali assoggettabili alla L.Fall., art. 64 – presenta carattere pienamente fattuale e quindi esuberante dai limiti del vizio dedotto: la censura, pur enunciando la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, maschera, dunque, la richiesta di una non consentita rivalutazione di merito delle argomentazioni congrue e logiche articolate dalla Corte territoriale in relazione ai rapporti di parentela fra l’amministratore della Glarea e quello della ***** (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).

18. Il decimo motivo, infine, è assorbito.

18.1. Esso, infatti, è strettamente dipendente dalla qualificazione della domanda in relazione alla natura gratuita del pagamento dei canoni di leasing, visto che si riferisce alla decorrenza del termine per la proposizione dell’azione revocatoria degli atti a titolo gratuito.

19. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

20. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater si da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

21. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

22. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in 10.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile della Corte di Cassazione, il 7 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021

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