LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13512-2015 prcoo:;to da:
I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI “GIOVANNI AMENDOLA”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato MARCO PETROCELLI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
TELEAGENZIA SOC. COOP. a.r.l., – T.A.S.C.R.L. in liquidazione;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3121/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/05/2014 R.G.N. 8715/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/02/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA.
RITENUTO
CHE:
Con sentenza del 28.5.14, la corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del 2010 del tribunale della stessa sede che aveva accolto l’opposizione a decreto ingiuntivo con il quale era stato richiesto dall’INPGI alla società indicata in epigrafe il pagamento – per quel che qui rileva – di Euro 14.612, per contributi e sanzioni su indennità sostitutiva del preavviso corrisposta ad alcuni lavoratori. In particolare, la corte territoriale ha escluso la spettanza della detta indennità per i pubblicisti, in difetto di prova di rapporto continuativo ed esclusivo.
Avverso tale sentenza ricorre l’INPGI per 4 motivi; il datore rimasto intimato.
CONSIDERATO
CHE:
Con il primo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -violazione degli artt. 2118 e 2119 c.c., per avere la sentenza impugnata trascurato la spettanza del preavviso in ogni tipo di rapporto.
Il motivo è infondato in quanto la sentenza non nega la spettanza del preavviso, ma semplicemente la debenza della contribuzione sulla indennità sostitutiva del preavviso, non prevista in ragione delle caratteristiche del rapporto.
Con il secondo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione degli artt. 27 e 36 del contratto nazionale di lavoro giornalistico e dell’art. 1363 c.c., per avere la sentenza impugnata trascurato la previsione relativa al preavviso a favore dei pubblicisti, che opera anche per attività non esclusive e non continuative, seppure in misura inferiore a quella prevista per i pubblicisti con rapporto avente invece i detti caratteri.
Il motivo è infondato.
Infatti, dal combinato disposto degli artt. 27 e 36 del CNLG, efficace erga omnes in quanto recepito con D.P.R. n. 153 del 1961, risulta il riconoscimento ai giornalisti dell’indennità sostitutiva del preavviso e l’estensione delle relative norme ai pubblicisti solo ove svolgano attività giornalistica esclusiva (art. 36: “Ai pubblicisti che esercitano attività giornalistica in via esclusiva e prestano opera quotidiana con orario di massima di 36 ore settimanali si applica il trattamento economico e normativo previsto per i giornalisti professionisti””).
Parte ricorrente – premesso che il terzo paragrafo dell’art. 36 prevede che “ai pubblicisti che prestano la loro opera di collaboratori fissi ai sensi dell’art. 2 del presente contratto, spetta il trattamento retributivo previsto dall’art. 2 e quello normativo previsto dalle lett. a), b) e c) del paragrafo precedente” – invoca l’applicazione dell’art. 36, par. 2, lett. C), e sostiene che l’indennità di preavviso compete al pubblicista anche ove non svolga attività esclusiva, sebbene spetti nella misura minore prevista dalla norma.
L’assunto è infondato: la norma richiamata, dopo aver previsto che “la risoluzione del rapporto, quando non avvenga per fatto o per colpa del pubblicista così grave da non consentire la prosecuzione anche provvisoria del rapporto stesso, dà diritto ad un preavviso da parte dell’editore di tre mesi se il pubblicista non ha superato i cinque anni di anzianità aziendale e di quattro mesi se egli ha superato i cinque anni di anzianità aziendale nonché alla corresponsione del trattamento di fine rapporto di cui alla L. 29 maggio 1982, n. 297. Il pubblicista, tranne i casi previsti dall’art. 32, non potrà abbandonare l’azienda senza dare un preavviso di tre mesi”, espressamente distingue i diritti dell’editore e quelli del pubblicista, prevedendo nel primo caso che “L’inosservanza di tale disposizione darà diritto all’editore di avere un’indennità equivalente all’importo della retribuzione correlativa al periodo di preavviso per il quale è mancata la prestazione” e prevedendo invece nel secondo caso che “In caso di dimissioni del pubblicista dovrà essere corrisposto dall’editore soltanto il trattamento di fine rapporto”, così escludendo l’indennità di preavviso in favore del pubblicista in questione (e differenziando la posizione dello stesso rispetto a quella del pubblicista che svolge attività giornalistica esclusiva).
Non vi è spazio, del resto, per dubitare della legittimità della distinzione, e ciò non solo perché la parte (che interpreta diversamente la norma) non ne fa oggetto di contestazione (ma anzi invoca proprio l’applicazione della norma), quanto perché le parti hanno differenziato le due figure pervenendo ad un assetto di interessi che tiene conto della non esclusività della prestazione resa dal pubblicista (che può svolgere altre attività, cui può dedicarsi con maggior impegno nel periodo di preavviso).
Per ciò che qui solo rileva, la sentenza impugnata non ha violato la disposizione contrattuale invocata dalla parte.
Con il terzo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non aver considerato la tessera di iscrizione del giornalista ***** I. all’ordine dei giornalisti sin dal 2002.
Tale motivo non può essere accolto, essendo volto a censurare un fatto – lo svolgimento di attività quale giornalista professionista prima del 2009 – valutato dalla corte territoriale; né con il motivo può darsi accesso a censure in ordine alla omessa valutazione delle prove documentali (tra le tante, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01; Sez. 1-, Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018, Rv. 650931 – 01).
Con il quarto motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione della L. n. 69 del 1963, artt. 1,28,31,36 e 45 per avere la sentenza impugnata trascurato che l’iscrizione del giornalista ***** I. nell’elenco dei giornalisti stranieri consentiva l’esercizio della professione e per non aver considerato che il D.Lgs. n. 206 del 2007 ed il D.M. 8 luglio 2008 (che prevedono il diritto dei giornalisti dei paesi UE ad iscriversi nell’elenco dei giornalisti italiani) non operano per il periodo pregresso in relazione al quale restava impregiudicata la possibilità di esercizio della professione sulla base della iscrizione nell’elenco speciale in qualità di giornalista straniero accreditato.
Reputa il Collegio che anche tale motivo non possa trovare accoglimento, in quanto postula il diritto di svolgere attività di giornalista nel periodo precedente l’entrata in vigore del su richiamato decreto sulla base di iscrizione all’albo, non provata se non con il documento richiamato nel motivo di ricorso precedente, laddove il ricorrente non censura la mancata considerazione di detto documento in relazione alla violazione delle norme sulle prove.
Ne deriva il rigetto del ricorso.
Spese non dovute, non avendo parte intimata, svolto attività difensiva.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 17 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021