LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26861-2019 proposto da:
M.N.S., rappresentato e difeso dall’avvocato STEFANIA SANTILLI, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 507/2019 della CORTE D’APPELLO di Milano;
UDITA la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre 2020 dal consigliere Dott. Antonio Oricchio.
RILEVATO
che:
e’ stata impugnata da M.N.S., cittadino del *****, la sentenza n. 507/2019 della Corte di Appello di Milano.
Il ricorso è fondato su quattro motivi ed è resistito con controricorso.
Per una migliore comprensione della fattispecie in giudizio va riepilogato, in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue.
L’odierna parte ricorrente formulava istanza, di cui in atti, alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento dello stato di rifugiato politico.
La Commissione rigettava l’istanza.
L’odierno ricorrente impugnava, quindi, detto rigetto con ricorso innanzi al Tribunale di Milano.
Quest’ultimo, con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. respingeva il ricorso.
Avverso la decisione del Tribunale di prima istanza l’odierno ricorrente interponeva appello a sua volta rigettato con la decisione oggetto del ricorso in esame.
Il ricorso viene deciso ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. con ordinanza in camera di consiglio non ricorrendo l’ipotesi di particolare rilevanza delle questioni in ordine alle quali la Corte deve pronunciare.
CONSIDERATO
che:
1.- Con il primo motivo del ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione di norme ex D.Lgs. n. 251 del 2007 e D.Lgs. n. 25 del 2008, nonché degli artt. 2 e 3 CEDU.
Le denunciate violazioni i vengono svolte in riferimento sia all’art. 360 c.p.c., al n. 3 che al n. 5.
Con il motivo si muove, in sostanza, censura in ordine alla “violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente protezione, nonché al preteso mancato esame comparativo circa le informazioni personali sul ricorrente con asserita mancata osservanza degli obblighi di cooperazione istruttoria.
La censura è inammissibile, sotto il profilo dell’invocato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., a mezzo del quale è censurabile solo l’omessa valutazione di un fatto specifico ovvero l’anomalia funzionale di una motivazione che si sostanzi nell’inesistenza della stessa (Cass. civ., S.U., Sent. 7 aprile 2014).
Quanto al profilo della “credibilità delle dichiarazioni” deve evidenziarsi che lo stesso attiene a questione di carattere del tutto meritale.
Per di più, in assenza di idonea allegazione circa eventuali precedenti specifiche doglianze – in punto – della parte ricorrente, la censura risulta del tutto non ammissibile.
In ordine alla prospettata mancata valutazione di e carattere comparativo e previa attivazione dei poteri istruttori officiosi deve osservarsi quanto segue.
La detta valutazione è stata svolta in modo congruo ed adeguato dal Giudice del merito.
In ordine alla pretesa inesistenza (allegata, in ispecie, col secondo motivo) di un esame approfondito della fattispecie ed al preteso mancato svolgimento di un “ruolo attivo nell’istruzione”, va osservato quanto segue.
Il “ruolo attivo (del Giudice) con cooperazione istruttoria” nelle controversie relative ad istane di protezione internazionale non può essere disancorato dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario.
Parte ricorrente non tiene in conto i più recenti orientamenti giurisprudenziali di questa Corte in materia.
In particolare viene del tutto eluso l’insegnamento del più recente orientamento per cui “la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicché il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il Giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio” (Cass. n.ri 27336/2018 e 14621/2020).
Nella fattispecie nulla risulta aver allegato – quale fatto costitutivo – la parte ricorrente, così non potendo oggi invocare il detto principio istruttorio officioso.
Il motivo e’, quindi e nel suo complesso, inammissibile.
2.- Con il secondo motivo viene prospettata la violazione della Convenzione di Ginevra, ratificata con L. n. 722 del 1954 ed attuata con D.Lgs. n. 251 del 2007.
La doglianza, prospettata in modo generico, non viene svolta con la dovuta e specifica indicazione del modo in cui la stessa sia stata specificamente svolta nella precedente fase del giudizio.
La carenza è a maggior ragione grave in dipendenza della specifica indicazione dei motivi di appello (tre) riportati nella sentenza (pp. 4 e 5) e rispetto alla quale parte ricorrente non appare confrontarsi.
Il motivo deve, quindi, essere ritenuto inammissibile.
3.- Con il terzo motivo si lamenta promiscuamente la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per aver omesso la Corte territoriale una valutazione ovvero “erroneamente escluso che nel paese di origine vi fosse una situazione di instabilità” e la violazione di norme di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007.
IL motivo non può essere accolto.
La decisione impugnata risulta essere stata fondata su idonee fonti informative e COI aggiornate.
Il motivo, eludendo il confronto e la verifica con dette fonti e l’effettiva ratio della sentenza, va -dunque- ritenuto inammissibile.
4.- Con il quarto motivo si deduce, ancora, il vizio di violazione di legge e l’omesso esame in ordine alla situazione di vulnerabilità
Il motivo non è ammissibile stante la svolta valutazione della detta situazione da parte della sentenza impugnata (pp. 7/8) e le valutazioni ivi svolte e con le quali parte ricorrente evita, al di là della generica contestazione, ogni tipo di concreta ed idonea censura.
Il motivo e’, pertanto, inammissibile.
6.- Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato, nel suo complesso, inammisibile.
7.- Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si determinano come in dispositivo.
8.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis se dovuto, non risultando – allo stato – il ricorrente ammesso in via definitiva al beneficio del gratuito patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
LA CORTE dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione controricorrente, delle spese del giudizio determinate i Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021