LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15068-2020 proposto da:
C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA AMERICO CAPPONI, 16, presso lo studio dell’avvocato CARLO STACCIOLI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. 1466/2020 del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 24/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa TRICUMI LAURA.
RITENUTO
CHE:
C.D., nato in Guinea Bissau, impugnava la decisione della Commissione Territoriale, con cui era stata respinta la sua domanda di protezione internazionale e di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.
Il ricorrente aveva narrato di essere di fede cristiana e di non aver voluto seguire la religione mussulmana professata da suo padre, iman del villaggio, per le regole ferree imposte e che la scelta non era stata vista di buon occhio nel paese. Aveva riferito, inoltre, di avere manifestato interesse per il suo stesso sesso sin da ragazzino e di averlo tenuto nascosto fino a quando si era innamorato di un coetaneo: ciò per l’intera comunità rappresentava un’onta terribile, tanto che era stato più volte minacciato di morte, dapprima dai vicini e poi dagli altri abitanti del villaggio di fede mussulmana e che ciò lo aveva indotto a lasciare la sua Patria.
Con il decreto in epigrafe indicato, il Tribunale di Lecce ha rigettato il ricorso avverso il diniego di protezione.
Il Tribunale ha ritenuto che il racconto, astrattamente rappresentativo di fatti persecutori, non era attendibile perché generico e poco circostanziato e pertanto inidoneo a consentire il riconoscimento dello status di rifugiato, sia in merito alla condizione di omossessuale che in relazione alla fede cristiana professata; che non emergeva il rischio effettivo di subire un grave danno nell’area di provenienza del richiedente; che non ricorreva una condizione di personale vulnerabilità individualizzata, né un compiuto percorso di integrazione sociale in Italia.
Il richiedente propone ricorso per cassazione con due mezzi. Il Ministero dell’Interno ha depositato mero atto di costituzione.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, nonché la motivazione apparente.
A parere del ricorrente, il Tribunale avrebbe escluso tutte le forme di protezione richieste senza fornire una reale motivazione di tale esclusione.
Il ricorrente, si duole in particolare, che il Tribunale non abbia preso nella dovuta considerazione la allegata condizione di omossessuale, sia al fine di verificarne la ricorrenza, sia di valutare se la stessa era suscettibile di generare discriminazioni nel Paese di origine. Lamenta altresì che non sia stato considerato il suo basso grado di scolarizzazione tale da incidere sulla sua capacità di fornire riflessioni sufficientemente articolate sul rapporto tra omosessualità e religione mussulmana.
Il motivo è fondato e va accolto.
Il Tribunale, in merito alla dedotta condizione di omosessualità del richiedente, ha affermato che non sì poteva attribuire il beneficio dell’onere agevolato della prova vigente in materia, perché le dichiarazioni erano inattendibili in quanto generiche e poco circostanziate: segnatamente ha detto che “Tale genericità si riscontra nel fatto che il solo elemento di valutazione offerto dal ricorrente consiste nell’essere stato indifferente (non aver offerto alcuna riflessione) rispetto alla cultura religiosa che caratterizzava la società in cui viveva, rispetto alla sua asserita omosessualità” (fol.6 del decr. imp.).
Al riguardo, va osservato che, in tema di protezione internazionale, l’orientamento sessuale del richiedente (nella specie, cittadino della Guinea Bissau, dichiaratosi omosessuale) costituisce fattore di individuazione del “particolare gruppo sociale” la cui appartenenza, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8, comma 1, lett. d), integra una situazione oggettiva di persecuzione idonea a fondare il riconoscimento dello status di rifugiato, sussistendo tale situazione quando le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale del loro Paese e ad esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità; che ciò costituisce una grave ingerenza nella vita privata di dette persone che ne compromette la libertà personale e le pone in una situazione di oggettivo pericolo che deve essere verificata, anche d’ufficio, dal giudice di merito (Cass. n. 7438 del 18/3/2020). E’ stato altresì affermato che, in tema di protezione internazionale, l’allegazione da parte dello straniero di una condizione personale di omosessualità impone che il giudice si ponga in una prospettiva dinamica e non statica, vale a dire che verifichi la sua concreta esposizione a rischio, sia in relazione alla rilevazione di un vero e proprio atto persecutorio, ove nel paese di origine l’omosessualità sia punita come reato e sia prevista una pena detentiva sproporzionata o discriminatoria, sia in relazione alla configurabilità della protezione sussidiaria, che può verificarsi anche in mancanza di una legislazione esplicitamente omofoba ove il soggetto sia esposto a gravissime minacce da agenti privati e lo Stato non sia in grado di proteggerlo, dovendosi evidenziare che tra i trattamenti inumani e degradanti lesivi dei diritti fondamentali della persona omosessuale non vi è solo il carcere ma vi sono anche gli abusi medici, gli stupri ed i matrimoni forzati, tenuto conto che non è lecito pretendere che la persona tenga un comportamento riservato e nasconda la propria omosessualità (Cass. n. 9815 del 26/5/2020; Cass. n. 7438 del 18/03/2020; CGUE 7/11/2013 C-199/2012 e C-201/2012).
Inoltre, in tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non è affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua deì criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (cfr. Cass. 19716 del 25/7/2018; Cass. n. 26969 del 24/10/2018).
Va inoltre rammentato che “In materia di protezione internazionale, il giudizio sulla credibilità del racconto del richiedente, da effettuarsi in base ai parametri, meramente indicativi, forniti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sindacabile in sede di legittimità nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa – spettando dunque al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza.” (Cass. n. 13578 del 02/07/2020).
Ora, nella fattispecie, come lamentato dal ricorrente, il giudice di merito ha escluso i presupposti delle varie forme di protezione invocate perché ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni del ricorrente, con la motivazione prima riportata, che risulta criptica e sostanzialmente apparente in quanto non illustra alcuno dei profili di inattendibilità, se non invocando una non meglio chiarita “indifferenza” del richiedente rispetto alla cultura religiosa del suo Paese ed alla posizione di questa rispetto all’omosessualità, di guisa che nemmeno si comprende se il richiedente sia stato creduto in merito all’orientamento sessuale dichiarato. Il Tribunale, inoltrn ha nemmeno confrontato le dichiarazioni del richiedent del contesto politico-religioso del paese di provenienza ed alla relativa normativa in materia di omosessualità ed ha omesso di espletare l’obbligo di cooperazione istruttoria circa la dimensione di tale questione in Guinea Bissau -, senza esaminare dunque il fatto decisivo della condizione di vulnerabilità allegata nella domanda dell’istante e la decisione sul punto risulta viziata e va cassata.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la motivazione apparente in merito al mancato riconoscimento della protezione umanitaria.
Il ricorrente sostiene che il Tribunale, negando che la documentazione prodotta in merito all’attività lavorativa svolta fosse idonea a dimostrare una condizione di integrazione in Italia, non ne aveva illustrato le ragioni, né indicato quali avrebbero potuto essere le prove sufficienti a supportare la domanda.
Il secondo motivo è assorbito in quanto la domanda avente ad oggetto la protezione umanitaria dev’essere trattata solo ove vengano rigettate nel merito le domande rivolte verso gli strumenti tipici di protezione internazionale (Cass. n. 11261 del 24/4/2019).
3. In conclusione il ricorso va accolto, fondato il primo motivo, assorbito il secondo.
Il decreto impugnata va cassata con rinvio al Tribunale di Lecce in diversa composizione, per il riesame e per la statuizione sulle spese anche del presente giudizio.
P.Q.M.
– Accoglie il ricorso, fondato il primo motivo, assorbito il secondo; cassa il decreto impugnato e rinvia al tribunale di Lecce in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021