Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.22273 del 04/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14641/2020 proposto da:

A.J., elettivamente domiciliato in Roma presso la cancelleria della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’Avv.to Giuseppe Lufrano, del foro di Macerata;

– ricorrente –

contro

Commissione, Territoriale Per II Riconoscimento Della Protezione Internazionale Bari, Ministero Dell’interno, *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 567/2020 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 24/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/03/2021 da Dott. MELONI MARINA.

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Bari con sentenza in data 24/4/2020, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale di Bari in ordine alle istanze avanzate da l.J. nato in ***** il *****, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dal ***** aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese in quanto temeva di essere ricercato dalla polizia per avere organizzato una manifestazione sciita insieme al fratello che era stata dispersa da uomini armati.

La Corte di Appello di Bari in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 7 e 8 ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito riteneva non attendibile la vicenda narrata e non credibile il ricorrente negando il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nonché una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione avendo omesso ogni riferimento alla vicenda personale del ricorrente in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5 per aver ritenuto non credibile il ricorrente in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14 lett. c per non avere la Corte territoriale ritenuto sussistenti i presupposti per concedere la protezione sussidiaria in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice di merito, con motivazione meramente apparente, nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria.

Il ricorso è inammissibile in quanto contiene una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della Corte territoriale e sollecita un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento.

La parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).

In ordine al primo e secondo motivo, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, il giudice ha preso in considerazione la vicenda personale del ricorrente e i motivi che lo hanno indotto ad abbandonare il paese valutandone le dichiarazioni e ritenendolo non credibile. A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c) D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età.

Alla luce di quanto sopra appare evidente che il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3 comma 5, lett. C) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. E). La Corte ha invece ritenuto che le dichiarazioni rese erano scarne e poco circostanziate oltre che contraddittorie e pertanto il ricorrente non era credibile.

Inoltre la Corte ha specificamente motivato in ordine al permesso di soggiorno rilasciato al fratello del ricorrente a fronte della medesima vicenda rappresentata in sede di audizione dei due fratelli precisando che “il documento 2 allegato all’atto di citazione in appello è un permesso di soggiorno per motivo Dublino rilasciato a l.J. nato in ***** il ***** e quindi a soggetto con gli stessi dati anagrafici del ricorrenti. Pertanto il giudice di merito ha ritenuto “fantomatico” il fratello del ricorrente con valutazione congruamente motivata.

In ordine al dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 relativo all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine occorre considerare che la Corte territoriale non è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio né integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali della persona tenuto anche conto della dell’assenza di una situazione di conflitto generalizzata ex art. 14, lett. C) nella zona di provenienza e, stante la non credibilità del ricorrente, dell’insussistenza anche delle ipotesi di cui all’art. 14, lett. A) e B).

In ordine poi alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n.13 convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass. S.U. 2019/29460) il ricorrente censura l’accertamento di merito compiuto dalla Corte in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente: tuttavia il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dal giudice di merito (in sé evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità, non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Per quanto sopra il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte di Cassazione, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021

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