LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 13745-2020 r.g. proposto da:
A.I., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Giuseppe Lufrano, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Civitanova Marche, Via Fermi n. 3.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore il Ministro;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Ancona, depositato in data 26.3.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/5/2021 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
RILEVATO
CHE:
1.Con il decreto impugnato il Tribunale di Ancona ha respinto la domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da A.I., cittadino pakistano, dopo il diniego di tutela da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.
Il tribunale ha ricordato, in primo luogo, la vicenda personale del richiedente asilo, secondo quanto riferito da quest’ultimo; egli ha infatti narrato: i) di essere nato e vissuto in ***** (a *****); il) di essere stato costretto a fuggire dal suo paese in seguito ad un contrasto con i familiari della sua fidanzata i cui parenti lo avevano aggredito nella sua abitazione ed in occasione di tale aggressione suo padre aveva ucciso uno degli aggressori.
Il tribunale ha ritenuto che: a) non erano fondate le domande volte al riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, sub art. 14, lett. a e b, in ragione della complessiva valutazione di non credibilità del racconto, che risultava, per molti aspetti, non plausibile, lacunoso e contraddittorio (e ciò anche in seguito alla disposta audizione giudiziale) ed anche perché la vicenda narrata rientrava in una ipotesi di conflittualità privata non riconducibile nel paradigma applicativo dell’invocata tutela ed infine perché aveva ricevuto tutela innanzi al tribunale locale per le aggressioni subite; b) non era fondata neanche la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, in ragione dell’assenza di un rischio-paese riferito al *****, regione ***** di provenienza del richiedente, collegato ad un conflitto armato generalizzato; c) non poteva accordarsi tutela neanche sotto il profilo della richiesta protezione umanitaria, posto che la valutazione di non credibilità escludeva tale possibilità e perché il ricorrente non aveva dimostrato un saldo radicamento nel contesto sociale italiano, non rilevando a tal fine il rapporto di lavoro allegato e non emergendo, nel giudizio comparativo, una sproporzione di tutela giuridica in caso di rientro nel paese di origine.
2. Il decreto, pubblicato il 26.3.2020, è stato impugnato da A.I. con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
CONSIDERATO
CHE:
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 13 del 2017, artt. 1 e 2 nonché dell’art. 276 c.p.c. laddove il giudice avanti al quale era stata discussa la causa e che si è riservato la decisione risulta essere un g.o.t. non facente parte della sezione specializzata e del collegio giudicante, e ciò anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
2. Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, in ordine alla valutazione di non sussistenza, nel paese di provenienza del ricorrente, di un conflitto armato generalizzato.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non aver il tribunale ritenuto sussistenti le condizioni di vulnerabilità del ricorrente, nell’ipotesi di rientro forzoso in patria.
4. Il ricorso è infondato.
4.1 Il primo motivo è infondato.
1.1.1 Le doglianze sollevate dal ricorrente risultano in contrasto con quanto recentemente affermato dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte (cfr. Sez. U, Sentenza n. 5425 del 26/02/2021) secondo cui verbatim “Ne’ la validità del processo è inficiata dalla circostanza che il giudice onorario, delegato all’attività istruttoria, non fa poi parte del collegio giudicante. Da tempo, infatti, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte l’avviso che nei procedimenti camerali – qual è quello di cui qui si discute, ai sensi del D.Lgs. n. 13 del 2017, art. 3, comma 4-bis, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 9, – il principio dell’immutabilità del giudice, sancito dall’art. 276 c.p.c., opera con esclusivo riferimento al momento in cui la causa è introitata in decisione, e pertanto non viene violato per il fatto che il collegio in tale momento abbia una composizione diversa da quella di precedenti fasi processuali (Cass., Sez. I, nn. 545 del 1981, 2350 del 1990, 19216 del 2005; Sez. II, n. 452711984), sicché non rileva la circostanza che il giudice che ha proceduto all’attività istruttoria non faccia poi parte del collegio giudicante (Cass., Sez. I, nn. 7757 del 1990, 20166 del 2004, 5060 del 2007, 16738 del 2011… La rilevanza dell’articolazione del giudizio civile in fasi, ai fini del principio di immodificabilità del giudice, è del resto esplicitata nella stessa disciplina fondamentale dell’immutabilità dei giudice nel processo civile, quella dettata per il rito ordinario dall’art. 276 c.p.c., comma 1, secondo periodo: a mente del quale alla decisione “possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione”, non anche all’istruzione”.
1.1.2 Occorre invero precisare che al giudice onorario possono essere delegati, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, comma 11, “compiti e attività” processuali, tra i quali ben può rientrare la celebrazione dell’udienza prevista dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 10 e 11 (senza dubbio facente parte della “trattazione” riservata al componente del collegio all’uopo designato e dal medesimo, quindi, delegabile al giudice onorario ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, comma 11, cit.) ed anche l’audizione del richiedente. Tuttavia, tale udienza non è da confondere con l’udienza di discussione di cui all’art. 275 c.p.c., la quale è prevista in realtà nel rito ordinario di cognizione, mentre il processo di protezione internazionale segue un suo rito speciale, disciplinato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, cit., sull’impianto del rito camerale di cui agli artt. 737 c.p.c. e ss., che non prevede una “udienza di discussione”, quale atto iniziale della “fase” di decisione propria del rito ordinario.
1.1.3 Inoltre, la dedotta non appartenenza del g.o.t. alla sezione specializzato pone semmai una questione “tabellare”, riguardante l’organizzazione interna dell’ufficio, e non la nullità per difetto di costituzione del giudice.
4.2 Il secondo motivo è inammissibile.
4.2.1 Giova ricordare che, in relazione alla dedotta violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), denunciata con riguardo al mancato approfondimento istruttorio officioso relativo alla situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che, alla stregua delle indicazioni ermeneutiche impartite da questa Corte, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (Grande Sezione, 18 dicembre 2014; C-542/13, par. 36; C-285/12; C-465/07), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 13858 del 31/05/2018).
Il motivo – articolato in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c, – è inammissibile perché volto a sollecitare questa Corte ad una rivalutazione delle fonti informative per accreditare, in questo giudizio di legittimità, un diverso apprezzamento della situazione di pericolosità interna della ***** (*****), giudizio quest’ultimo inibito alla corte di legittimità ed invece rimesso alla cognizione esclusiva dei giudici del merito, la cui motivazione è stata articolata – sul punto qui in discussione – in modo adeguato e scevro da criticità argomentative, avendo specificato, anche tramite la consultazione di qualificate fonti di informazione internazionale, che nel predetto paese asiatico non si assiste ad un conflitto armato generalizzato, tale da integrare il pericolo di danno protetto dalla norma sopra ricordata.
4.2.2 In relazione, poi, alle doglianze declinate sulla dedotta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, rileva il Collegio che, come ancora chiarito da Cass. n. 16295/2018, in tema di valutazione della credibilità soggettiva del richiedente e di esercizio, da parte del giudice, dei propri poteri istruttori officiosi rispetto al contesto sociale, politico e ordinamentale del Paese di provenienza del primo, la valutazione del giudice deve prendere le mosse da una versione precisa e credibile, benché sfornita di prova (perché non reperibile o non richiedibile), della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perché il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine (cfr. Cass. nn. 21668/2015 e 5224/2013). Principio analogo è stato, peraltro, ribadito dalle più recenti Cass. nn. 17850/2018 e 32028/2018. Ed invero, le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 16295/2018; Cass. n. 7333/2015). Ad avviso di questa Corte, peraltro, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione di tali informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro, addebitarsi la mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi, in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione, riferita a circostanze non dedotte.
Nella specie, il Tribunale di Ancona ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità della richiedente (cfr., amplius, fol. 4-5 del decreto impugnato) sulla base di plurimi elementi ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza ed incoerenza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.
Si tratta, all’evidenza, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 683 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile ratione temporis) come delimitato, quanto al suo concreto perimetro applicativo, da Cass., SU, n. 8053 del 2014.
4.3 Anche il terzo motivo è inammissibile.
La doglianza è inammissibile perché la stessa non censura la ratio decidendi principale posta a sostegno dell’invocata protezione umanitaria che, sul punto qui da ultimo in discussione, ha espresso una valutazione di non credibilità del racconto che copriva tutte le ragioni di vulnerabilità collegate alla vicenda personale del ricorrente.
Nel resto la censura si compone solo di generiche rimostranze, svolte in fatto, sul giudizio comparativo (Cass. 4455/2018), profilo quest’ultimo sul quale il tribunale ha peraltro adeguatamente motivato, con valutazioni che ora sono qui censurabili solo attraverso le strette maglie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio qui neanche prospettato.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.
Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 96602019.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2021