Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.22305 del 05/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO G.M. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CASTORINA R.M. – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23962/2012 R.G. proposto da:

Pirelli & C. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, piazza d’Aracoeli n. 1, presso lo studio degli avv.ti Guglielmo Maisto e Marco Cerrato, che la rappresentano e difendono giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 19/50/12, depositata il 10 febbraio 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 dicembre 2020 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Mucci Roberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Uditi l’avv. Marco Cerrato per la ricorrente e l’avv. Fabrizio Urbani Neri per la controricorrente.

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza n. 19/50/12 del 10/02/2012, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 07/02/10 della Commissione tributaria provinciale di Milano (di seguito CTP), che aveva a sua volta accolto il ricorso proposto da Pirelli & C. s.p.a. (di seguito Pirelli) e concernente un avviso di accertamento per IVA relativa all’anno d’imposta 2004.

1.1. Come emerge anche dalla sentenza impugnata, la società contribuente svolgeva sia attività esente IVA (attività finanziaria) sia attività imponibile (attività di servizi), optando per il regime di applicazione separata dell’imposta. L’avviso di accertamento veniva emesso, nella prospettiva dell’Amministrazione finanziaria, in ragione di una eccessiva detrazione dell’IVA conseguente ad non corretto criterio di imputazione pro quota dei costi alle due attività, avendo il criterio seguito da Pirelli in qualche modo privilegiato l’attività imponibile.

1.2. La CTR, per quanto ancora d’interesse, motivava l’accoglimento dell’appello dell’Ufficio evidenziando che: a) l’appello proposto aveva rispettato tutte le condizioni indicate dal legislatore al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, avendo specificato e sviluppato sufficientemente i motivi; b) i ricavi conseguenti alla vendita delle partecipazioni dovevano essere computati nel volume di affari dell’attività finanziaria, diversamente da quanto fatto dalla società contribuente, trattandosi non già di operazione eccezionale, ma rientrante nell’ambito dell’attività professionalmente svolta da Pirelli ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 113 (Testo unico bancario – TUB); c) ai fini del calcolo delle percentuali di incidenza dei costi e con riferimento all’attività di servizi devono considerarsi sia la cessione di un terreno edificabile, del valore di Euro 2.700.000,00, sia le prestazioni rese in favore di società del gruppo, del valore di Euro 54.091.409,00, per le quali erano stati individuati analiticamente i costi, sicché non vi erano costi promiscui da imputare; d) i criteri utilizzati da Pirelli al fine di ripartire i costi del personale (personale addetto) e i costi amministrativi (numero delle fatture) si erano rivelati inattendibili, sicché doveva trovare applicazione il solo criterio del volume d’affari.

2. Pirelli impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi e depositava memoria ex art. 378 c.p.c..

3. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso Pirelli deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la CTR ritenuto inammissibile, per difetto di specificità dei motivi, un appello con il quale l’Ufficio denunciava il vizio di motivazione della sentenza impugnata e quindi si riportava integralmente alle proprie difese in primo grado.

2. Il motivo è infondato.

2.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “nel processo tributario la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci” (così da ultimo, Cass. n. 32954 del 20/12/2018).

2.1.1. Ciò in ragione del carattere devolutivo pieno dell’appello nel giudizio tributario, costituente un mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. n. 32838 del 19/12/2018; Cass. n. 30525 del 23/11/2018; Cass. n. 1200 del 22/01/2016), sicché l’onere di specificità dei motivi può ritenersi assolto anche allorquando l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado (Cass. n. 24641 del 05/10/2018).

2.1.2. Del resto, “nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 preleggi, trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione” (Cass. n. 707 del 15/01/2019).

2.2. Nel caso di specie, l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, denunciando l’erroneità della motivazione della sentenza impugnata e richiamando le argomentazioni già esposte in primo grado, assolve pienamente alla funzione di contestare la decisione di primo grado.

3. Con il secondo motivo di ricorso si contesta violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 36, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziandosi che i criteri di imputazior e dei costi adottati da Pirelli con riferimento all’anno d’imposta 2004 sarebbero pienamente conformi a legge e rispettosi della realtà aziendale, come richiesto dalla Corte di giustizia della UE e dagli stessi documenti di prassi, sicché la pretesa del giudice di appello di applicare unicamente il criterio residuale fondato sul volume d’affari sarebbe illegittima.

4. Il motivo è inammissibile.

4.1. Come già evidenziato da Cass. n. 6255 del 20/04/2012, secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 36, comma 3, i soggetti che esercitano più attività, esenti ed imponibili, nell’ambito della stessa impresa “hanno facoltà di optare per l’applicazione separata dell’imposta relativamente ad alcuna delle attività esercitate”. In tal caso “la detrazione di cui all’art. 19 spetta a condizione che l’attività sia gestita con contabilità separata ed è esclusa (..) per l’imposta relativa ai beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente”.

4.1.1. I predetti soggetti, che hanno optato per la contabilità separata ai fini dell’IVA, come nella specie Pirelli, hanno quindi diritto alla detrazione solo se si verificano due condizioni: a) che l’attività per cui si ha diritto sia gestita effettivamente con contabilità separata; b) che l’imposta, di cui si chiede la detrazione, non riguardi “beni non ammortizzabili utilizzati prombscuamente”, ossia destinati indistintamente alle diverse attività esercitate (cfr. al riguardo Cass. n. 23177 del 17/11/2010).

4.1.2. Va, poi, evidenziato che, a mente del medesimo art. 36, successivo comma 5, “in tutti i casi in cui l’imposta è applicata separatamente per una determinata attività la detrazione di cui all’art. 19 (..) è ammessa per l’imposta relativa ai beni e ai servizi utilizzati promiscuamente, nei limiti della parte imputabile all’esercizio dell’attività stessa”.

4.2. Nel caso di specie, non è dubbio che i criteri elaborati da Pirelli per l’imputazione dei costi promiscui all’attività esente o all’attività imponibile siano astrattamente rispettosi della previsione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 36, comma 5, così come dedotto in ricorso. Tuttavia, la disposizione richiamata postula, ai fini della detrazione dell’IVA, la ripartizione in base alla concreta quota di utilizzo dei beni e servizi acquistati, con onere probatorio gravante sul contribuente, che non può dirsi assolto in base alla semplice enunciazione dei criteri applicati, asserendone la conformità alla realtà aziendale.

4.3. La CTR ha ritenuto che, in concreto, i criteri applicati da Pirelli con riferimento alle spese del personale e alle spese di amministrazione siano inattendibili: il primo perché il personale utilizzato dalla società contribuente è di gran lunga superiore a quello dichiarato; il secondo perché il numero delle fatture attive, da un lato, comprende anche quello nei confronti delle consociate e, dall’altro, non è idoneo ad intercettare quelle attività che assorbono notevoli costi promiscui pur essendo riconducibili ad una sola fattura. Secondo il giudice di appello, pertanto, ai fini della ripartizione dei costi promiscui, il criterio più adeguato da applicare alla situazione aziendale di Pirelli è sempre quello del volume d’affari.

4.4. La censura proposta dalla ricorrente non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata., la quale non esclude, in astratto, la ripartibilità dei costi promiscui secondo i criteri indicati dalla società contribuente, ma ne ha verificato, in concreto, l’inadeguatezza e ha ritenuto applicabile alla specifica situazione aziendale il criterio del volume d’affari.

4.5. Non si configura, pertanto, alcuna violazione del dato normativo, come lamentato da Pirelli; la quale, piuttosto, finisce per contestare la valutazione di inadeguatezza dei criteri utilizzati formulata dalla CTR, così sconfinando in un inammissibile esame del merito della controversia.

4.6. Le superiori considerazioni rendono del tutto superfluo il chiesto rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia della UE, non essendo in contestazione l’astratta utilizzabilità di criteri diversi dal volume d’affari, criteri che in concreto si sono, peraltro, rivelati inidonei alla corretta imputazione dei costi promiscui.

5. Con il terzo motivo di ricorso Pirelli contesta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 bis, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo la CTR erroneamente ritenuto che i proventi della cessione di partecipazioni effettuata dalla società contribuente avrebbero dovuto essere ricompresi nel volume d’affari concernente l’attività esente, trattandosi di attività fuori campo IVA e intrapresa al di fuori dell’ambito della attività economica caratteristica.

6. Il motivo è fondato.

6.1. La sentenza impugnata ha ritenuto che il corrispettivo della vendita di partecipazioni, pari a Euro 92.717.259,00, rientri nel volume di affari relativo all’attività finanziaria svolta da Pirelli, la quale, essendo iscritta nell’elenco generale dei soggetti operanti nel settore finanziario, eserciterebbe proprio l’attività di intermediazione finanziaria, sicché non potrebbe essere obiettata l’eccezionalità dell’operazione di dismissione realizzata.

6.2. In realtà, come correttamente osservato dalla società contribuente, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 bis prevede che nel calcolo del pro rata di detraibilità non rientrino le operazioni esenti che non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo o che siano accessorie alle operazioni imponibili. Sicché va escluso che, nell’ambito di queste ultime, possano essere ricomprese le operazioni su titoli (nella specie, cessioni di partecipazioni) che siano svolte occasionalmente dal contribuente e che, dunque, siano estranee all’oggetto proprio della sua attività commerciale (si veda da ultimo, con ampi riferimenti alla giurisprudenza unionale, Cass. n. 21109 del 02/10/2020, alla cui ampia motivazione si rimanda).

6.3. La CTR ha ritenuto che le operazioni di cessione compiute da Pirelli rientrino, in via generale, nell’ambito dell’attività commerciale propria della società per il semplice fatto che la stessa sia iscritta nell’elenco generale degli intermediari finanziari; il giudice di appello, tuttavia, non ha eseguito alcuna valutazione in concreto sulla tipologia di cessione effettuata (cfr. Cass. n. 12689 del 25/06/2020; Cass. n. 5970 del 14/03/2014), verificando se la società sia abitualmente dedita al compimento di operazioni similari ovvero, come sostenuto dalla ricorrente, detta operazione abbia carattere eccezionale e non sia riconducibile all’attività commerciale normalmente svolta.

6.4. La CTR e’, pertanto, incorsa in un classico vizio di sussunzione, non avendo esaminato tutti i presupposti di fatto necessari per fare rientrare l’operazione di cessione oggetto del presente giudizio nella disciplina del pro rata di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 bis.

6.5. Trattasi di accertamento che, involgendo l’esame di questioni di merito, va rimesso al giudice del rinvio.

7. Con il quarto motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, motivazione insufficiente circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, costituito dall’adozione del criterio del full cost da parte di Pirelli al fine di determinare il prezzo di vendita dei servizi espletati nei confronti delle consociate. Nella prospettazione della ricorrente, il criterio del full cost costituisce semplicemente una modalità di determinazione del prezzo al fine di evitare che la società contribuente debba cedere servizi sotto costo, ma non implica – a fini fiscali – che tale cessione di servizi abbia già scontato i costi di produzione, sicché l’importo dei servizi ceduti alle società facenti parte del gruppo non potrebbe essere escluso dal volume d’affari dell’attività finanziaria ai fini del computo del pro rata di detraibilità.

8. Il motivo è fondato.

8.1. Posto che alla censura si applica l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione anteriore alla novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile alle sentenze di appello pubblicate successivamente all’11 settembre 2012, la motivazione della CTR non si è confrontata con le deduzioni espresse dalla parte ricorrente in ordine all’utilizzazione del criterio del full cost e deve, pertanto, ritenersi insufficiente.

8.2. Invero, la sentenza impugnata ha affermato che, secondo i contratti di vendita, la determinazione del corrispettivo dei servizi effettuati in favore delle società del gruppo deve tenere conto dei corrispondenti costi e, quindi, deve comprendere tutti i costi sostenuti. Ne consegue che, avendo la società contribuente già individuato i costi analiticamente sostenuti per tali servizi, non vi sarebbero costi promiscui da imputare ai fini della determinazione del pro rata di detrazione.

8.2.1. Dalla concisa esposizione dei giudici di appello sembra evincersi che la determinazione del corrispettivo secondo il criterio del full cost implicherebbe che i costi sostenuti per i servizi prestati alle società del gruppo sarebbero già stati computati dalla società contribuente, sicché non vi sarebbero costi promiscui da computare.

8.3. Tuttavia, il ragionamento della CTR non ha tenuto conto di quanto dedotto da parte ricorrente e, cioè, che il criterio del full cost sarebbe stato utilizzato da Pirelli unicamente a fini gestionali: servirebbe a determinare il prezzo di vendita dei servizi al fine di evitare un ricavo inferiore al costo di produzione dei beni, ma non implicherebbe affatto che il prezzo di vendita abbia già scontato i costi di produzione, tra i quali potrebbero rientrare anche costi promiscui (ad es., quelli per il personale o quelli amministrativi, che sono comuni all’attività esente e all’attività imponibile).

8.4. In buona sostanza, la CTR non ha spiegato le ragioni per le quali, nella specifica circostanza, il criterio del full cost non costituisca una semplice modalità di determinazione del prezzo di vendita dei servizi, ma implichi che l’erogazione di tali servizi abbia già scontato gli specifici costi necessari alla loro produzione, costi, dunque, non promiscui.

8.5. Del resto, vale la pena di osservare che, essendo l’attività di servizi imponibile, ove i costi dei servizi effettuati nei confronti di società del gruppo debbano essere espunti dal volume d’affari ai fini del calcolo del pro rata di detraibilità, l’IVA agli stessi afferente dovrebbe essere portata integralmente in detrazione.

8.6. La sentenza impugnata va, dunque, cassata in parte qua, con rinvio alla CTR della Lombardia per nuovo esame.

9. Con il quinto motivo di ricorso si contesta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente con riferimento al capo concernente l’irrogazione delle sanzioni. Invero, la CTR si sarebbe limitata ad affermare che “le sanzioni seguono come per legge”, senza considerare che, nei precedenti gradi di giudizio, Pirelli abbia eccepito l’inapplicabilità delle sanzioni ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, nonché della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3.

10. Con il sesto motivo di ricorso sii deduce violazione e falsa applicazione delle menzionate disposizioni di legge, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, evidenziando che la CTR avrebbe comunque errato nel non riconoscere, in ipotesi, la sussistenza di quelle obiettive condizioni di incertezza normativa idonee a giustificare la non applicazione delle sanzioni.

11. I due motivi sono proposti in via subordinata all’accoglimento dei precedenti motivi e, dunque, possono essere esaminati (congiuntamente, per ragioni di connessione) unicamente con riferimento alla ripresa oggetto del secondo motivo di ricorso, che ha trovato conferma in sede di legittimità. Invero, l’ulteriore questione posta con il terzo motivo di ricorso (accolto) è stata rimessa al giudice del rinvio, con conseguente venir meno dell’interesse di Pirelli in parte qua.

11.1. Ciò premesso, i motivi – per la parte in cui si procede in questa sede al loro esame – sono complessivamente infondati.

11.2. Non è dubbio che la CTR, rigettando implicitamente l’eccezione di parte ricorrente in ordine alla inapplicabilità delle sanzioni, ha motivato solo apparentemente sulla questione dell’esistenza delle obiettive condizioni di incertezza normativa idonee a giustificare l’inapplicabilità delle sanzioni.

11.2. Tuttavia, il rilievo – che può essere esaminato allo stato degli atti, senza necessità di ulteriori approfondimenti in fatto – deve ritenersi, comunque, infondato. Invero, come chiarito in precedenza, la CTR non ha posto in discussione la legittimità del criterio in astratto applicato da Pirelli con riferimento alla ripartizione dei costi promiscui, ma ha unicamente ritenuto che detto criterio si rivela inidoneo nella sua concreta applicazione, sicché non si pone nemmeno la questione di obiettiva incertezza normativa per contrasto tra giurisprudenza e prassi.

11.3. Va poi dichiarata inammissibile in quanto del tutto nuova l’eccezione, proposta per la prima volta con la memoria ex art. 378 c.p.c., per la quale le sanzioni non risponderebbero al principio di proporzionalità, riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia della UE.

12. Con riguardo, poi, alla dedotta applicazione dello ius superveniens, costituito dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158 (si veda la menzionata memoria, pag. 22-25), la questione va integralmente rimessa al giudice del rinvio, in ragione dell’accoglimento del terzo motivo di ricorso e dell’applicazione, in sede di avviso di accertamento, del cumulo giuridico, per come rappresentato dalla ricorrente. Ne consegue che le sanzioni dovranno essere eventualmente rideterminate a seconda dell’esito della lite.

13. In conclusione, vanno accolti il terzo ed il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri. La sentenza impugnata va cassata e rinviata, in relazione ai motivi accolti, alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il terzo e quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Si dà atto che, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 3, la presente sentenza è sottoscritta unicamente dal Presidente del Collegio per impedimento del Consigliere estensore a recarsi nella città di Roma in ragione dell’emergenza sanitaria Covid-19.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021

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