LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FASANO Anna Maria – Presidente –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –
Dott. TADDEI Margherita – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24307-2016 proposto da:
M.A.N., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ELVIA RECINA, 19, presso lo studio dell’avvocato ANGELA FERRARI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1386/2016 della COMM. TRIB. REG. LAZIO, depositata il 16/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/04/2021 dal Consigliere Dott. MARGHERITA TADDEI.
RITENUTO
che:
M.A.N. impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma l’avviso di liquidazione dell’imposta e irrogazione di sanzioni n. ***** per un totale di Euro 62.921,31 con il quale vengono revocate le agevolazioni prima casa, in quanto l’abitazione per le quali era stata richiesta era una abitazione di lusso. Il contribuente aveva richiesto le agevolazioni “prima casa” per l’acquisto di un appartamento sito in *****, categoria A/7, classe 9, vani 17, al prezzo di Euro 1.970,000.
Nella specie l’avviso di liquidazione traeva origine dall’allegata nota dell’Agenzia del territorio, con cui l’ufficio aveva accertato che l’area coperta dell’immobile era di mq 255, 74 mentre l’area scoperta era 8,35 volte l’area coperta.
Il ricorrente deduceva, producendo una perizia tecnica, che la superficie calpestabile netta era pari a complessivi mq. 232, 38, in quanto la maggiore superficie era dovuta ad un refuso nell’accatastamento originario, in cui anziché “cantine” figurava lavanderia.
L’adita commissione rigettava il ricorso con sentenza n. 11491/20/2014. Il contribuente proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, con decisione n. 1386/20/16, respingeva il gravame.
M.A.N. ricorre per la cassazione della sentenza svolgendo un unico motivo. L’Agenzia delle Entrate non ha svolto difese, costituendosi al solo fine della eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo di ricorso, sì denuncia testualmente: “Violazione e falsa applicazione D.L. n. 78 del 2010, in relazione al R.D. L. n. 652 del 1939 (L. n. 1249 del 1939), Circolare Agenzia del territorio del 9 luglio 2010, n. 2. D.M. dei Lavori Pubblici 2 agosto 1969, agli artt. 5 e 6 – Omesso e/o erroneo esame di fatti decisivi per il giudizio già oggetto di discussione fra le parti- Omessa e/o erronea valutazione degli elementi di prova e di fatto – Mancata valutazione del docfa del 8.4.2014 avente ad oggetto la richiesta di correzione dell’errore materiale presente nell’accatastamento originario del 3.7.2009 – Prevalenza delle risultanze del contenuto letterale della nota/relazione tecnica rispetto alla rappresentazione grafica della planimetria allegata al Docfa/accatastamento originario”.
Il ricorrente deduce che il Collegio di secondo grado, erroneamente, avrebbe ritenuto di non poter valutare ed adeguatamente considerare le conseguenze giuridiche derivanti dalla documentazione prodotta in atti da parte ricorrente. Si lamenta che risulterebbe, al di là delle contrarie deduzioni del Collegio di primo e secondo grado, che il contribuente avrebbe, mediante Docfa dell’8.4.2014, provveduto alla rettifica del refuso contenuto dell’accatastamento originario del 3.7.2009, chiarendo la reale consistenza dell’immobile.
1.1. Le critiche sono inammissibili sotto vari profili.
Questa Corte, in più occasioni, ha rilevato come: “In tema di ricorso per cassazione è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimenti alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto diversi profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi di fatto in relazione ai quali si deve decidere della violazione o della falsa applicazione della norma e del vizio di motivazione che quegli elementi intende precisamente rimettere in discussione…. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurre ad uno dei mezzi di impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuente inammissibilmente al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del contribuente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Cass. n. 26874 del 2018). La prospettazione del motivo, che illustra contestualmente mescolando vizi di violazione di legge e di motivazione della sentenza impugnata, non consente di apprezzare quali elementi e quali profili della decisione integrino le critiche proposte e sotto quale specifico aspetto.
1.2. Le critiche, inoltre, sono inammissibili perché difettano di autosufficienza. Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, “va inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgano ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata localizzazione del documento basta a dichiarare l’inamissibilità del ricorso”(Cass. n. 28184 del 2020). A tale onere processuale non si è ottemperato. Il contribuente, inoltre, pur avendo denunciato l’omessa valutazione di prove documentali non ha riportato in ricorso il contenuto dei documenti che si assume non essere stati valutati dal giudice del merito, pure avendo “l’onere non solo di trascrivere il testo integrale o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanza che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate dal giudice del merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assume il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancor meno di considerare i documenti stessi ai fini della decisione (nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con il quale la parte si era limitata ad indicare i documenti non esaminati dal giudice di merito senza trascrivere specificamente il contenuto” (Cass. n. 13625 del 2019). Anche al fine di comprendere la decisività delle censure, il ricorrente avrebbe dovuto ripotare in ricorso il contenuto della Docfa del 8.4.2014, dell’accatastamento del 3.7.2009, delle relative planimetrie e del rogito relativo all’atto di compravendita dell’immobile oggetto di accertamento.
1.3. Le critiche sono, altresì, inammissibili, perché, benché illustrate come violazione di legge o vizio di motivazione, sono nella sostanza finalizzare a sollecitare la Corte ad una inammissibile rivalutazione del fatto già effettuata dal giudice del merito, il quale ha congruamente e logicamente motivato, rilevando che: “E’ di tutta evidenza che nel rapporto tra atto pubblico datato 15.7.2009 e perizia tecnica, la richiesta di correzione di errore non è stata idoneamente formalizzata, si ché l’Ufficio ha conferito valore poziore alle risultanze del rogito”.
2. In definitiva il ricorso va rigettato.
Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva della parte intimata.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio tenutasi in modalità “da remoto”, il 6 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021