LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –
Dott. LEUZZI Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9142 del ruolo generale dell’anno 2015 proposto da:
Quadrifoglio Scavi s.r.l., in persona del custode fallimentare e rappresentata e difesa dall’Avv. Guerrini Elido per procura a margine del ricorso, elettivamente domiciliata in Roma, via Vallisneri, n. 11, presso lo studio dell’Avv. Pacifici Chiara;
– ricorrente principale –
contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e nei confronti di:
Colsereno s.r.l.;
– intimata –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, n. 1877/30/2014, depositata in data 29 settembre 2014;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2021 dal Consigliere Triscari Giancarlo.
RILEVATO
Che:
dall’esposizione in fatto della sentenza censurata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato alle società Quadrifoglio Scavi s.r.l. e Colsereno s.r.l. degli avvisi di accertamento relativi agli anni 2004 e 2005 per maggiore Ires, Irap e Iva, in relazione alla cessione di contratti preliminari a titolo oneroso con ripresa a tassazione dei maggiori ricavi, consistenti nel corrispettivo delle somme versate a titolo di caparra confirmatoria, e degli importi relativi agli interessi legali applicati sui versamenti effettuati a titolo di caparra confirmatoria; veniva, inoltre, contestato che la vendita del complesso immobiliare in favore della Colsereno s.r.l., avvenuta nella medesima data di acquisto, aveva determinato indebiti vantaggi fiscali, con conseguente non deducibilità dei costi e non detraibilità dell’Iva; veniva, altresì, contestato che i finanziamenti disposti da Quadrifoglio Scavi s.r.l. alla Colsereno s.r.l. erano privi di giustificazione e costituivano, in via presuntiva, pagamenti eseguiti a fronte di prestazioni ricevute senza l’emissione di fatture, nonché il fatto che la società aveva contabilizzato fatture per operazioni inesistenti in relazione a prestazioni pubblicitarie; avverso gli atti impositivi le società avevano proposto separati ricorsi che, previa riunione, erano stati accolti dalla Commissione tributaria provinciale di Lucca; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale della Toscana ha accolto parzialmente l’appello, in particolare ha ritenuto che: le società avevano stipulato un contratto per persona da nominare e non una cessione di contratto, mancando, ai fini della realizzazione di quest’ultima operazione negoziale, il consenso trilaterale, sicché il pagamento compiuto da Colsereno s.r.l. alla Quadrifoglio Scavi s.r.l. costituiva rimborso del credito vantato per effetto dell’originario versamento della caparra confirmatoria al promittente venditore da parte della Quadrifoglio Scavi s.r.l. e, quindi, mero regolamento dei rapporti di credito/debito tra le due società; con riferimento, poi, alle operazioni inesistenti, la concomitanza dell’acquisto e della rivendita del complesso immobiliare, il ristretto legame di parentela tra i soci delle due società, l’effetto di non fare gravare su Quadrifoglio Scavi s.r.l. la plusvalenza che si veniva a determinare, costituivano fatti gravi, precisi e concordanti idonei all’accertamento della sottrazione di elementi imponibili; erano, infine, da considerare fittizi i costi per le spese di sponsorizzazione, attesa l’inesistenza e l’inoperatività della ditta G.M.;
avverso la pronuncia del giudice del gravame ha quindi proposto ricorso principale la società Quadrifoglio Scavi s.r.l. affidato a tre motivi, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso contenente ricorso incidentale, affidato a un unico motivo;
la società Colsereno s.r.l. è rimasta intimata.
CONSIDERATO
Che:
con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in relazione all’art. 132 c.p.c., e agli artt. 2699 e 2700 c.c.;
in particolare, la ricorrente principale lamenta che il giudice del gravame, nell’esaminare la questione relativa alla non deducibilità dei costi e alla non detraibilità dell’Iva conseguente alla rivendita del complesso immobiliare da parte di Colsereno s.r.l. a Quadrifoglio s.r.l., avrebbe omesso di considerare la valenza probatoria dell’atto pubblico di vendita, che fa prova fino a querela di falso, nonché le ulteriori prove documentali (il pagamento del prezzo, la trascrizione del contratto, le fatture e le annotazioni nella contabilità della società, le stime sul valore dell’immobile) che comprovano l’effettività della vendita; inoltre, lamenta la non corretta applicazione delle regole presuntive, essendosi la pronuncia censurata limitata ad una valutazione astratta del regime delle presunzioni senza alcuno specifico riferimento al caso di specie, con conseguente non corretta ricognizione della fattispecie concreta;
con il secondo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 132, c.p.c., al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, all’art. 118, disp. att. c.p.c., all’art. 163 TUIR e al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67;
in particolare, evidenzia che, differentemente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, gli importi pagati a seguito delle due cessioni non avevano arrecato alcun vantaggio fiscale per le società, poiché, se da un lato era vero che Quadrifoglio s.r.l. aveva iscritto in contabilità i costi relativi all’immobile riacquistato per un importo superiore a quello di vendita, tuttavia, nel conto economico dell’esercizio 2005, aveva inserito ricavi per rimanenze relative al medesimo immobile di pari importo, sicché non si era in alcun modo alterata la misura del risultato di esercizio e, quindi, del reddito di impresa; inoltre, evidenzia che, in ogni caso, il disconoscimento dei costi senza rettifica anche dei relativi ricavi comporta una non consentita doppia imposizione fiscale; infine, lamenta che il giudice del gravame non ha in alcun modo esplicitato, con argomentazione logica ed adeguata motivazione, come sia possibile ricondurre i costi in esame ad operazioni inesistenti, nonostante la documentazione prodotta;
i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, sono inammissibili;
invero, la ricorrente principale, con il primo motivo di ricorso, prospetta questioni che attengono ora al vizio di motivazione della sentenza, per avere omesso di esaminare il fatto, decisivo, della sussistenza di prove documentali, fra cui l’atto pubblico di vendita, comprovanti l’effettività della cessione, ora a vizi di violazione di legge, riconducibile alla valenza probatoria dell’atto pubblico, che fa fede fino a querela di falso, nonché alla non corretta applicazione delle regole presuntive, non avendo proceduto ad una corretta disamina logico-giuridica della presunzione in relazione al caso concreto;
anche relativamente al secondo motivo di ricorso principale, si introducono profili di censura che attengono ora a vizi di motivazione della sentenza (l’omesso esame della circostanza che i maggiori costi erano stati pareggiati dall’inserimento di ricavi per rimanenze relative all’immobile medesimo di pari importo), ora a vizi di violazione di legge (il disconoscimento dei costi deve, comunque, tenere conto dei ricavi), ora alla mancanza di logica e coerente motivazione sui documenti e sulle eccezioni prospettate dalla contribuente nonché alla carente illustrazione delle critiche mosse agli avvidi di accertamento;
si tratta, a ben vedere, di diverse ragioni di doglianza che attengono a diversi profili, fra quelli contenuti nell’art. 360 c.p.c., comma 1, prospettate nell’ambito del medesimo motivo senza che possa, all’interno del contenuto complessivo del medesimo, individuarsi l’autonomia delle diverse censure, sicché, sotto tale profilo, i motivi di ricorso in esame si rivelano inammissibili;
peraltro, con riferimento alla deducibilità del vizio di motivazione, va osservato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Cass. Sez. U., 28 ottobre 2020, n. 23746; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053) l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito dalla L. n. 134 del 2012, deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione ed è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione;
peraltro, priva di specificità è la ragione di doglianza relativa all’inserimento di ricavi per rimanenze relative all’immobile medesimo di pari importo, in mancanza di allegazione sul punto; con il terzo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in relazione all’art. 132 c.p.c., e all’art. 1697 c.c.;
in particolare, la ricorrente principale censura la sentenza per non avere esaminato, con riferimento alla questione della deducibilità dei costi relativi alle operazioni pubblicitarie, la documentazione prodotta da cui, invece, evincere, che le suddette operazioni erano state effettivamente realizzate e, inoltre, per non avere considerato che la contribuente non aveva il potere di controllare se il soggetto che aveva emesso le fatture aveva provveduto al versamento dell’Iva;
il motivo è inammissibile;
il giudice del gravame ha, sul punto, compiuto un accertamento in fatto, avendo ritenuto che le fatture per spese di sponsorizzazione erano relative a operazioni fittizie in quanto la ditta G.M. era inesistente e non operativa;
questa ragione della decisione, basata sull’accertamento dell’inesistenza del soggetto che ha emesso la fattura, non è stata aggredita con il motivo di ricorso in esame, incentrato, invece, sul mancato esame di documenti che proverebbero l’effettività delle operazioni;
sotto questo profilo, pertanto, la doglianza del mancato esame della documentazione (pagamenti, materiale fotografico, fatture) non è conferente con la ratio della decisione che ha definito la questione e che si era basata sulla considerazione della inesistenza del soggetto che ha emesso le fatture;
d’altro lato, va altresì osservato che alla fattispecie si applica l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito dalla L. n. 134 del 2012, e che, secondo questa Corte, deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione ed è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 28 ottobre 2020, n. 23746; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014 n. 8053);
il giudice del gravame, come detto, ha esaminato la questione della inesistenza delle operazioni di cui alle fatture in contestazione ed ha ritenuto, con un accertamento in fatto non censurabile in questa sede, che le stesse non erano riferibili ad operazioni effettivamente realizzate in quanto il soggetto che aveva emesso le fatture non era esistente ed era non operativo;
con l’unico motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, , del D.P.R. n. 33 del 1972, art. 54, nonché degli artt. 1401-1410 c.c., e dll’art. 1362 c.c. e ss. per avere ritenuto che il trasferimento del complesso immobiliare in favore di Colsereno s.r.l. non fosse conseguenza di una cessione di contratto intercorso tra quest’ultima e Quadrifoglio Scavi s.r.l., ma all’electio amici compiuta da quest’ultima sulla base della specifica clausola negoziale contemplata nel contratto preliminare di vendita stipulato, a sua volta, da Quadrifoglio Scavi s.r.l. con terzi promittenti venditori;
evidenzia la ricorrente incidentale che il giudice del gravame avrebbe omesso di considerare i diversi elementi sulla cui base, invece, l’amministrazione finanziaria aveva ricostruito diversamente la natura dell’operazione negoziale posta in essere;
il motivo è inammissibile;
il giudice del gravame ha compiuto una valutazione degli elementi desumibili dal contenuto dei contratti, preliminari e definitivi, e, alla luce del contenuto degli stessi, ha ritenuto che, nella fattispecie, era configurabile un contratto per persona da nominare, ponendo l’attenzione, in particolare, sulla circostanza che, ai fini della configurazione della cessione del contratto, era necessaria la prova del c.d. consenso trilaterale, cioè dell’accordo tra il contraente originario (cedente) ed il contraente ceduto nonché del nuovo contraente che subentra nel contratto, che assume la qualifica di cessionario;
il motivo di ricorso in esame, in realtà, non si misura con la ragione della decisione del giudice del gravame, basata, come detto, sulla inesistenza nel caso in esame di un accordo tra le parti del contratto finalizzato a consentire il subingresso del terzo nel rapporto contrattuale già costituito, ma si limita, genericamente, a prospettare circostanze non conferenti con la ragione della decisione, senza prospettare alcuna specifica critica alla stessa;
in conclusione, sono inammissibili i motivi di ricorso principale, è inammissibile il motivo di ricorso incidentale, con conseguente rigetto del ricorso principale e di quello incidentale e compensazione delle spese di lite del presente giudizio;
si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte:
rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensa le spese di lite;
dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 28 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021