Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.22392 del 05/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna R. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.G.M., elettivamente domiciliato in Prato, via Q.

Baldinucci, n. 71, presso lo studio dell’avv. Massimo Goti, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, *****;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LECCE, depositato il 4/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2020 dal Cons. Dott. PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto in data 4 ottobre 2018 il tribunale di Lecce ha rigettato il ricorso proposto da A.G.M. cittadino del ***** – avverso il provvedimento, emesso dalla locale Commissione territoriale, di diniego della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex artt. 2 e 14 o alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 32, comma 3, e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6.

Il ricorrente aveva dedotto di essere fuggito dal suo Paese d’origine per le minacce subite dagli zii per alcuni terreni, che il padre aveva ereditato dal nonno.

Il tribunale, in estrema sintesi, ha ritenuto che non sussistessero le condizioni prescritte dalla normativa per il riconoscimento di alcuno degli istituti correlati alla protezione internazionale.

2. A.G.M. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia, mentre il Ministero dell’Interno non resiste.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la “violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3 e 14 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente in ***** e all’omessa attività istruttoria in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, punto 5”. In particolare, il ricorrente si duole di non essere stato sentito dal tribunale, nonostante non fosse stata effettuata la videoregistrazione del colloquio nella fase amministrativa.

Il motivo è manifestamente infondato.

Il tribunale pugliese ha affermato che dal racconto del ricorrente non si desumevano fatti costitutivi del diritto al riconoscimento dello status di rifugiato e alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b).

A fronte di tale rilievo deve rilevarsi, innanzitutto, che questa Corte ha già avuto modo di affermare che, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente anche quello di procedere all’audizione del richiedente, purché sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla commissione territoriale o, se necessario, innanzi al tribunale. Ne deriva che il giudice può respingere una domanda di protezione internazionale se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione, svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (Sez. 1, n. 3029 del 31/01/2019, Rv. 652410; Sez. 6, n. 2817 del 31/01/2019, Rv. 652463-01; Sez. 6, n. 32073 del 12/12/2018, Rv. 652088).

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche è evidente che, nel caso in esame, non vi era l’obbligo di procedere all’audizione del ricorrente, non avendo egli neppure dichiarato di versare in una delle situazioni legittimanti la protezione invocata.

In difetto delle suddette dichiarazioni, non era sussistente neanche il dovere di cooperazione istruttoria.

In base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, infatti, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice si concretizza in presenza di allegazioni del richiedente precise, complete, circostanziate e credibili, e non invece generiche, non personalizzate, stereotipate, approssimative e, a maggior ragione, non credibili. Compete insomma all’interessato innescare l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria attraverso – in primis l’allegazione di situazioni sussumibili in quelle previste dalla normativa (vedi, per tutte: Cass. 12 giugno 2019, n. 15794).

Nella specie, come si è detto, il tribunale ha affermato che neppure sul piano delle allegazioni il ricorrente aveva indicato di versare in una situazione meritevole dell’invocata protezione, sicché nessun dovere di cooperazione può dirsi innescato.

3.1 Deve poi aggiungersi che il tribunale di Lecce – con indicazione delle fonti di conoscenza ed idonea motivazione (cfr. pagina 8 del decreto impugnato) – ha esaminato la situazione del Paese di origine del ricorrente e ha escluso una situazione di conflitto armato, a cui astrattamente riconnettere l’ipotesi prevista dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c).

Ne consegue che il provvedimento impugnato non si presta a censure di sorta nella parte in cui ha denegato il riconoscimento della protezione internazionale mentre le critiche del ricorrente risultano astratte e generiche, risolvendosi sostanzialmente nella mancata condivisione delle valutazioni di merito del tribunale.

4. Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32 nonché del vizio di omessa motivazione in relazione alla richiesta del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Sostiene di avere raggiunto una significativa integrazione in Italia (allegazione di cui la parte non deduce che la stessa fosse stata fatta valere nel giudizio di merito) e che incontrerebbe difficoltà economiche e materiali ove dovesse rientrare nel Paese di origine.

Le doglianze sono generiche e tese a sollecitare una diversa valutazione del merito della vicenda. Ciò a fronte di una motivazione del provvedimento impugnato scevra da vizi, essendo stato evidenziato che il ricorrente non aveva dedotto la sussistenza di condizioni di vulnerabilità soggettiva con riferimento alla vicenda personale narrata.

5. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Non deve essere assunta alcuna statuizione sulle spese processuali, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di legittimità. Sussistono i presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore contributo, così come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021

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