Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.22418 del 05/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7389/2018 proposto da:

O.J., elettivamente domiciliato in Roma Via Taranto 90 presso lo studio dell’avvocato Vinci Luciano Natale che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Mariani Giuseppe;

– ricorrente –

contro

Commissione Territoriale Protezione Internazionale Crotone, Ministero Dell’interno *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 385/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 25/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/03/2021 da MELONI MARINA.

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Potenza, con sentenza in data 25/7/2017, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale di Potenza in ordine alle istanze avanzate da O.J. nato in Nigeria il 19/1/1987, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dalla Nigeria aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di essere fuggito dal proprio paese in quanto su insistenza di un suo amico si era affiliato ad una confraternita scoprendo solo dopo che commetteva ogni sorta di crimine. Infatti quando avevano deciso ambedue di non farne più parte il suo amico era stato ucciso ed egli, temendo per la sua incolumità, aveva deciso di fuggire.

La Corte di Appello di Potenza in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito riteneva non attendibile la vicenda narrata e non credibile il ricorrente negando il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nonché una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Potenza il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché la Corte non aveva motivato la decisione.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta motivazione apparente, perplessa e incomprensibile in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e/o errata applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951; dell’art. 25, della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948; del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,7,14,16 e 17; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 15, comma 6; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1; artt. 10,2 e 32 Cost.. Si duole il ricorrente dell’erronea valutazione della situazione dal medesimo allegata da parte della Corte d’appello, censura il giudizio di non credibilità delle vicende narrate, assumendo che la motivazione sia meramente apparente. Deduce che la Corte d’appello non ha compiuto accertamenti istruttori ufficiosi violando il dovere di cooperazione istruttoria.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, comma 1; artt. 10,2 e 32 Cost., per mancata concessione della protezione umanitaria.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

In ordine al primo e secondo motivo di ricorso, in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la motivazione apparente ricorre quando la motivazione, pur essendo graficamente e, quindi, materialmente, esistente, come parte del documento in cui consiste la sentenza o altro provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053;Cass., Sez. U. 22 settembre 2014, n. 19881).

Con orientamento ormai consolidato e ribadito anche di recente, quindi, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost., sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819).

Nella fattispecie invece la Corte d’Appello ha motivato adeguatamente sul diniego della protezione richiesta ed ha ritenuto altresì l’irrilevanza del narrato in quanto ha escluso l’esistenza di una situazione di pericolo legata alla vicenda individuale dell’istante. Deve quindi essere escluso che la motivazione si presenti al di sotto del minimo costituzionale, essendo chiaro il costante riferimento alle prove ed in particolare alle condizioni del paese di origine ed al racconto reso dal dichiarante, esclusa la motivazione meramente assertiva o riferita solo complessivamente alle produzioni in atti (Cass. 30 maggio 2019, n. 14762).

In ordine al terzo motivo, contrariamente a quanto affermato nel ricorso, il giudice ha preso in considerazione la vicenda personale del ricorrente e i motivi che lo hanno indotto ad abbandonare il paese valutandone le dichiarazioni e ritenendolo non credibile anche perché dalle COI non risulta l’esistenza della ***** dalla quale il ricorrente dichiarava di essere stato minacciato. A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c), del D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età.

Alla luce di quanto sopra appare evidente che il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano ” considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. C) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. E). La Corte ha invece ritenuto che le dichiarazioni rese erano scarne e poco circostanziate oltre che contraddittorie e pertanto il ricorrente non era credibile.

La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5, non impone certo al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile e fantasioso anche perché i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3, sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.

In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. C), il Giudice ha correttamente ritenuto l’assenza di situazioni di violenza generalizzata ed indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nella zona d’origine del ricorrente, escludendo così il diritto alla protezione sussidiaria.

In ordine al dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, relativo all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine occorre considerare che la Corte territoriale non è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio né integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali della persona tenuto anche conto della dell’assenza di una situazione di conflitto generalizzata ex art. 14, lett. C), nella zona di provenienza secondo le informazioni aggiornate ed i siti online consultati e citati della cui idoneità non vi è motivo di dubitare e, stante la non credibilità del ricorrente, anche delle ipotesi di cui all’art. 14, lett. A) e B).

In ordine poi alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria alla luce della disciplina antecedente al D.L. 4 ottobre 2018, n. 13, convertito nella L. 1 dicembre 2018, n. 132, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass. S.U. 2019/29460) il ricorrente censura l’accertamento di merito compiuto dalla Corte in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente: tuttavia il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dal giudice di merito (in sé evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità, non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Per quanto sopra il ricorso deve essere rigettato. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2021

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