Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.22433 del 06/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7722-2018 proposto da:

B.L., C.P., CO.LU., FA.RO., c.o., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO, 58, presso lo studio degli avvocati BRUNO COSSU, e SAVINA BOMBOI, che li rappresentano e difendono;

– ricorrenti –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 560/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 31/08/2017 R.G.N. 1187/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza 31 agosto 2017, la Corte d’appello di Venezia, in accoglimento del gravame di Telecom Italia s.p.a., revocava i decreti del Tribunale di Venezia di ingiunzione della società al pagamento, in favore di B.L., Co.Lu., C.P., F.R. ed c.o. a titolo di mancato pagamento delle retribuzioni maturate in ragione dell’inefficacia della cessione del ramo d’azienda, con contratto 27 febbraio 2003, dalla predetta società a T.N. T. Logistics Italia s.p.a., poi Ceva Logistics s.p.a., e quindi del loro trasferimento ad essa (statuita dal Tribunale di Venezia con la sentenza 14 giugno 2006 n. 576, in giudicato) e della successiva perdita del posto di lavoro per il licenziamento loro intimato dalla cessionaria, con la reiezione delle domande di condanna della società cedente (in difetto della ricostituzione del rapporto di lavoro nonostante la condanna giudiziale a ciò con la suindicata sentenza) al pagamento in loro favore delle retribuzioni dalla costituzione in mora del 10 dicembre 2007. Essa rigettava invece l’appello della società nei confronti di Ba.Ge. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione dell’opposizione di Telecom Italia s.p.a. (come per tutti gli altri) avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dal predetto lavoratore al medesimo titolo;

2. a motivo della decisione, la Corte territoriale escludeva l’interesse ad agire dei lavoratori per avere, con verbale del 28 febbraio 2013, conciliato con Ceva Logistics s.p.a. la controversia relativa all’impugnazione del licenziamento da questa loro intimato (in esito a procedura di licenziamento collettivo) il 31 gennaio 2013, con rinuncia ad ogni pretesa da detta società “per qualsivoglia ragione o causa, dedotta e/o deducibile, che possa trovare origine o fondamento a qualsiasi titolo… nella cessione del ramo d’azienda da Telecom Italia s.p.a. a Ceva Logistics Italia con evidente riflesso della rinuncia anche nei confronti della cedente, sul presupposto dell’unicità del rapporto giuridico con Telecom e della sua continuità, per effetto dell’impugnazione da parte dei lavoratori del licenziamento loro intimato dalla cessionaria e della successiva rinuncia ad essa;

3. diversamente la Corte lagunare riteneva invece per Ba.Ge., il quale, a seguito del licenziamento collettivo disposto da Ceva Logistics, era stato riassunto da una terza società (Web. Rise), né aveva sottoscritto il verbale di conciliazione. Sicché, nei suoi confronti essa rigettava l’appello avverso la reiezione dal primo giudice della sua opposizione al decreto ingiuntivo, per la corretta qualificazione sperata da Tribunale, ciò essendo nel suo potere in presenza di allegazione dei fatti costitutivi, della domanda dei lavoratori (formalmente di pagamento delle retribuzioni maturate, in realtà) risarcitoria senza alcuna detrazione, in difetto di prova di aliunde perceptum né percipiendum;

4. con atto notificato il 28 febbraio 2018, i lavoratori suindicati, i cui decreti ingiuntivi erano stati revocati, ricorrevano per cassazione con cinque motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c., cui resisteva con controricorso la società.

CONSIDERATO

CHE:

1. i ricorrenti deducono violazione degli artt. 2112 e 1406 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente assunto, nonostante l’accertata carenza dei requisiti di un valido trasferimento d’azienda (o di suo ramo) e del consenso dei lavoratori alla cessione del contratto, anziché l’istituzione di un nuovo e distinto rapporto di lavoro con la parte cessionaria, la prosecuzione de jure di quello originario con la parte cedente, restando invece questo rapporto, per effetto del suo ripristino a causa dell’illegittimità del trasferimento, in capo ad essa seppure in uno stato di quiescenza, per la mancata accettazione delle prestazioni dei lavoratori; così essendo la datrice di lavoro, debitamente costituita in mora, tenuta al risarcimento dei danni fino al ripristino della funzionalità del rapporto, dovendo la prestazione dei lavoratori della propria attività alle altrui dipendenze (tanto in favore di terzi che della cessionaria) essere riguardata quale ordinaria diligenza riduttiva del danno, a norma dell’art. 1227 c.c., comma 2, con ininfluenza delle vicende riguardanti un tale distinto e diverso rapporto su quello con la cedente, ancorché quiescente (primo motivo);

2. esso è fondato;

2.1. il mezzo è ammissibile, posto che, in merito alla prospettata novità di deduzione dalla difesa dei lavoratori di duplicità dei rapporti a fronte dell’unicità sostenuta in memoria di primo grado, spetta al giudice la corretta interpretazione giuridica delle allegazioni di fatto delle parti, purché egli non le vari con una diversa delimitazione del perimetro del dibattito processuale, né violazione del principio di corrispondenza della pronuncia alla domanda, in applicazione del generale principio iura novit curia, stabilito dall’art. 113 c.p.c., comma 1 (Cass. 27 novembre 2018, n. 30607; Cass. 10 giugno 2020, n. 11103);

2.2. nel merito, è orientamento ormai consolidato di questa Corte (Cass. 3 luglio 2019, n. 17784 e 17876; Cass. 11 novembre 2019, n. 29092; Cass., 14 maggio 2020, n. 8951), meritevole di continuità, ritenere che soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporti fa continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c.: con il conseguente venir meno dell’unicità del rapporto, qualora, come appunto nel caso di specie, il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare; 2.3. accertatane pertanto l’invalidità, il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale), determinandosi il trasferimento del medesimo rapporto solo quando si perfezioni una fattispecie traslativa conforme al modello legale; diversamente, nel caso di invalidità della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), quel rapporto di lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità dell’originario cedente (Cass. 28 febbraio 2019, n. 5998; in senso conforme, tra le altre: Cass. 18 febbraio 2014, n. 13485; Cass. 7 settembre 2016, n. 17736; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2281, le quali hanno pure ribadito il consolidato orientamento circa l’interesse ad agire del lavoratore ceduto nonostante la prestazione di lavoro resa in favore del cessionario);

2.4. i rapporti di lavoro sono pertanto due (uno, de iure, ripristinato nei confronti dell’originario datore di lavoro, tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del lavoratore; l’altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa) a fronte di una prestazione solo apparentemente unica: posto che, accanto ad una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto, ve n’e’ un’altra giuridicamente resa in favore dell’originario datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per il rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato, non meno rilevante sul piano del diritto;

2.5. al dipendente spetta pertanto la retribuzione tanto se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, sia se il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei suoi confronti (Cass. 23 novembre 2006, n. 24886; Cass. 23 luglio 2008, n. 20316); ed infatti, una volta offerta la prestazione lavorativa al datore di lavoro giudizialmente dichiarato tale, il suo rifiuto rende giuridicamente equiparabile la messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente alla utilizzazione effettiva, con la conseguenza che il datore di lavoro ha l’obbligo di pagare la controprestazione retributiva; sicché, mediante l’intimazione del lavoratore all’impresa cedente di ricevere la prestazione con modalità valida ai fini della costituzione in mora credendi del medesimo datore (il quale la rifiuti senza giustificazione), si deve ritenere che il debitore del facere infungibile abbia posto in essere quanto è necessario, secondo il diritto comune, per far nascere il suo diritto alla controprestazione del pagamento della retribuzione, equiparandosi la prestazione rifiutata alla prestazione effettivamente resa per tutto il tempo in cui il creditore l’abbia resa impossibile non compiendo gli atti di cooperazione necessari; così, da quel momento l’attività lavorativa subordinata resa in favore del non più cessionario equivale a quella che il lavoratore, bisognoso di occupazione, renda in favore di qualsiasi altro soggetto terzo: e come la retribuzione corrisposta da ogni altro datore di lavoro presso il quale il lavoratore impiegasse le sue energie lavorative si andrebbe a cumulare con quella dovuta dall’azienda cedente, parimenti anche quella corrisposta da chi non è più da considerare cessionario, e che compensa un’attività resa nell’interesse e nell’organizzazione di questi, non va detratta dall’importo della retribuzione cui il cedente è obbligato;

2.6. né tale prestazione lavorativa in fatto resa per un terzo esclude una valida offerta di prestazione all’originario datore (Cass. 8 aprile 2019, n. 9747), considerato che, una volta che l’impresa cedente, costituita in mora, manifestasse la volontà di accettare la prestazione, il lavoratore potrebbe scegliere di rendere la prestazione non più soltanto giuridicamente, ma anche effettivamente, in favore di essa e, ove ciò non facesse, verrebbero automaticamente meno gli effetti della mora credendi;

3. i ricorrenti deducono inoltre in subordine, nullità della sentenza per violazione dell’art. 2909 c.c., per la ritenuta proponibilità di fatti asseritamente estintivi del rapporto di lavoro con Telecom Italia s.p.a. (quale l’atto abdicativo dei lavoratori) anteriori alla formazione del giudicato sulla sentenza del Tribunale di Venezia 14 giugno 2006 n. 576, a seguito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 17863/2014 (di rigetto del ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello reiettiva del gravame avverso la prima sentenza), sull’accertamento di persistenza di tale rapporto, siccome riguardante il dedotto e il deducibile (secondo motivo); violazione degli artt. 1372 e 2727 c.c., per erronea inferenza di una volontà dei lavoratori di risoluzione del rapporto in atto con Telecom Italia s.p.a. dal solo fatto dell’impugnazione del licenziamento loro intimato dalla cessionaria Ceva Logistics s.r.l. e della conciliazione della relativa controversia, senza alcuna verifica di altri comportamenti (quali la reiterata offerta di prestazione lavorativa e di successiva denuncia-querela per inottemperanza all’ordine del giudice di ripristino del rapporto), dopo la prima pronuncia del Tribunale) incompatibili con una tale volontà dismissiva (terzo motivo); in subordine, omesso esame di fatti decisivi, risultanti dagli atti di causa, di esclusione della possibilità di attribuire al comportamento dei lavoratori il significato di una risoluzione del rapporto di lavoro con Telecom Italia s.p.a., anzi deponenti per la sua voluta persistenza (quarto motivo); violazione degli art. 1362 c.c., commi 1 e 2, artt. 1363 e 1364 c.c., per erronea interpretazione dalla Corte d’appello del verbale di conciliazione tra i lavoratori e Ceva Logistics s.r.l., laddove ha ritenuto la loro volontà di transigere ogni ragione di controversia anche con Telecom Italia s.p.a. in particolare al passaggio contenuto al p.to 6, di “null’altro” avere a pretendere da Ceva Logistics Italia s.r.l. “per qualsivoglia ragione o causa, dedotta e/o deducibile, che possa trovare origine o fondamento a qualsiasi titolo… nella cessione del ramo d’azienda da Telecom Italia s.p.a. a Ceva Logistics Italia s.r.l.”(quinto motivo);

4. essi sono assorbiti;

5. per le suesposte ragioni il primo motivo di ricorso deve essere accolto, assorbiti gli altri, con la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche in relazione alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza e rinvia, anche in relazione alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2021

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