Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.22436 del 06/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9603-2018 proposto da:

D.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO MARIA MONTALDO;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3992/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/09/2017 R.G.N. 2912/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

RILEVATO

CHE:

1. con sentenza del 22 settembre 2017, la Corte d’appello di Roma, condividendo il ragionamento decisorio del Tribunale, rigettava l’appello di D.S. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva dichiarato inammissibili le domande di accertamento dell’obbligo e conseguente condanna di Telecom Italia s.p.a. al ripristino del rapporto di lavoro e di sua condanna al pagamento, in proprio favore, di tutte le retribuzioni non corrisposte dal maggio 2002, data della cessione del contratto, o diversa di giustizia;

2. ed infatti, tale era ritenuta la prima per la pronuncia (di nullità della cessione del suo contratto di lavoro nell’ambito del trasferimento di ramo d’azienda, cui egli era addetto, dalla predetta società a Pirelli & Real Estate Property Management s.p.a. e del suo conseguente diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro con la cedente) resa dalla Corte d’appello di Roma con sentenza (in quanto confermata dalla Corte di Cassazione con la n. 8207/2014) passata in giudicato, con effetto preclusivo sulla domanda, ben deducibile nel giudizio. E tale era pure stimata quella di condanna retributiva, in luogo di quella risarcitoria commisurata in via parametrica alle retribuzioni e con detrazione dell’aliunde perceptum per l’attività prestata alle dipendenze della cessionaria del ramo d’azienda, sola proponibile in conseguenza della nullità accertata;

3. con atto notificato il 21 marzo 2018, il lavoratore ricorreva per cassazione con unico motivo, illustrato da memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c., cui resisteva la società con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorrente deduce violazione degli artt. 1453,2094,2099 c.c., 112 c.p.c., per erronea esclusione, siccome inammissibile, della natura retributiva (anziché risarcitoria) della domanda del lavoratore, il cui rapporto non sia stato ripristinato dal datore cedente il ramo d’azienda cui il primo era addetto, una volta che ne sia stata accertata la nullità (e dunque della cessione del suo contratto ad esso afferente), in violazione dell’obbligo di pieno adempimento datoriale alla statuizione giudiziale: e ciò a superamento della regola sinallagmatica di corrispettività, nel caso in cui il datore abbia rifiutato l’offerta delle energie lavorative del prestatore, secondo interpretazione costituzionalmente orientata di autorevole recente arresto di legittimità (Cass. s.u. 2990/2018) (unico motivo);

2. esso è fondato;

3. è orientamento ormai consolidato di questa Corte (Cass. 3 luglio 2019, n. 17784 e 17876; Cass. 11 novembre 2019, n. 29092; Cass. 14 maggio 2020, n. 8951), meritevole di continuità, ritenere che soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporti la continuità di un rapporto di lavoro che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 c.c.: con il conseguente venir meno dell’unicità del rapporto, qualora, come appunto nel caso di specie, il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare;

3.1. accertatane pertanto l’invalidità, il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente (sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale), determinandosi il trasferimento del medesimo rapporto solo quando si perfezioni una fattispecie traslativa conforme al modello legale; diversamente, nel caso di invalidità della cessione (per mancanza dei requisiti richiesti dall’art. 2112 c.c.) e di inconfigurabilità di una cessione negoziale (per mancanza del consenso della parte ceduta quale elemento costitutivo della cessione), quel rapporto di lavoro non si trasferisce e resta nella titolarità dell’originario cedente (Cass. 28 febbraio 2019, n. 5998; in senso conforme, tra le altre: Cass. 18 febbraio 2014, n. 13485; Cass. 7 settembre 2016, n. 17736; Cass. 30 gennaio 2018, n. 2281, le quali hanno pure ribadito il consolidato orientamento circa l’interesse ad agire del lavoratore ceduto nonostante la prestazione di lavoro resa in favore del cessionario);

3.2. i rapporti di lavoro sono pertanto due (uno, de iure, ripristinato nei confronti dell’originario datore di lavoro, tenuto alla corresponsione delle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora del lavoratore; l’altro, di fatto, nei confronti del soggetto, già cessionario, effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa) a fronte di una prestazione solo apparentemente unica: posto che, accanto ad una prestazione materialmente resa in favore del soggetto con il quale il lavoratore, illegittimamente trasferito con la cessione di ramo d’azienda, abbia instaurato un rapporto di lavoro di fatto, ve n’e’ un’altra giuridicamente resa in favore dell’originario datore, con il quale il rapporto di lavoro è stato de iure (anche se non de facto, per il rifiuto ingiustificato del predetto) ripristinato, non meno rilevante sul piano del diritto;

3.3. al dipendente spetta pertanto la retribuzione tanto se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, sia se il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei suoi confronti (Cass. 23 novembre 2006, n. 24886; Cass. 23 luglio 2008, n. 20316); ed infatti, una volta offerta la prestazione lavorativa al datore di lavoro giudizialmente dichiarato tale, il rifiuto di questi rende giuridicamente equiparabile la messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente alla utilizzazione effettiva, con la conseguenza che il datore di lavoro ha l’obbligo di pagare la controprestazione retributiva; sicché, mediante l’intimazione del lavoratore all’impresa cedente di ricevere la prestazione con modalità valida ai fini della costituzione in mora credendi del medesimo datore (il quale la rifiuti senza giustificazione), si deve ritenere che il debitore del facere infungibile abbia posto in essere quanto è necessario, secondo il diritto comune, per far nascere il suo diritto alla controprestazione del pagamento della retribuzione, equiparandosi la prestazione rifiutata alla prestazione effettivamente resa per tutto il tempo in cui il creditore l’abbia resa impossibile non compiendo gli atti di cooperazione necessari; così, da quel momento l’attività lavorativa subordinata resa in favore del non più cessionario equivale a quella che il lavoratore, bisognoso di occupazione, renda in favore di qualsiasi altro soggetto terzo: e come la retribuzione corrisposta da ogni altro datore di lavoro presso il quale il lavoratore impiegasse le sue energie lavorative si andrebbe a cumulare con quella dovuta dall’azienda cedente, parimenti anche quella corrisposta da chi non è più da considerare cessionario, e che compensa un’attività resa nell’interesse e nell’organizzazione di questi, non va detratta dall’importo della retribuzione cui il cedente è obbligato;

3.4. né tale prestazione lavorativa in fatto resa per un terzo esclude una valida offerta di prestazione all’originario datore (Cass. 8 aprile 2019, n. 9747), considerato che, una volta che l’impresa cedente, costituita in mora, manifestasse la volontà di accettare la prestazione, il lavoratore potrebbe scegliere di rendere la prestazione non più soltanto giuridicamente, ma anche effettivamente, in favore di essa e, ove ciò non facesse, verrebbero automaticamente meno gli effetti della mora credendi;

4. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere accolto, con la cassazione della sentenza e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2021

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