Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.22489 del 06/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19050/2019 proposto da:

A.N., elettivamente domiciliato in Roma, Via degli Ottavi, 9 presso lo studio dell’Avvocato Massimiliano Scaringella che lo rappresenta e difende con l’Avvocato Fabio Loscerbo giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, domiciliato per legge in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, del 12/10/2018, NRG 504/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2021 dal Cons. SCALIA Laura.

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Bologna, confermando l’ordinanza pronunciata dal locale Tribunale, ha rigettato l’opposizione proposta da A.N. avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale e del riconoscimento di un permesso per ragioni umanitarie.

2. A.N. ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza con sei motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al dichiarato fine di partecipare alla eventuale discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. A.N., che nel racconto reso in fase amministrativa aveva dichiarato di essere nato in Pakistan e di aver deciso di abbandonare il proprio Paese nel 2014 perché destinatario di violente aggressioni fisiche da parte dei parenti della moglie, ostili alla loro unione nella appartenenza a diverse caste dei coniugi e per avere rifiutato la donna il matrimonio combinato con un suo cugino, articola sei motivi di ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna.

1.1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e vizio di- motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nel giudizio formulato sulla non attendibilità del racconto reso pur avendo il ricorrente fornito ogni elemento utile ed essendo quanto dichiarato sorretto da elementi certi di conferma sulla veridicità del fatto.

Il motivo è inammissibile perché il giudizio formulato dal giudice del merito è giudizio sul fatto non sindacabile in sede di legittimità fuorché, oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa, per le ipotesi del fatto omesso e decisivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vizio rispetto al quale spetta al ricorrente allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass. 02/07/2020 n. 13578; Cass. n. 11925 del 19/06/2020).

La critica portata alla sentenza, generica anche là dove richiama quale oggetto di impugnativa decreto emesso dal Tribunale di Bologna” (p. 4 ricorso), non si fa carico di dedurre sugli indicati contenuti e risulta come tale inconcludente.

1.2. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il giudice aveva applicato in modo indeterminato i criteri di definizione e riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria non tenendo conto degli elementi del caso concreto, senza basarsi solo sulla non credibilità del richiedente.

Il motivo è inammissibile perché, meramente assertivo, esso non richiama le parti della motivazione per le quali denuncia la violazione di legge, correlandole con i contenuti delle norme dedotte come violate nella interpretazione datane dalla giurisprudenza di questa Corte, ed è comunque generico riportando quale oggetto del ricorso un non meglio precisato provvedimento del “Tribunale” (p. 7 ricorso).

1.3. Con il terzo il ricorrente fa valere “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, relativamente alla mancata indicazione del riferimento di legge”.

Il motivo è inammissibile per assoluta genericità mancando di indicare il fatto, storico-naturalistico, omesso che, di contro a quanto dedotto, non può consistere nella “mancata indicazione del riferimento di legge” quanto al formulato giudizio di non credibilità del richiedente.

1.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione “D.L. n. 251 del 2007, artt. 8 e 14”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente aveva provato, quanto meno in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), i presupposti di riconoscimento della protezione sussidiaria e quindi il rischio di subire in caso di rientro nel Paese di origine un trattamento inumano e degradante, nella incapacità delle autorità dello Stato di offrire adeguata tutela.

Come poi provato dal racconto e “attestato dalle ultime notizie riguardanti il di lui paese di provenienza” (p. 9 ricorso), il richiedente avrebbe potuto subire “una grave minaccia individuale alla vita, così come indicato dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c)” (p. 9 cit.).

Il motivo è inammissibile per assoluta genericità.

Continuo è il riferimento al “Tribunale di Bologna” quale autore del provvedimento impugnato davanti a questa Corte; la censura proposta poi non si confronta con il dato della non credibilità del racconto che esclude ogni scrutinio in capo al giudice del merito delle ipotesi di cui all’art. 14, lett. b) (Cass. n. 10286 del 29/05/2020, prima parte principio massimato; in termini: Cass. n. 16122 del 28/07/2020).

La censura portata alla mancata applicazione della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non si fa carico quindi di alcun confronto con la motivazione impugnata oltre che dei contenuti della norma invocata come interpretati da questa Corte in applicazione, anche, dei principi fatti propri dalla giurisprudenza della Corte di giustizia Europea (ex plurimis: Cass. n. 18306 del 08/07/2019).

1.5. Con il quinto motivo il ricorrente fa valere il vizio di motivazione, che si denuncia come apparente, relativamente alla domanda di protezione umanitaria.

Il motivo non si correla con la motivazione impugnata richiamando uno stralcio del provvedimento relativo invece al diniego della protezione sussidiaria, nel resto, poi, reclamando l’applicazione della protezione senza dare conto dei presupposti in concreto mancati nella valutazione del giudice.

1.6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia la violazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per “omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, relativamente al permesso di soggiorno per motivi umanitari”.

La denuncia è generica in quanto disallineata, contestando il ricorrente da una parte la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per poi richiamare, sempre nella titolazione del motivo, un contesto proprio, invece, del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

In ogni caso il motivo è inammissibile perché assertivo della dedotta violazione della normativa di riconoscimento dell’indicata protezione e sconfina nel fatto là dove deduce sulle evidenze che in concreto avrebbero dovuto condure la Corte di merito al riconoscimento della protezione, così proponendo una lettura alternativa del fatto di cui non dà prova di tempestiva e puntuale, nella sua consistenza, allegazione davanti alla Corte di appello.

7. Il ricorso è in via conclusiva inammissibile.

Nulla sulla spese nella tardività della costituzione dell’Amministrazione, rimasta intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione civile, il 23 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2021

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