Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.22518 del 09/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29099-2017 proposto da:

B.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dalli avvocato DAVIDE DARIO BONSIGNORIO, MONICA ROTA;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio degli avvocati ENZO MORRICO, ARTURO MARESCA, ROBERTO ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, che la rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1151/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 14/06/2017 R.G.N. 1126/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/12/2020 dal Consigliere Dott. LORITO MATILDE.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

B.A. adiva il Tribunale di Milano ed esponeva di aver lavorato alle dipendenze di Telecom Italia s.p.a. da marzo 2012 a febbraio 2014 allorquando era stato trasferito ai sensi dell’art. 2112 c.c., nell’ambito di un’operazione di trasferimento di ramo d’azienda, alla Telepost s.p.a.; di aver chiesto dichiararsi la illegittimità di detta cessione ed aver conseguito pronuncia favorevole dal giudice di prima istanza, confermata in sede di gravame; di non esser stato reintegrato nel posto di lavoro; di non aver ottenuto il pagamento delle somme relative al periodo in cui era stato collocato in CIGS presso Telepost s.p.a. e poi in mobilità; di avere sottoscritto verbale di conciliazione con Telepost s.p.a. il 28/2/2014 a fronte di un incentivo all’esodo.

Il giudice adito accoglieva il ricorso e condannava Telecom Italia s.p.a. al risarcimento del danno per la mancata reintegra in servizio (2012-2014) e per il periodo successivo alla collocazione in mobilità (marzo-giugno 2014).

Tale decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte distrettuale che riteneva non dovuti gli importi liquidati per il periodo marzo-giugno 2014 successivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, in quanto il rapporto si era risolto per iniziativa del lavoratore il quale aveva aderito alla proposta conciliativa della società cessionaria, estinguendo l’unico rapporto di lavoro di fatto proseguito con l’impresa cessionaria. Ordinava quindi al lavoratore la restituzione delle somme a tale titolo percepite.

Per il periodo anteriore (1/3/2012-28/2/2014) riteneva che l’espletamento di attività lavorativa in favore di Telepost all’esito di cessione di ramo d’azienda poi ritenuta inefficace, configurava un rapporto di mero fatto, assoggettato alla disciplina di cui all’art. 2126 c.c., in tal senso confermando la pronuncia di prime cure.

Avverso tale decisione B.A. interpone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resiste con controricorso la società intimata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo si denuncia manifesta contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2 e dell’art. 161 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Viene rimarcata la contraddittorietà dell’iter motivazionale percorso dal giudice di prima istanza il quale ha applicato un diverso regime giuridico al rapporto di lavoro intrattenuto con Telepost a seguito del trasferimento d’azienda, in relazione al momento in cui il rapporto veniva considerato: se successivo alla risoluzione, era da ritenersi unico; se anteriore, doveva ritenersi un rapporto di fatto distinto da quello di diritto intercorrente con Telecom.

2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si deduce che in assenza di una fattispecie legalmente riconducibile al fenomeno circolatorio aziendale di cui all’art. 2112 c.c., non si può verificare alcuna continuità ed unicità del rapporto di lavoro con la conseguenza che gli atti di gestione del rapporto di lavoro di fatto intrattenuto con la cessionaria ex art. 2126 c.c., non si comunicano al distinto rapporto di lavoro col cedente.

3. I motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Essi sono fondati.

E’ bene rammentare in via di premessa che il lavoratore, il cui rapporto sia stato ceduto con atto nullo, in ragione dell’inapplicabilità dell’art. 2112 c.c. e della conseguente necessità del consenso del lavoratore ceduto ex art. 1406 c.c., ha interesse a far valere, nei confronti del cedente, il vizio dell’atto al fine di ottenere il ripristino del rapporto, restando irrilevanti le vicende relative al rapporto svoltosi di fatto con il cessionario.

E’ stato al riguardo ritenuto, con condivisibile approccio, che la cessazione, del rapporto di lavoro con il cessionario non preclude l’accertamento della continuazione del rapporto con il cedente in virtù di fatti riferibili a periodo precedente tale cessazione in grado di inficiare la validità del ò trasferimento del rapporto di lavoro al cessionario.

Con orientamento qui condiviso, questa Corte è pervenuta al convincimento che il rapporto di lavoro non possa reputarsi unico e dunque estinto per effetto di vicende risolutive (licenziamento, dimissioni, atto transattivo) che hanno interessato il solo cessionario, l’unicità del rapporto presupponendo la legittimità della vicenda traslativa ex art. 2112 c.c. (vedi in motivazione, Cass. 13/6/2014 n. 13485).

La questione della natura dei crediti vantati dal lavoratore per effetto del mancato ripristino del rapporto di lavoro nonostante la sentenza di accertamento della illegittimità della cessione del ramo d’azienda cui era addetto, rinviene, dunque, soluzione alla stregua dell’insegnamento reso, dalle Sezioni unite civili di questa Corte (sent. 7/2/2018, n. 2990) che ha affermato la natura retributiva e non più risarcitoria di detti crediti (come invece secondo un indirizzo precedente: Cass. 17/7/2008 n. 19740; Cass. 9/9/2014 n. 18955; Cass. 25/6/2018 n. 16694).

Tale pronuncia ha sancito il principio di diritto in tema di interposizione di manodopera, in base al quale ove ne venga accertata l’illegittimità e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’omesso ripristino del rapporto di lavoro ad opera del committente determina l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni a decorrere dalla messa in mora.

A tale indirizzo è stato riconosciuto valore di diritto vivente dalla Corte costituzionale con la sentenza 28 febbraio 2019, n. 29, anche avuto riguardo alla fattispecie della cessione del ramo d’azienda.

La Corte costituzionale ha preso atto (al p.to 6.3. del Considerato in diritto) “che l’indirizzo interpretativo, indicato come diritto vivente allorché sono state proposte le questioni di legittimità costituzionale, risulta disatteso dalla suddetta pronuncia delle Sezioni unite, successiva all’ordinanza di rimessione. Tale pronuncia mira a ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della mora del creditore nel rapporto di lavoro e consente di risolvere in via interpretativa i dubbi di costituzionalità prospettati”.

Dalla “qualificazione retributiva dell’obbligazione del datore di lavoro moroso” il Giudice delle leggi ha tratto la conseguenza di “privare di fondamento, …, le questioni di legittimità costituzionale insorte sulla base di un’interpretazione di segno antitetico”.

4. Alla luce delle considerazioni sinora esposte, deve, quindi, affermarsi che l’unicità del rapporto venga meno, qualora, come nel caso di specie, il trasferimento sia dichiarato invalido, considerata l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore “continui” di fatto a lavorare.

E’ bene al riguardo ribadire che l’unicità del rapporto presuppone la legittimità della vicenda traslativa regolata dall’art. 2112 c.c., sicché, accertatane l’invalidità, il rapporto con il destinatario della cessione è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere, rimasto in vita con il cedente, sebbene quiescente per l’illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale.

Da ciò consegue che al dipendente spetta la retribuzione sia se la prestazione di lavoro sia effettivamente eseguita, sia se il datore di lavoro versi in una situazione di mora accipiendi nei suoi confronti (Cass. 23/11/2006, n. 24886; Cass. 23/7/2008, n. 20316), perché, una volta offerta la prestazione lavorativa al datore di lavoro giudizialmente dichiarato tale, il rifiuto di quest’ultimo rende giuridicamente equiparabile la messa a disposizione delle energie lavorative del dipendente alla utilizzazione effettiva, con la conseguenza che il datore di lavoro ha l’obbligo di pagare la controprestazione retributiva (cfr. Cass. 24/6/2020 n. 12442 in motivazione).

Nell’ottica descritta, la statuizione con la quale la Corte distrettuale richiamando un pregresso orientamento di legittimità non idoneo a risolvere la questione qui dibattuta essendo stato superato dai più recenti e condivisi dicta – ha ritenuto che nulla fosse dovuto al ricorrente in relazione al periodo successivo alla risoluzione del rapporto di lavoro con la cessionaria, non si sia attenuta ai principi summenzionati e vada pertanto, sul punto riformata.

La pronuncia deve, pertanto essere cassata ex art. 384 c.p.c., con rinvio alla Corte distrettuale designata in dispositivo la quale procederà allo scrutinio delle questioni delibate alla luce dei principi innanzi richiamati, provvedendo anche alla regolazione delle spese inerenti al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2021

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