LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28347-2017 proposto da:
A.G., G.B.A., G.V., S.M., D.C.P.B., S.G., B.P., P.A., V.M., C.M., F.E., F.E. F.S.B., S.S., V.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI, 13, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO PALLINI, rappresentati e difesi dagli avvocati NICOLETTA MARIAGRAZIA LAZZARINI, FRANCO SCARPELLI;
– ricorrenti –
contro
MILANO RISTORAZIONE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114, presso lo studio dell’avvocato TERESA VALLEBONA, rappresentata e difesa dagli avvocati TIZIANO UGOCCIONI, GIAMPAOLO FURLAN;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 793/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 30/05/2017, R.G.N. 1570/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/12/2020 dal Consigliere Dott. ARIENZO ROSA.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 30.5.2017, in riforma della decisione del Tribunale della stessa sede, respingeva la domanda proposta, tra gli altri, dai ricorrenti epigrafati, che avevano visto accolto parzialmente in primo grado il ricorso inteso all’accertamento della natura retributiva del fringe benefit loro riconosciuto dal datore di lavoro sotto forma di uso promiscuo di autovettura aziendale, con conseguente accollo delle relative spese di manutenzione e tasse, con condanna della Milano Ristorazione s.p.a. a corrispondere a ciascuno di essi la somma mensile lorda di Euro 190,40, come risultante dalle buste paga antecedenti al gennaio 2013, con accessori di legge, laddove gli stessi avevano vista, invece, rigettata la domanda di condanna all’attribuzione delle autovetture aziendali di cui era stata chiesta la restituzione dalla società;
2. il beneficio dell’uso dell’autoveicolo aziendale era stato riconosciuto per consentire ai lavoratori di recarsi presso le varie strutture ove erano attivi i servizi mensa da raggiungere per l’attività svolta e ne era stato consentito l’uso anche per motivi personali;
3. la Corte distrettuale osservava che la società, in house, operava con strumenti di natura privatistica e che la questione atteneva alla gestione del rapporto di lavoro, cui era applicabile la disciplina privatistica, non trattandosi di dipendenti soggetti a giurisdizione esclusiva del TAR; rilevava come, tuttavia, la L. n. 95 del 2012 fosse di doverosa attuazione e che la stessa aveva previsto il mantenimento del beneficio in favore soltanto di lavoratori che svolgessero mansioni di autista;
4. al di là di tali osservazioni, il Collegio riteneva, in maniera dirimente per negare il diritto al mantenimento del beneficio, che, oltre all’esigenza di risparmio della spesa, non poteva reputarsi che, con la revoca del beneficio, si determinasse una decurtazione del trattamento retributivo complessivo idonea a configurare un contrasto con l’art. 36 Cost., con violazione del principio di proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione rispetto al lavoro svolto, e che la caducazione delle clausole contrarie a norme imperative non inficiava il contratto di lavoro;
5. di tale decisione domandano la cassazione i lavoratori epigrafati, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la società;
6. entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
1. con il primo motivo, i ricorrenti denunziano falsa applicazione dell’art. 36 Cost. e violazione dell’art. 2103 c.c., adducendo che la Corte non abbia valutato come il trattamento retributivo connesso all’uso personale dell’autovettura fosse ascrivibile al concetto di retribuzione garantita ed irriducibile ex art. 36 Cost. e 2103 c.c. e che di conseguenza l’uso garantitone anche ai familiari di primo grado in sede di accordi di assegnazione delle autovetture integrava un beneficio idoneo ad incidere sul t.f.r. ed assoggettato a contribuzione previdenziale, ciò che ne denotava la natura retributiva, essendo stato previsto l’utilizzo dell’auto anche a prescindere dallo svolgimento dell’attività lavorativa; ciò era dimostrato dal fatto che l’uso era stato revocato sebbene le mansioni e le modalità di svolgimento delle stesse fossero rimaste immutate, con ciò evidenziandosi il carattere di retribuzione in natura, compensativo delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni svolte, sicché si era in tal modo determinato un contrasto con la norma costituzionale posta a presidio dell’integrità del trattamento retributivo base;
2. con il secondo motivo, i lavoratori ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione del D.L. n. 95 del 2012, art. 5, per avere la Corte ambrosiana tratto conseguenze giuridiche ulteriori rispetto alla sua corretta interpretazione estendendone la ratio di contenimento della spesa pubblica (contenimento della spesa pubblica per l’acquisto, il noleggio, la manutenzione e l’esercizio di autovetture) sino a considerare doverosa la riduzione del trattamento retributivo dei lavoratori, così attribuendo alla norma una valenza derogatoria di norme di pari rango; rilevano che una cosa è l’uso delle vetture, altra è il riconoscimento ai lavoratori in forma monetaria del controvalore della retribuzione;
3. con il terzo motivo, ascrivono alla sentenza impugnata l’omesso esame circa un fatto determinante per il giudizio in relazione alla circostanza che le autovetture che la società aveva concesso in uso erano state sostituite, a far data dal 2012, con autovetture a noleggio utilizzabili dai ricorrenti esclusivamente per ragioni di servizio, ciò che non incideva neanche in termini di riduzione dei costi per la società;
4. con il quarto motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, commi 3 e 3 bis, per avere la Corte distrettuale omesso di attribuire rilevo giuridico alla natura prettamente privata dei rapporti di lavoro in essere tra le parti, caratterizzati dall’applicazione del c.c.n.l. Turismo Pubblici Esercizi, e per non avere considerato che essi ricorrenti non erano pubblici dipendenti;
5. i primi due motivi, in relazione al contenuto delle deduzioni con gli stessi prospettate, vanno trattati congiuntamente, per l’evidente connessione ravvisabile tra le questioni che ne costituiscono l’oggetto;
6. il D.Lgs. n. 95 del 2002, art. 2, commi 3 e 3 bis, prevede, all’art. 5, comma 2, che A decorrere dall’anno 2013, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi della L. 31 dicembre 2009, n. 196, art. 1, comma 2, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), e le società dalle stesse amministrazioni controllate non possono effettuare spese di ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2011 per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio di autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi; il predetto limite può essere derogato, per il solo anno 2013, esclusivamente per effetto di contratti pluriennali già in essere. La predetta disposizione non si applica alle autovetture utilizzate dall’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco o per i servizi istituzionali di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, per i servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza, ovvero per i servizi istituzionali svolti nell’area tecnico-operativa della difesa nonché per i servizi istituzionali delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari svolti all’estero….
3. Fermi restando i limiti di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 agosto 2011, l’utilizzo delle autovetture di servizio e di rappresentanza assegnate in uso esclusivo è concesso per le sole esigenze di servizio del titolare.
4. La violazione delle disposizioni di cui ai commi 2 e 3 è valutabile ai fini della responsabilità amministrativa e disciplinare dei dirigenti.
5. Al fine di garantire flessibilità e razionalità nella gestione delle risorse, in conseguenza della riduzione del parco auto, il personale già adibito a mansioni di autista o di supporto alla gestione del parco auto, ove appartenente ad altre amministrazioni, è restituito con decorrenza immediata alle amministrazioni di appartenenza. Il restante personale è conseguentemente assegnato a mansioni differenti, con assegnazione di un profilo professionale coerente con le nuove mansioni, ferma restando l’area professionale di appartenenza ed il trattamento economico fondamentale in godimento. 6. Le disposizioni del presente articolo costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 3.
6.1. la questione della possibilità di applicare il disposto del d. L. n. 95 del 2012 anche alla Milano Ristorazione s.p.a., da considerare pacificamente società in house, inserita nel conto economico consolidato della P.A., è superata dell’avere il primo giudice considerato su tale piano la revoca del beneficio legittima, con capo della decisione passato in giudicato, ciò che e’, d’altronde, conforme alla riferibilità della normativa de qua anche alle società partecipate;
6.2. la questione si riduce dunque a quella della possibilità che la norma imperativa possa incidere sul principio di irriducibilità della retribuzione, principio che poteva garantirsi nella specie, secondo l’assunto dei ricorrenti, attraverso la corresponsione del controvalore economico del fringe benefit;
6.3. la Corte d’appello ha, tuttavia, con ratio decidendi idonea a sorreggere autonomamente il decisum, ritenuto che non sia stato dimostrato che, attraverso la revoca del beneficio, si determini una “deminutio” nel trattamento economico complessivo, idonea a determinare un contrasto con l’art. 36 Cost., e che, per effetto della decurtazione contestata, la retribuzione degli appellati non sia più proporzionata al lavoro reso e/o comunque in grado di assicurare loro una esistenza libera e dignitosa, aggiungendo che si determina, per effetto della norma di diritto del D.Lgs. n. 95 del 2012, nullità delle corrispondenti clausole dei contratti individuali, contratti che, tuttavia, rimangano per il resto validi nonostante la eliminazione del beneficio, proprio in virtù della mancata ravvisabilità di un vulnus alla stregua del principio costituzionale esaminato;
6.4. tanto è sufficiente per ritenere infondati i rilievi dei ricorrenti, che riportano passi dei regolamenti ed accordi intercorsi tra le parti che avevano qualificato l’assegnazione delle auto ad uso promiscuo come beneficio in natura, incidente sul computo del t.f.r. e soggetto a contribuzione previdenziale, e sostengono che pertanto l’assegnazione non discendesse unicamente dalla necessità di far fronte a specifiche modalità di svolgimento del servizio;
6.5. secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte (cfr., al riguardo, tra la altre, Cass. 19.2.2008 n. 4055, Cass. 27.10.2003 n. 16106), in ogni caso in cui il compenso pattuito anche in sede di contratto individuale venga ridotto, salvo che, in caso di legittimo esercizio, da parte del datore di lavoro, dello “ius variandi”, la garanzia della irriducibilità della retribuzione si estende alla sola retribuzione compensativa delle qualità professionali intrinseche essenziali delle mansioni precedenti, ma non a quelle componenti della retribuzione che siano erogate per compensare particolari modalità della prestazione lavorativa, e cioè caratteristiche estrinseche non correlate con le prospettate qualità professionali della stessa e, come tali, suscettibili di riduzione una volta venute meno, nelle nuove mansioni, quelle caratteristiche estrinseche che ne risultavano compensate. Ma ciò attiene a principio riconducibile all’art. 2103 c.c. e la garanzia in essa sancita attiene ad ogni caso di riduzione disposta unilateralmente o concordata, salvo che si tratti di compenso connesso a particolari circostanze di tempo o di luogo, nelle quali sia resa la prestazione lavorativa, come ad esempio nel caso in cui una voce retributiva sia legata ad un certo rischio o ad un disagio ambientale (Cass. 26 gennaio 1989 n. 475, 14 gennaio 1992 n. 390, 10 giugno 1999 n. 5721, 8 giugno 1999 n. 5659, 10 novembre 1997 n. 11106, 8 settembre 1997 n. 6704, 10 maggio 2002 n. 6763);
6.6. altra è l’ipotesi verificatasi nella specie, in cui l’uso aziendale promiscuo è stato escluso per effetto di un testo normativo, le cui disposizioni sono state dichiaratamente indicate come integranti principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 3, ed in cui, con riguardo alle conseguenze verificatesi per effetto della sua applicazione, non è stata ritenuta, come nella specie, alcuna incidenza sulla retribuzione complessiva in termini di proporzionalità ed idoneità della stessa ad assicurare l’esistenza libera e dignitosa dei lavoratori;
6.7. come già sopra evidenziato, non risulta articolata una puntuale contestazione indirizzata a confutare tale ragione del decidere, e ciò è anche conforme ai principi affermati dal Giudice delle Leggi, che ha chiarito che il giudizio sulla conformità di un trattamento all’art. 36 Cost. non può essere svolto per singoli istituti, ma occorre valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza (sentenze nn. 366 e 287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994);
6.8. non e’, poi, neanche condivisibile il rilievo secondo cui la portata derogatoria della norma della Finanziaria non potesse estendersi sino a rendere possibile la riduzione del trattamento retributivo riferito al controvalore economico dell’uso dell’autovettura aziendale, essendo evidente che l’obiettivo del contenimento dei costi, ritenuto attuativo dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 3, con estensibilità anche alle società partecipate, non potesse non riferirsi anche a tale conseguenza;
7. il terzo motivo non configura l’omesso esame di un “fatto” nell’accezione specificata da questa Corte a S.U., n. 8054/2014, la quale ha chiarito che l’omesso esame deve riferirsi ad un fatto decisivo, ed afferisce, nella prospettiva della novella, che mira a ridurre drasticamente l’area del sindacato di legittimità intorno ai
“fatti”, a dati materiali, ad episodi fenomenici rilevanti ed alle loro ricadute in termini di diritto, aventi portata idonea a determinare direttamente l’esito del giudizio (cfr., altresì, Cass. 5.3.2014 n. 5133, Cass. 4.4.2014 n. 7983);
7.1. nella specie non è chiarita la decisività del fatto di cui si asserisce l’omesso esame – oltre a non essere stato il fatto oggetto di discussione tra le parti, come richiesto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 attenendo quello della sostituzione dell’attribuzione della concessione in uso promiscuo di autovetture con l’allestimento di un parco autovetture a noleggio a scelte aziendali, delle quali non è neanche specificata la destinazione ad un utilizzo analogo a quello in precedenza consentito, ovvero in termini più restrittivi che nel passato e per esigenze strettamente aziendali, come deve ritenersi essersi ragionevolmente verificato;
8. l’ultimo motivo è inconferente e come tale inammissibile, perché ciò che è stato evidenziato è che la disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti delle società partecipate è di natura privatistica, ma nel motivo non si chiarisce in che termini rilevi la questione posta, limitandosi i ricorrenti a sostenere che D.L. n. 95 del 2012, art. 5, non possa comportare alcuna incidenza sul pagamento del controvalore dell’auto concessa in uso promiscuo: la censura rifluisce nei rilievi posti con i primi due motivi, disattesi anche in ragione della accertata applicabilità della disposizione alle società partecipate, con decisione di primo grado rimasta incensurata in sede di gravame;
9. alla stregua delle esposte considerazioni, il ricorso va, pertanto, complessivamente respinto;
10. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo;
11. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5250,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del citato D.P.R. art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 16 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2021