LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2515-2020 proposto da:
W.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANDOMENICO DELLA MORA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI GORIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso il decreto n. cronologico 3147/2019 del TRIBUNALE di TRIESTE, depositata il 18/11/2019 R.G.N. 2306/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2021 dal Consigliere Dott. GARRI FABRIZIA.
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. Il Tribunale Trieste ha rigettato la domanda di protezione internazionale ed umanitaria di W.A., cittadino Pakistano proveniente da Jhelum nella regione del Punjab ai confini con il Kashmir, evidenziando che in relazione alle generiche ragioni dell’espatrio denunciate (provenienza dal Punjab pakistano regione afflitta da violenza armata generalizzata) non erano risultate confermate all’esito dell’indagine officiosa svolta dal Tribunale sulle fonti internazionali accreditate consultate. Ha evidenziato poi che non era stata allegata alcuna specifica vicenda personale idonea a giustificare anche il riconoscimento della protezione umanitaria richiesta.
2. Per la cassazione del provvedimento ha proposto ricorso W.A. affidato a tre motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare alla discussione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
CHE:
3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, per aver trascurato il Giudice di procedere all’audizione del richiedente asilo sebbene questi, che non era comparso davanti alla Commissione, si fosse reso disponibile a rendere le sue dichiarazioni al Tribunale.
3.1. Osserva al riguardo il Collegio che se è ben vero che “Nei giudizi aventi per oggetto il riconoscimento della protezione internazionale, il giudice è tenuto a fissare l’udienza di comparizione del ricorrente, al fine di procedere alla sua audizione, non solo quando nella fase amministrativa del procedimento l’audizione sia stata omessa, ma anche quando la stessa sia stata inidoneamente condotta, assumendo tale momento un’importanza centrale ai fini della valutazione di credibilità della narrazione posta a base della domanda” (cfr. Cass. n. 29304 del 2020) tuttavia nel caso in esame il Tribunale ha motivato la sua decisione di non procedere all’audizione del ricorrente evidenziando che dall’atto introduttivo del giudizio non emergeva alcuna specifica circostanza da approfondire. Il ricorrente, infatti, non aveva allegato nel ricorso alcuna vicenda personale da riscontrare diversa dalla sua provenienza dal Punjab Pakistano e nello specifico da Jhelum.
3.2. Tanto premesso va sottolineato che nell’odierno ricorso il W. trascura di censurare specificatamente tale affermazione ed omette di riprodurre, come avrebbe dovuto, il contenuto delle allegazioni, in ipotesi più puntuali, esposte nell’atto introduttivo che avrebbero dovuto orientare diversamente il Tribunale. Ne consegue per tale aspetto il ricorso è generico e la censura deve essere dichiarata inammissibile.
4. Anche il secondo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e dell’art. 14 e ss. mm. è inammissibile atteso che con riguardo alla denunciata ingravescenza del conflitto indo pakistano la sentenza, pur sintetica, indaga la situazione del Pakistan anche con riguardo alla specifica area di provenienza del richiedente (il Punjab pakistano) e valuta l’incidenza degli episodi di violenza registrati dalle fonti internazionali con riguardo al territorio ed alla popolazione. A fronte di tale motivazione, essenziale ma esaustiva, nel ricorso non vengono evidenziati altri e più specifici elementi di valutazione che, introdotti ritualmente nel giudizio, siano stati trascurati o comunque non approfonditi. Ancora una volta la carenza nel racconto, l’inadempimento agli oneri di allegazione, non risultano specificatamente contrastati nel ricorso in cassazione che trascura di riprodurre le allegazioni del ricorso introduttivo sul punto.
5. Con l’ultimo motivo, infine, è denunciata, in relazione alla mancata concessione della protezione umanitaria ed in violazione del principio di non refoulement, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 29 e 32. Sostiene il ricorrente che il Tribunale, nel negare il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, avrebbe trascurato di porre in correlazione la vicenda narrata dal richiedente con la situazione presente nel suo paese di origine. Inoltre, avrebbe trascurato di considerare il livello di integrazione in Italia.
5.1. Anche tale censura, per quanto articolata, è inammissibile.
5.2. TI ricorrente si limita a riferire, in maniera del tutto generica e senza peraltro riportare specificatamente il contenuto del ricorso introduttivo sul punto, di essere scappato a causo delle minacce seguite al suo tentativo di sposare una ragazza di etnia diversa in spregio alle usanze locali, vicenda che asserisce essere del tutto plausibile nel contesto di provenienza e che perciò avrebbe dovuto essere approfondita. Rammenta poi di aver allegato di lavorare in Italia con un contratto di lavoro domestico.
5.3. Per contrastare ammissibilmente la decisione del Tribunale che ha ritenuto generiche e insufficienti le allegazioni del ricorrente, tuttavia, la censura avrebbe dovuto riportare il contenuto del ricorso per consentire al Collegio di verificare, ex actis, l’esistenza di un “racconto” idoneo a radicare il potere/dovere del giudice di procedere a verifiche e approfondimenti officiosi. Peraltro, le Fonti citate nel ricorso in Cassazione attengono alla situazione di pericolo per attacchi terroristici e sono perciò del tutto inconferenti confermando la genericità ed inammissibilità della censura nel suo complesso.
6. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Non occorre provvedere sulle spese stante la tardività della costituzione dell’amministrazione che non ha svolto inoltre alcuna attività difensiva. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del, ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R., art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 4 febbraio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2021