Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.22529 del 09/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2530-2020 proposto da:

K.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IPPOLITO NIEVO 61, presso lo studio dell’avvocato ROSSELLA DE ANGELIS, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO DALLA BONA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI VERONA, SEZIONE DI PADOVA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso il decreto n. cronologico 10168/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 26/11/2019 R.G.N. 6001/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2021 dal Consigliere Dott. GARRI FABRIZIA.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

Con decreto del Tribunale di Venezia è stata rigettata la domanda di protezione internazionale avanzata da K.P., cittadino del Ghana che aveva dichiarato di essere espatriato temendo di essere incarcerato per un debito contratto con il governo e rimasto inadempiuto ed inoltre per ragioni di salute.

2. Il provvedimento ha negato al ricorrente il diritto allo status di rifugiato non evidenziandosi nelle ragioni esposte (debiti insoluti e ragioni di salute) una persecuzione per razza, religione, nazionalità gruppo sociale opinioni politiche. Ha escluso il diritto a beneficiare della protezione sussidiaria ritenendo generiche e confuse le allegazioni contenute nel ricorso (si riferisce di un debito contratto per iniziare un’attività agricola che poi era stata poi distrutta da un alluvione) non supportate da coerenti e univoche dichiarazioni in sede di ricorso e poi nell’audizione prima davanti alla Commissione e poi davanti al giudice. In ogni caso la decisione ha escluso l’esistenza di un rischio per la vita o per i diritti fondamentali anche con riguardo al pericolo di persecuzioni o di trattamenti degradanti in caso di arresto al rientro in patria. Ha esaminato la situazione politica Ghana verificandone, salva qualche criticità, la sostanziale stabilità. Quanto alla protezione umanitaria il Tribunale ha evidenziato che non erano stati allegati elementi a sostegno dell’integrazione in Italia ed ha verificato che, al contrario, in patria il ricorrente aveva legami familiari stabili e prima di partire anche un’occupazione. Da ultimo il Tribunale ha ritenuto che la circostanza che il ricorrente si fosse sottratto al programma psichiatrico e psicofarmacologico cui era stato ammesso confermasse la sua idoneità ad essere espatriato.

3. Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso K.P. affidato a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito tardivamente al solo fine di partecipare alla discussione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione degli artt. 111,25 e 10 Cost. e dell’art. 47CEDU e si duole dell’assenza di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e della violazione: del D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 1, lett. d), e commi 4 e 4 bis, conv. in L. n. 46 del 2017; del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 35 e 35 bis e dello stesso D.Lgs. art. 32; degli artt. 112,113,158 e 161 c.p.c. e dell’art. 111 Cost.. Sostiene il ricorrente che le norme attribuiscono al Tribunale in composizione collegiale la decisione delle controversie in materia di protezione internazionale e che però per quanto riguarda le domande di protezione umanitaria la competenza è del Tribunale in composizione monocratica.

4.1. La censura è infondata. Anche prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, art. 1, comma 3, lett. a), (conv. con modif. in L. n. 132 del 2018), la proposizione, con un unico ricorso dell’azione finalizzata ad ottenere la protezione internazionale (“status di rifugiato” e protezione sussidiaria) e di quella volta al riconoscimento della protezione umanitaria comporta la trattazione unitaria di tutte le domande da parte della sezione specializzata del tribunale, in composizione collegiale, secondo il rito camerale previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, in ragione della profonda connessione, soggettiva e oggettiva, esistente tra le domande, oltre che della prevalenza della composizione collegiale su quella monocratica, sancita dall’art. 281 nonies c.p.c., ed in attuazione del principio della ragionevole durata del processo (cfr. Cass. 02/07/2020 n. 13575). Si è ritenuto infatti che “(…) quando il ricorrente per sua scelta abbia cumulato la domanda di protezione umanitaria con quelle aventi per oggetto lo “status” di rifugiato o la protezione sussidiaria, assoggettate allo speciale rito camerale di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, egli non può poi dolersi della mancata pronuncia di inammissibilità della domanda di protezione umanitaria, in applicazione del divieto di “venire contra factum proprium” di cui all’art. 157 c.p.c., comma 3, secondo il quale la nullità non può mai essere opposta dalla parte che vi ha dato causa.” (cfr. Cass. 30/01/2020 n. 2120 e 02/11/2020n. 24185).

5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la nullità del decreto per violazione delle norme speciali che disciplinano la formazione della prova nel giudizio di protezione internazionale e dunque gli artt. 111 Cost., 6 e 47 CEDU, art. 101 c.p.c., il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27, comma 1 bis, art. 35 bis, commi 8 e 9 e ss.mm.. Deduce il ricorrente che “compito del Giudice non è valutare la “inconsistenza” e/o credibilità e/o inattendibilità o meno del richiedente asilo”, bensì “valutare se si sia formata la prova – per presunzione – in base ai requisiti prescritti dalla norma speciale”, ossia D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

6. Con il terzo motivo di ricorso, poi, è eccepita l’illegittimità costituzionale in relazione all’art. 24 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, oltre che per violazione dell’art. 47 CEDU del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 3, dell’art. 27, comma 1 bis, dell’art. 35 bis, commi 8 e 9 e ss.mm. nella parte in cui detta normativa consente alle Commissioni territoriali di procedere alla raccolta delle prove, prove che conservano efficacia nel giudizio di opposizione dinanzi al Tribunale, senza che il richiedente possa svolgere alcuna attività difensiva.

7. Le due censure da esaminare congiuntamente in ragione dei profili di connessione che presentano, sono inammissibili, poiché non colgono la ratio decidendi del provvedimento impugnato. Il Tribunale ha infatti ritenuto che si dovesse escludere la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato difettando la prospettazione di un fondato timore di persecuzione personale e diretta nel paese di origine a causa della razza, della religione, della nazionalità, dell’appartenenza al gruppo sociale ovvero per le opinioni politiche professate. Analoghe considerazioni ha poi svolto con riguardo alla protezione sussidiaria. Non è perciò ravvisabile la denunciata violazione del contraddittorio nell’acquisizione d’ufficio delle COI (cfr. in tal senso Cass. n. 1600 del 2020 in motivazione). Le COI infatti sono acquisibili liberamente in quanto mutuate da fonti pubbliche accessibili a chiunque, onde è nel contraddittorio che ha luogo avanti al giudice che si sviluppa il confronto tra le parti in ordine all’attendibilità delle informazioni raccolte e alla loro idoneità ad orientare la valutazione circa la situazione interna del paese interessato. Inoltre, le COI g cui abbia attinto la Commissione territoriale si riflettono nella motivazione del provvedimento da essa adottato e, dunque, essendone perciò informato, il ricorrente non può opporre la sua mancata conoscenza a pretesto della mancata interlocuzione su di esse, dovendo altresì evidenziarsi che le COI non costituiscono un fatto o non integrano una questione, in ragione dei quali si possa profilare una violazione del contraddittorio, trattandosi propriamente di un elemento istruttorio ed essendo ben noto che spetta al giudice scegliere facendo esercizio del suo prudente apprezzamento le fonti del proprio convincimento.

7.1. Quanto alla questione di legittimità costituzionale questa non è fondata, in quanto prospetta questioni di lesione del diritto di difesa con riferimento alla fase amministrativa svolta davanti alla Commissione territoriale, e non alla fase giudiziale, ove gli elementi di prova precedentemente raccolti vengono ridiscussi nel contraddittorio delle parti, come rilevato in un recente arresto di questa Corte – avente ad oggetto fattispecie del tutto analoga – cui s’intende dare continuità (Cass. 25703/2019). Dal che consegue l’infondatezza manifesta della questione di costituzionalità prospettata (v. Cass. 06/11/2020 n. 24895).

8. L’ultimo motivo di ricorso – con il quale è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e dell’art. 5, comma 6, del TUI, nel testo vigente prima del D.Lgs. n. 113 del 2018, per non avere il Tribunale esaminato se ricorrevano i requisiti per la protezione umanitaria ritenendo che il diniego di accesso alle misure maggiori autorizzasse il diniego di quella residuale senza indagare alla luce dell’art. 19 e degli impegni internazionali assunti dall’Italia circa la possibilità di ricevere cure mediche psichiatriche nel paese di provenienza – è fondato e deve essere accolto alla luce della giurisprudenza di questa Corte in base alla quale “la vulnerabilità del richiedente asilo (nei casi in cui ratione temporis sia applicabile D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ai fini del riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie) può anche essere conseguenza di una seria esposizione al rischio di una lesione del diritto alla salute adeguatamente allegata e dimostrata, nel senso normativamente tipizzato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 11, lett. h) -bis, come modificato dal D.Lgs. n. 145 del 2015, dovendosi escludere che tale primario diritto della persona possa trovare tutela esclusivamente nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 36, in quanto la ratio della protezione umanitaria rimane quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona, come quello alla salute (Cass. 2558/2020, Cass. 13257/2020); il giudice di merito è dunque chiamato, a questi fini, a valutare l’esistenza di una malattia che abbia carattere di gravità, tale da comportare la seria esposizione al rischio di una lesione del diritto alla salute, e i rischi eventualmente configurabili in questo caso a carico del ricorrente in ipotesi di rimpatrio, in ragione tanto del grado di sviluppo del sistema sanitario esistente nel paese di origine, quanto delle effettive possibilità di accesso alle cure (Cass. 13765/2020); il che comporta che il carattere di gravità della patologia, ove la stessa sia suscettibile di evoluzione, debba essere indagato sia ‘

rispetto all’attualità che in prospettiva futura, verificando se il sistema sanitario esistente nel paese di origine e le effettive possibilità di accesso allo stesso consentano la continuazione delle cure necessarie anche in patria e se la condizione attuale della malattia, in mancanza delle cure prescritte, sia suscettibile di aggravamento in termini tali da comportare la seria esposizione al rischio di una lesione del diritto alla salute; di una simile indagine il giudice deve inoltre dare conto con una motivazione adeguata, che illustri l’iter logico-intellettivo seguito per arrivare alla decisione” (cfr. Cass. n. 25379 del 2020).

8.1. Nel caso in esame il ricorrente risulta affetto da una patologia certificata da un’istituzione pubblica ed il Tribunale ha del tutto trascurato di procedere a qualsivoglia approfondimento, affermando che il ricorrente non si era sottoposto alle cure prescritte, laddove invece avrebbe dovuto verificare, anche esercitando i suoi poteri istruttori se nel paese verso il quale sarebbe stato avviato (il Ghana) era assicurata quell’assistenza e quella cura necessaria che anche la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la L. 3 marzo 2009, n. 18, mira a tutelare assicurando “le misure necessarie per garantire la protezione e la sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio” (art. 11 della citata convenzione).

9. In conclusione in accoglimento dell’ultimo motivo di ricorso, rigettati gli altri, il decreto del Tribunale di Venezia deve essere cassato e rinviato al Tribunale di Venezia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri. Cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Venezia in diversa composizione, cui rimanda per provvedere in ordine alla determinazione delle spese anche del presente giudizio per cassazione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale, il 4 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2021

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