Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.22531 del 09/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2536-2020 proposto da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI, 6, presso lo studio dell’avvocato MANUELA AGNITELLI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ROMA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3720/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/06/2019 R.G.N. 6665/2018;

udita la relazione della causa svoliza nella camera di consiglio del 04/02/2021 dal Consigliere Dott. GARRI FABRIZIA.

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. La Corte di appello di Roma ha confermato l’ordinanza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato il ricorso proposto da D.M. volto ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero il permesso di soggiorno per la protezione sussidiaria o per quella umanitaria, tutti già negati dalla Commissione per la protezione precedentemente adita. Il ricorrente, proveniente dal Gambia esponeva di essersi allontanato per timore di ritorsioni conseguenti all’aver sostenuto uno zio accusato di aver partecipato al colpo di stato del 2013 ed aver picchiato un soldato che si era introdotto, con altre quattro persone, in casa dello zio.

2. Per quanto qui ancora interessa la Corte di appello ha in primo luogo ritenuto che, correttamente, in applicazione dell’art. 122 c.p.c., l’ordinanza era stata redatta in italiano ed ha osservato che il disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, trova applicazione nel procedimento amministrativo instaurato davanti alla Commissione provinciale. Quanto poi alle varie misure di protezione azionate la Corte territoriale ha ritenuto del tutto generiche le censure mosse in appello dal ricorrente, non rispettose dell’art. 704 quater c.p.c..

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso D.M. affidato a cinque motivi ai quali il Ministero dell’Interno, intimato, non ha opposto difese.

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata l’erroneità della motivazione della sentenza della Corte che ha ritenuto generiche le censure formulate nel primo e secondo motivo del gravame. Sostiene il ricorrente che esaminando l’atto di appello ed in particolare le pagine da 1 a 6 erano agevolmente rilevabili le censure di erroneità ed iniquità mosse all’ordinanza di primo grado incentrate sul timore di ritorsioni in caso di rientro in Gambia e sul concorrente livello di integrazione raggiunto in Italia.

5. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. b), oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Ritenendo generica la censura formulata nel primo motivo di appello la Corte ha trascurato di considerare le ragioni poste a fondamento della sua richiesta e di approfondire la situazione carceraria in Gambia.

6. Il terzo motivo di ricorso attiene alla violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 comma 1, lett. c) e degli artt. 2, 3, 5 e 8 della Cedu oltre che del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, anche con riguardo al difetto di istruttoria sul danno grave sussistente. Deduce il ricorrente che la Corte di merito avrebbe trascurato di verificare l’esistenza del pericolo generalizzato cui sarebbe esposto in caso di rientro in Gambia a cagione della sua peculiare situazione.

7. Con il quarto motivo il ricorrente deduce che la sentenza, in violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, dell’art. 3, comma 3, lett. a) e b) dello stesso decreto e degli artt. 3 e 7 della CEDU in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, ha trascurato di pronunciare sul riconoscimento della protezione sussidiaria anche sulla base di un giudizio prognostico, futuro e incerto, e sullo stato effettivo ed attuale del Paese di origine stante l’esistenza in Gambia di un pericolo generalizzato. Si duole inoltre del rigetto dell’eccezione di nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4, formulata nel terzo motivo di appello.

8. L’ultimo motivo di ricorso investe infine il diniego della protezione umanitaria e deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6 e art. 19, comma 1 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. c) e comma 4. Osserva che la Corte non ha pronunciato sul mancato riconoscimento della protezione sebbene ne sussistessero i presupposti collegati alla compromissione del diritto alla libertà religiosa trascurando di operare la dovuta comparazione tra la situazione esistente nel paese di origine e l’inserimento del richiedente in Italia.

9. Il ricorso non può essere accolto poiché le censure da esaminare congiuntamente sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

9.1. Va rilevato che i motivi articolati nel ricorso in Cassazione pur diffusamente argomentati non sono idonei a scalfire il ragionamento su cui si fonda la sentenza della Corte di appello tenuto conto della carente specificità del ragionamento critico sviluppato rispetto alla motivazione del provvedimento impugnato.

9.2. Il giudice di secondo grado ha infatti posto in rilievo che i motivi di ricorso in appello erano generici e non sottoponevano “ad argomentate censure le effettive e specifiche ragioni svolte dal Tribunale (…) avuto riguardo all’evoluzione della situazione socio-politica in Gambia dopo la sconfitta del dittatore J. (…)”. In sostanza prima ancora di verificare nel merito la fondatezza della pretesa la Corte territoriale ne ha ritenuto precluso l’esame per effetto della mancanza di specifiche censure. Ed allora per contrastare la decisione della Corte di appello il ricorrente avrebbe dovuto riportare, in primo luogo, il contenuto della sentenza di primo grado e riprodurre le censure di appello nella parte in cui, diversamente da quanto accertato dalla sentenza, avevano censurato specificatamente la decisione formulando peraltro un motivo a carattere prettamente processuale che, invece, risulta solo accennato ma non è affatto sviluppato nel ricorso. Solo in questo modo la Corte avrebbe potuto indagare sulla specificità dei motivi di appello rispetto alla decisione di primo grado impugnata.

9.3. Quanto alla denunciata violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 4, prospettata nell’ambito del quarto motivo di ricorso, va rilevato che “In tema di protezione internazionale, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 5, non può essere interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale e inoltre il richiedente partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano.” (cfr. Cass. 24/09/2019 n. 23760).

10. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Non occorre provvedere sulle spese stante la mancata costituzione dell’amministrazione rimasta intimata. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato D.P.R. art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 4 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2021

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