Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.22601 del 10/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14260-2020 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI, 6, presso lo studio dell’avvocato MANUELA AGNITELLI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– resistente –

avverso il decreto RG 1459/2018 del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato il 13/04/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata dell’08/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA FIDANZIA.

RILEVATO

che viene proposto ricorso avverso il decreto del Tribunale di Triestre del 13 aprile 2020, il quale ha rigettato il ricorso proposto da A.A., cittadino del Pakistan, avverso il provvedimento negativo della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale;

– che il Ministero si è costituito tardivamente in giudizio ai soli fini di un’eventuale partecipazione all’udienza di discussione;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis.

CONSIDERATO

1. che con il primo motivo è stata dedotta la violazione la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 11, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, sul rilievo che il Tribunale di Venezia, con una motivazione apparente, non avrebbe realmente spiegato le ragioni per le quali non ha riconosciuto lo status di rifugiato, limitandosi a far leva su opinioni soggettivistiche e non oggettive;

2. che il motivo è inammissibile;

– che va, in primo luogo, osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma. 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019);

che, nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del “minimo costituzionale”, secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053 del 2014), essendo state indicate in modo dettagliato le ragioni per le quali il richiedente non è stato ritenuto credibile (inverosimiglianza delle descritte modalità rudimentali dell’aggressione perpetrata ai danni dello stesso richiedente, rapportate allo spessore criminale del gruppo terroristico, dotato di struttura paramilitare, che, a suo dire, se ne sarebbe reso responsabile; frequenti contraddizioni nel suo narrato);

– che con tale precisa argomentazione il ricorrente non si è minimamente confrontato – ignorandola – allegando apoditticamente e genericamente l’apparenza della motivazione e la circostanza che quest’ultima si sarebbe fondata su asserite opinioni soggettivistiche che lo stesso richiedente non ha avuto neppure cura di precisare;

3. che con il secondo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c), e art. 3, comma 3, lett. a), artt. 2, 3, 5, 8 e 9 CEDU, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma bis 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5;

che, in particolare, il ricorrente lamenta che il Tribunale ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria sul solo rilievo della insussistenza in Pakistan di una violenza generalizzata, senza analizzare la mancanza di un danno grave in relazione alla fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), e non ha neppure esercitato i poteri officiosi di indagine e informazione indicati al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8;

4. che il motivo è manifestamente infondato;

che, infatti, il Tribunale ha ritenuto l’insussistenza della fattispecie di cui alla citata legge, art. 14, lett. b), avendo coerentemente ritenuto non credibile il racconto del ricorrente, il quale, peraltro, in ordine alla dedotta violazione dell’obbligo di cooperazione istruttoria, non considera che questa Corte ha più volte statuito che qualora le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine – analogo discorso vale per il pericolo di “danno grave” – salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; e v. ancora, fra le altre, Cass. 31 maggio 2018, n. 13858 e n. 14006; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340);

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, e art. 3, comma 3, lett a) e b), artt. 3 e 7 CEDU, sul rilievo che il giudice di merito non ha considerato il grave pericolo del ricorrente in caso di rimpatrio e non ha valutato, altresì, in modo corretto la situazione generale del paese, ritenendo erroneamente che non vi fosse un pericolo di violenza generalizzata;

6. che il motivo è inammissibile;

Il ricorrente, nel formulare tali censure, ha ignorato la valutazione di non credibilità del suo racconto da parte del giudice di primo grado ed ha svolto mere censure di merito in ordine alla situazione di violenza generalizzata in Pakistan, ritenuta insussistente dal giudice di merito alla luce di fonti internazionali (EASO 2019) aggiornate e qualificate con le quali il ricorrente non si è minimamente confrontato;

7. che con il quarto motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19, e D.Lgs. n. 251 del 2007, comma 3, lett. c), e comma 4;

che, in particolare, il ricorrente espone che sussistono motivi di carattere umanitario che impongono il riconoscimento in capo allo stesso della protezione umanitaria, essendo lo stesso scappato per paura di essere ucciso dal gruppo dei terroristi sunniti;

8. che il motivo è inammissibile;

che, infatti, il ricorrente non ha minimamente correlato la dedotta violazione dei suoi diritti fondamentali alla sua condizione personale, se non reiterando il riferimento alla vicenda dallo stesso narrata, ritenuta coerentemente dal giudice di merito non credibile, così impendendo al Tribunale di Trieste di poter effettuare la valutazione comparativa tra i due contesti di vista nel paese d’origine ed in quello di accoglienza;

9. che la soccombenza del ricorrente non comporta la condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali, in ragione della inammissibilità della costituzione tardiva del Ministero.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2021

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