Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.22651 del 10/08/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17416/2019 proposto da:

B.O., difeso e rappresentato dall’avv. Carmelo Picciotto, domiciliato presso la Cancelleria della I sezione civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MESSINA, depositato il 02/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/06/2021 dal Cons. Dott. ANDREA FIDANZIA.

RILEVATO

CHE:

Il Tribunale di Messina, con decreto depositato il 2.04.2019, ha rigettato la domanda proposta da B.O., cittadino della *****, finalizzata ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale, o, in subordine, della protezione umanitaria.

Il tribunale, pur ritenendo attendibili nel loro complesso le dichiarazioni del migrante (che aveva riferito delle traversie vissute, dopo che la famiglia si era trasferita in *****, a causa dello scoppio della guerra civile in quel Paese e della morte di entrambi i genitori, allorché, ancora minorenne, si era ridotto a vivere per strada, senza aver mezzi di sostentamento e senza poter far ritorno in *****, ospite di uno zio che aveva invece accolto la sorella, per l’opposizione del nonno paterno) ha escluso che ricorressero i presupposti per il riconoscimento delle tutele maggiori o per il rilascio di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, osservando che l’espatrio appariva dettato più da ragioni economiche che non di (in)sicurezza personale.

B.O. ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidandolo a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza per error in procedendo, motivazione apparente, violazione dell’art. 122 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 9, e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b).

Il ricorrente sostiene che il tribunale non avrebbe motivato in ordine alla ritenuta assenza del rischio che egli possa subire, in caso di rientro, un trattamento inumano e degradante, rischio che andava valutato alla luce delle fonti internazionali che testimoniano della situazione socio-politica in cui versa la *****.

2. Col secondo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza per error in procedendo, motivazione apparente, violazione dell’art. 122 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 9, e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c).

Il ricorrente lamenta che il tribunale abbia escluso che la ***** versi in una situazione di violenza generalizzata limitandosi a riportare nel decreto, con la tecnica del “copia e incolla”, lunghi brani in lingua inglese, reputati rilevanti, tratti dalle fonti Human Rights Watch del 2017 e 2019, così incorrendo anche nella violazione dell’art. 122 c.p.c., che prescrive nel processo l’uso della lingua italiana.

Puntualizza inoltre, pur non intendendo supplire al difetto da parte dell’organo giudicante dell’utilizzo della lingua italiana, che una sommaria lettura del testo in lingua inglese lascerebbe intendere che la situazione del Paese è ben diversa da quella sostenuta dal tribunale.

3. Con il terzo e il quarto motivo è stata dedotta, rispettivamente, la nullità della sentenza per motivazione apparente, sempre in violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 122 c.p.c., e la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, e D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 4, nonché l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione al rigetto della domanda di protezione umanitaria.

4. Il primo motivo è inammissibile perché non si confronta con la motivazione del tribunale che, pur reputando attendibile in linea di massima il racconto di Ousmane, ha escluso che potesse ritenersi fondato il timore da questi manifestato di essere ucciso dal nonno in caso di rientro in ***** e perché non risulta che, all’infuori di tale circostanza, il richiedente abbia dedotto altri fattori di rischio, cui si troverebbe esposto a seguito del rimpatrio, riconducibili alla fattispecie di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. b). Il ricorrente, per quanto desumibile dalla lettura del provvedimento impugnato, ha invece allegato numerosi profili di vulnerabilità (giovane età, sradicamento, mancanza di mezzi di sostentamento) il cui eventuale omesso esame, tuttavia, non rileva nella presente sede per quanto tra breve si dirà.

5. Il secondo motivo è fondato.

Questa Corte (vedi Cass. n. 22979/2019) ha affermato che “Non viola il principio dell’obbligatorietà dell’uso della lingua italiana negli atti processuali il provvedimento del giudice (nella specie, decreto di diniego di riconoscimento della protezione internazionale a rifugiato) che rechi in motivazione citazioni di fonti di conoscenza in lingua inglese di facile comprensibilità, tali da non recare pregiudizio al diritto di difesa delle parti”.

L’ammissibilità della citazione in lingua inglese di brevi (e comprensibili ai più), passaggi di una fonte internazionale, ove ritenuti più incisivi nel focalizzare un profilo che il giudice del merito vuol evidenziare, non fa, tuttavia, venir meno l’obbligo di redigere la motivazione in lingua italiana, in ossequio al disposto dell’art. 122 c.p.c..

Ne consegue che l’esposizione del percorso logico-giuridico sotteso alla decisione, nel quale si concreta la motivazione, non può consistere nel richiamo integrale, per relationem, ad un testo in lingua inglese (o in altra lingua di uso comune in Europa) privo di traduzione, seguito dalla mera affermazione che da esso si desumono i fatti che il giudice ha posto a base del proprio convincimento.

Il giudice del merito deve invece ben esplicitare, in italiano, quali sono quei fatti (sempre che il testo in lingua straniera sia utilizzabile come fonte di informazione internazionale), onde consentire al ricorrente (e per questi all’avvocato che lo rappresenta in giudizio, non tenuto a conoscere lingue diverse dall’italiano) di comprendere su quali elementi si fondi l’accertamento che ha condotto al rigetto della domanda e di poter quindi esercitare appieno il proprio diritto di difesa, contestando la sussistenza e la rilevanza di quegli elementi in sede di impugnazione.

Nella specie il vizio denunciato ricorre, perché il Tribunale di Messina ha escluso che la ***** versi in una situazione di diffusa violazione dei diritti umani (rilevante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria) e/o di violenza indiscriminata (rilevante ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c)) senza indicare minimamente i singoli passaggi argomentativi alla base di tale accertamento; il giudice si è infatti limitato a richiamare (inequivocabile è l’espressione “….Da quanto sopra si ricava che….”) le notizie sulla ***** tratte dalla fonte inglese Human Rights Watch, inserite integralmente nel testo del decreto impugnato, verosimilmente con una operazione di “copia e incolla”, senza farle seguire neppure da un accenno di loro traduzione o da un riassunto dei fatti che ha ritenuto di poter dalle stesse desumere.

6. Il decreto impugnato deve essere quindi cassato, con rinvio al Tribunale di Messina, in diversa composizione, che provvederà a rinnovare l’accertamento sulla situazione complessiva in cui versa la ***** e liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

7. Restano assorbiti il terzo ed il quarto motivo di ricorso, attinenti a questioni logicamente subordinate al rinnovo del predetto accertamento.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo ed assorbiti i restanti; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Messina, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2021

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