LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14676/2018 proposto da:
Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Emilio de Cavalieri n. 11, presso lo studio dell’avvocato D’Aloia Antonio, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Cirio del Monte Italia S.p.a. in Amministrazione Straordinaria, in persona dei commissari straordinari pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Tre Orologi n. 20, presso lo studio dell’avvocato Picozza Paolo, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 49/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 08/03/2021 dal consigliere Dott. Paola Vella.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Roma, riformando la sentenza di primo grado, ha accolto la domanda proposta dalla Cirio del Monte Italia S.p.a. in Amministrazione Straordinaria per la revocatoria L.Fall., ex art. 67, comma 2 dei pagamenti eseguiti nel cd. periodo sospetto dalla società in bonis a favore del Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Napoli, per complessivi Euro 101.144,74.
1.1. Il Consorzio ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, corredato da memoria, cui l’Amministrazione straordinaria di Cirio del Monte Italia ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di nullità della procura speciale apposta in calce al ricorso, sollevata nel controricorso, per mancata menzione del nominativo del legale rappresentante del Consorzio ricorrente, poiché nella memoria ex art. 380-bis1 c.p.c. (la prima utile) il ricorrente ha sanato la lacunosità dell’atto, indicando detto nominativo. Invero, come chiarito da questa Corte, “la procura speciale alle liti rilasciata, per conto di una società esattamente indicata con la sua denominazione, con sottoscrizione affatto illeggibile, senza che il nome del conferente, di cui si alleghi genericamente la qualità di legale rappresentante, risulti dal testo della stessa, né dall’intestazione dell’atto a margine od in calce al quale sia apposta, ed altresì priva, nell’uno o nell’altra, dell’indicazione di una specifica funzione o carica del soggetto medesimo che lo renda identificabile attraverso i documenti di causa o le risultanze del registro delle imprese, è affetta da nullità relativa, che la controparte può tempestivamente opporre ex art. 157 c.p.c., comma 2, onerando, così, l’istante d’integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell’autore della suddetta sottoscrizione, difettando la quale, così come in ipotesi di inadeguatezza o tardività di tale integrazione, si verifica invalidità della procura ed inammissibilità dell’atto cui essa accede” (Cass. Sez. U, 25036/2013; conf. Cass. 16634/2017, 8930/2019).
2.1. Il primo motivo denuncia la violazione della L.Fall., art. 67, comma 2, e art. 116 c.p.c., “in quanto le notizie di stampa sul Gruppo Cirio non possono essere assunte come indice rilevatore della conoscenza da parte dell’accipiens dello stato di insolvenza del solvens nonostante gli elementi conoscitivi a disposizione del Consorzio ASI erano nel senso che la Cirio (una delle società del Gruppo Cirio) fosse operativa”.
2.2. Il secondo mezzo lamenta l’omesso esame di fatto decisivo, avuto riguardo alle note del 15 aprile 2002 e 6 novembre 2003 “con le quali il direttore dello stabilimento Cirio del Monte Italia rispettivamente comunicava di aver iniziato la realizzazione di opere all’interno dello stabilimento e riferiva della verifica all’impianto di depurazione”, da ciò potendosi desumere “che la società resistente fosse in operatività ai tempi dei pagamenti”.
2.3. Con il terzo motivo si deduce ancora la violazione della L.Fall., art. 67, comma 2 poiché “la conoscenza dello stato di insolvenza al momento dei pagamenti deve essere effettiva e non meramente potenziale” e, “nel caso di specie, tale prova non può dirsi fondata sulla base di informazioni diffuse dalla stampa che non sono di per sé rivelatrici di una sicura conoscenza del dissesto”.
2.4. Il quarto mezzo censura la violazione della L.Fall., art. 67, comma 3, in quanto non vi sarebbe “stato il pagamento di alcun debito (..) ma semplicemente una operazione di “ribaltamento dei costi e dei ricavi” per cui al Consorzio sono stati restituiti soldi che avrebbe dovuto pagare direttamente la Cirio, in una fisiologica partita di giro”.
2.5. Il quinto motivo lamenta la violazione dell’art. 92 c.p.c. “perché avrebbero dovuto essere compensate le spese di lite, stante la controvertibilità delle questioni trattate”.
3. I primi tre motivi, che in quanto connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili, poiché, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, mirano in realtà a rinnovare la valutazione dei fatti storici e delle risultanze probatorie effettuata dai giudici di merito (Cass. Sez. U, 34476/2019). D’altro canto, ammettere un sindacato sulla sufficienza o razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. U, 28220/2018).
3.1. Al riguardo vanno altresì richiamati i numerosi precedenti specifici di questa Corte (Cass. nn. 7163-7166 del 2020; Cass. nn. 27552 e 12699 del 2019; Cass. n. 6008 del 2017), la quale, pronunciandosi in analoghi giudizi promossi dall’odierna controricorrente, ha affermato che: “ai fini dell’accertamento della scientia decoctionis il giudice può avvalersi di presunzioni semplici, come quella fondata sul fatto che, secondo l’id quod plerumque accidit, una notevole parte della popolazione (ivi inclusa quella che dirige o collabora all’attività d’impresa) sia solita consultare la stampa ed informarsi di quanto essa pubblica, comprese le notizie relative allo stato di dissesto della società poi fallita (Cass. 3299/2017, Cass. 11546/2019). Il giudice di merito ben può quindi, tenendo in considerazione le risultanze del caso concreto e le fonti di conoscenza poste al suo vaglio, trarre dalle caratteristiche di una campagna di stampa che gli risulti dimostrata (valorizzando il numero e la frequenza delle notizie pubblicate, la diffusione su ampia scala del giornale, la descrizione della gravità della situazione rappresentata negli articoli divulgati e la dovizia dei particolari in essi contenuti) argomenti per valutare se la medesima possa costituire un indizio utile ai fini della dimostrazione della sussistenza della scientia decoctionis da parte dell’accipiens. La scelta degli elementi che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto costituiscono poi un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. 3854/2019)”.
4. I restanti due motivi sono infondati.
4.1. Il quarto lo è in quanto, come puntualmente rilevato dai giudici d’appello, l’allegato meccanismo del “ribaltamento dei costi” e la conseguente mancanza di utili in capo al Consorzio risultano del tutto irrilevanti, in quanto l’azione revocatoria colpisce qualsiasi pagamento, a prescindere dal titolo in base al quale esso venga effettuato, e dunque anche qualora esso integri sostanzialmente un rimborso.
4.2. Il quinto è infondato poiché, “in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione” (Cass. Sez. U, 14989/2005; conf. Cass. 11329/2019).
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo.
6. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. Sez. U, n. 23535/2019 e n. 4315/2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021