LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2876-2020 proposto da:
O.P., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ELISABETTA COSTA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 5390/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/11/2019 R.G.N. 764/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA.
RILEVATO
CHE:
1. la Corte di Appello di Venezia, con sentenza pubblicata il 29 novembre 2019, ha confermato la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da O.P., cittadino *****, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;
2. la Corte ha ritenuto che l’atto di appello non si confrontava con “le specifiche osservazioni del Tribunale in punto di illogicità e contraddittorietà della narrazione, rilievi peraltro più che condivisibili”; secondo la Corte l’appellante si era limitato “a proporre un assortimento variegato di argomenti generici e nemmeno rafforzativi delle proprie asserzioni, comunque inconferenti rispetto ai puntuali rilievi del Tribunale, così come del resto lo furono anche i rilievi della commissione territoriale mai effettivamente contestati”; quanto al riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c) ha escluso che nel paese di origine dell’istante vi fosse una situazione di violenza indiscriminata per un conflitto armato interno o internazionale sulla scorta del rapporto COI del novembre 2018 e di altre fonti specificamente indicate; circa la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la Corte ha considerato che la narrazione non credibile del ricorrente non potesse essere posta a fondamento del riconoscimento di tale diritto così come non risultava sufficiente “un certo grado di integrazione sociale nel nostro paese, nel caso di specie nemmeno allegato”;
3. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento impugnato il soccombente con 2 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
CHE:
1. il primo motivo di ricorso denuncia: “carenza di motivazione relativamente alla valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente”;
la censura è inammissibile perché non riconducibile ad alcuno dei vizi di cui all’art. 360 c.p.c., atteso che, nel vigore del novellato n. 5 della disposizione, così come rigorosamente interpretata dalle Sezioni unite di questa Corte (sent. nn. 8053 e 8054 del 2014), non vi è più spazio per una censura di “carenza” o “insufficienza” della motivazione;
nel caso, poi, la Corte d’Appello ha confermato la valutazione già compiuta in prime cure dell’esame delle dichiarazioni del richiedente, ritenendole non credibili e comunque inidonee ad integrare i presupposti per la protezione richiesta, sicché la doglianza in esame, che non specifica i parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, che si assumono violati nello scrutinio dell’attendibilità del narrato, costituisce una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto;
2. parimenti inammissibile il secondo motivo, con cui si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 257 del 2007, art. 14, comma 1, lett. c, e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, perché privo di adeguata specificità;
invero, la formulazione della censura risulta del tutto astratta, risolvendosi in una mera elencazione di norme, senza l’osservanza del fondamentale principio secondo cui i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali e ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non articoli specifiche censure esaminabili dal giudice di legittimità sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa, avendo il ricorrente l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del giudizio di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione di identificare la critica mossa ad una parte ben specificata della decisione espressa (v., da ultimo, Cass. n. 2959 del 2020; conf. Cass. n. 1479 del 2018); pertanto, se nel ricorso per cassazione si sostiene l’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo, si deve chiarire a pena di inammissibilità l’errore di diritto imputato al riguardo alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia (Cass. SS.UU. 21672 del 2013); in caso contrario, la censura – pur formalmente formulata come vizio di violazione di norme legge – nella sostanza si traduce in una inammissibile denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti, effettuata nell’esercizio di un sindacato non censurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione, peraltro nei ristretti limiti di cui al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5;
3. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; nulla per le spese in difetto di attività difensiva dell’amministrazione intimata;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021