LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21204-2019 proposto da:
A.V., rappresentato e difeso dall’Avvocato ANNA ROSA ODDONE, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in TORINO, VIA PALMIERI 40;
– ricorrente –
contro
MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è
domiciliato;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 67/2019 della CORTE d’APPELLO di TORINO depositata il 10/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/06/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
FATTI DI CAUSA
A.V., cittadino della *****, impugnava davanti al Tribunale di Torino il provvedimento con il quale era stata rigettata l’istanza alla Commissione Territoriale di Torino per il riconoscimento della protezione internazionale. Il ricorrente richiedeva il riconoscimento del proprio diritto allo status di rifugiato o alla protezione sussidiaria, o in subordine a quella umanitaria.
Esponeva che – dopo la morte del padre, di una sorella e infine della madre – per riuscire a sopravvivere alla indigenza e ad aiutare una sorella minore era stato costretto a seguire uno zio commerciante, successivamente deceduto per un incidente stradale; che quindi era rimasto senza alcun aiuto morale e materiale e che, trovandosi lontano da casa senza mezzi di sostentamento, aveva proseguito un viaggio che lo aveva portato in Italia fra mille vicissitudini.
Secondo il Tribunale non si ravvisavano gli estremi per il riconoscimento della protezione internazionale o sussidiaria o umanitaria.
Impugnata l’ordinanza del Tribunale, la Corte distrettuale rigettava l’appello con sentenza n. 67/2019 depositata il 10/01/2019;
Avverso detta sentenza A.V. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi; resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “Violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1 lett. c) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o comunque omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5", rilevandosi che la Corte di merito ha rigettato la domanda di riconoscimento di protezione internazionale limitandosi a negare quanto lamentato dal ricorrente e trascurando la complessità della società africana, in particolare di quella *****.
1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l'”Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, mancando il giudice di merito di valutare la condizione di vulnerabilità del richiedente al fine di riconoscere il diritto alla protezione umanitaria.
2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente. Essi sono inammissibili.
2.1. – Quanto alla denunciata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, va ribadito che (con riguardo alle fattispecie tipizzate dall’art. 14, lett. a) e lett. b)) è necessario osservare che l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti deve pur sempre rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr. Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass.20 marzo 2014, n. 6503); la qual cosa nella fattispecie va negata proprio in ragione della mancanza di riscontri quanto a una vicenda personale che conferisca specificità e concretezza a un tale rischio.
Nello stesso tempo l’ipotesi di cui all’art. 14, lett. C che si configura anche in mancanza di un diretto coinvolgimento individuale dello straniero nella situazione di pericolo, è stata motivatamente esclusa dalla Corte distrettuale, la quale, basandosi su fonti di informazione internazionale, ha appurato che il paese di provenienza dell’odierno istante non risulta essere teatro di un “conflitto diffuso” e di una “violenza generalizzata”. Tale apprezzamento, che sfugge al sindacato di legittimità, porta ovviamente a disconoscere che nel presente giudizio di cassazione si possa far questione della “minaccia, grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armalo interno o internazionale”.
2.2. – Ciò detto, va posto in rilievo che la denuncia di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, non è più riconducibile al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 10 gennaio 2019.
Il novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).
Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non v’e’ specifica adeguata indicazione. Laddove, poi, è altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 con riferimento non già ad un “fatto storico”, come sopra inteso, bensì a questioni o argomentazioni giuridiche (Cass. n. 22507 del 2015; cfr. Cass. n. 21152 del 2014); ciò in quanto nel paradigma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non è inquadrabile il vizio di omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).
2.3. – A ciò va aggiunto che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato possa rientrare nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.; essendo, pertanto, inammissibile la critica generale (e inevitabilemente generica) della sentenza impugnata, formulata con una articolazione di doglianze non riferibili al provvedimento impugnato, e quindi non chiaramente individuabili (Cass. n. 11603 del 2018). Le proposte censure, come rapsodicamente articolate, appalesano piuttosto lo scopo del ricorrente di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata, risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale (ri)valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di appello (Cass. n. 1885 del 2018); così, inammissibilmente, rimettendo al giudice di legittimità il compito di isolare le singole doglianze teoricamente proponibili, onde ricondurle a uno dei mezzi di impugnazione enunciati dal citato art. 360 c.p.c. per poi ricercare quali disposizioni possano essere utilizzabili allo scopo; in sostanza, dunque, cercando di attribuire al giudice di legittimità il compito di dar forma e contenuto giuridici alle generiche censure del ricorrente, per poi decidere su di esse (Cass. n. 22355 del 2019; Cass. m 2051 del 2019).
3. – Il ricorso è inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. D.P.R. n. 115 del 2002, Ex art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 giugno 2020.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021