Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.22712 del 11/08/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23603-2019 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato ANDREA MAESTRI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in RAVENNA, VIA MEUCCI 7/d;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso ope legis Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2998/2019 del TRIBUNALE di BOLOGNA depositato il 27/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/07/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

A.A., cittadino del ***** (originario di *****, distretto di *****, regione del *****) proponeva ricorso avanti al Tribunale di Bologna avverso il provvedimento della competente Commissione Territoriale di diniego della domanda di riconoscimento della protezione internazionale, chiedendo il riconoscimento della protezione sussidiaria o, in subordine, il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

In particolare, il ricorrente forniva un assai analitico racconto, che si sintetizza, circa le difficoltà economiche in cui versava la propria famiglia (anche in ragione dei bombardamenti dall’India), i rapporti con soggetti che prestavano denaro, nonché la utilizzazione dei debitori morosi a sostegno dei partiti politici. In particolare il richiedente narrava del suo ingresso nel *****, che si contapponeva al *****, e delle minacce ricevute anche attraverso l’uso di armi da fuoco dai rivali; narrava di un episodio (avvenuto il 18/11/2016) in cui un membro nazionale del partito ***** aveva mandato dal ricorrente cinque persone che avevano sparato in direzione della sua casa, senza che nessun familiare rimanesse ferito, e senza tuttavia aver denunciato il fatto alle autorità di Polizia temendo ripercussioni; e narrava altresì che, dopo circa un mese, il partito rivale aveva denunciato la scomparsa di un suoi membro indicando come ipotetico responsabile il ricorrente, il quale sfuggiva all’arresto e, su consiglio della famiglia, il 5/11/2017 lasciava il ***** e, attraversati vari Stati, faceva il suo ingresso in Italia il 15/03/2017.

Con decreto 2998/2019 depositato il 27/06/2019, il Tribunale rigettava il ricorso.

Avverso tale decreto il richiedente propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi; resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8, commi 3 e 3 bis, art. 35 bis”, perché (Ndr: testo originale non comprensibile)dell’abolizione del secondo grado di giudizio, (Ndr: testo originale non comprensibile).

1.2. – Il motivo è inammissibile.

1.3. – Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il rito previsto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, con le peculiarità che lo connotano (composizione collegiale della sezione specializzata, procedura camerale e non reclamabilità del decreto) ha un ambito di applicabilità espressamente limitato alle controversie di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35 e a quelle relative, all’impugnazione dei provvedimenti adottati dall’Unità Dublino.

Tuttavia qualora le azioni dirette a ottenere le protezioni internazionali tipiche (status di rifugiato e protezione sussidiaria) e le azioni volte al riconoscimento di quella atipica (protezione umanitaria) siano state contestualmente proposte con un unico ricorso per libera e autonoma scelta processuale del ricorrente (come avvenuto nel caso di specie, secondo quanto riconosciuto dallo stesso ricorrente: cfr. folio 2 del ricorso), trova comunque applicazione per tutte le domande connesse e riunite il rito camerale di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis davanti alla sezione specializzata del Tribunale in composizione collegiale, in ragione della profonda connessione, soggettiva ed oggettiva, esistente tra le predette domande e della prevalenza della composizione collegiale del Tribunale in forza del disposto dell’art. 281 nonies c.p.c. (Cass. n. 9658 del 2019).

Ciò premesso, è principio di diritto consolidato quello secondo il quale: “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5” (Cass. n. 15794 del 2019).

Ne viene, quindi, che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non ne esclude l’onere di precisa ed affidabile allegazione, posto che la materia della protezione internazionale non si sottrae al principio dispositivo, pur nei limiti esposti riguardanti il principio della cooperazione istruttoria del giudice (Cass. n. 19197 del 2015).

Ciò detto, detto, nella specie il motivo si appalesa generico, in quanto rivolto al fine di ottenere una rivalutazione dei fatti e delle valutazioni già oggetto del giudizio.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6”, ritenendo che la concessione del permesso di soggiorno, data la sua natura atipica e residuale possa ricomprendere al suo interno situazioni e vicende personali che, sebbene non rientranti nelle forme di protezione maggiori, paiono comunque meritevoli di tutela.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. n. 24414 del 2019), in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (Cass. n. 3340 del 2019).

Va dunque ribadito (perantro in termini generali) che costituisce principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione.

Risulta, quindi, inidoneamente formulata (come nella specie) la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n.:22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

3. – Le censure si risolvono, dunque, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è ampiamente dato riscontrare (Cass. n. 9275 del 2018).

4. – Il ricorso è inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472