LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25562-2019 proposto da:
N.F.S., rappresentato e difeso dall’avv. SIMONA ALESSIO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1427/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza del 26.2.2018 il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso proposto da N.F.S. avverso il provvedimento di diniego della sua domanda di protezione, internazionale e umanitaria, emesso dalla Commissione territoriale competente.
Interponeva appello il Ngongang e la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza oggi impugnata, n. 1427/2019, rigettava il gravame.
Propone ricorso per la cassazione di detta pronuncia N.F.S., affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente denegato il riconoscimento della protezione umanitaria a fronte della sua vulnerabilità.
La censura è inammissibile.
La Corte distrettuale ha escluso la sussistenza di profili di vulnerabilità, ritenendo inidoneo il certificato medico allegato dal ricorrente “… da cui si evince solo una prescrizione di farmaci, senza una diagnosi precisa e senza che si possa desumere la necessità per l’appellante di sottoporsi a trattamenti sanitari” (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
Il ricorrente lamenta il mancato svolgimento, da parte della Corte distrettuale, del giudizio comparativo tra condizioni di vita in Italia e nel Paese di provenienza, ma non si cura di precisare quale fosse il contenuto dei motivi di gravame che egli aveva proposto avverso la decisione di prima istanza.
Sul punto, va ricordato che questa Corte ha affermato che la concessione, o il diniego, della protezione umanitaria deve conseguire ad una valutazione autonoma, che il giudice di merito deve condurre tenendo conto del contesto del Paese di provenienza del richiedente, apprezzando il suo percorso di integrazione socio-lavorativa in Italia e considerando l’eventuale rischio di compromissione del nucleo inalienabile dei suoi diritti fondamentali in caso di rimpatrio (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298; Cass. Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062-02; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 17130 del 14/08/2020, Rv. 658471; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 1104 del 20/01/2020, Rv. 656791).
Tuttavia, quando – come nel caso di specie – il ricorso è diretto avverso una decisione di secondo grado, il ricorrente è onerato di dimostrare che le questioni veicolate nei motivi di impugnazione proposti in sede di legittimità siano state specificamente dedotte nell’ambito delle censure proposte in appello. Nel caso concreto, il motivo in esame non soddisfa il predetto requisito formale, poiché il ricorrente nulla deduce in merito al contenuto dei motivi che egli aveva a suo tempo proposto in appello. Dal che consegue l’inammissibilità della prima doglianza.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente disposto la revoca della sua ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato.
La censura è inammissibile, posto che “Il provvedimento di revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, comunque pronunciato (sia con separato decreto che all’interno del provvedimento di merito) dev’essere sempre considerato autonomo e di conseguenza soggetto ad un separato regime di impugnazione ovvero l’opposizione del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15. Contro tale provvedimento è ammesso il ricorso ex art. 111 Cost. mentre è escluso che della revoca irritualmente disposta dal giudice del merito possa essere investita la Corte di cassazione in sede di ricorso avverso la decisione” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16117 del 28/07/2020, Rv. 658601 e Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 10487 del 03/06/2020, Rv. 657893).
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 28 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021